Israele e Medio Oriente

Zainichi: La soluzione del Giappone al conflitto israeliano | di Ari Yashar

Per influenzare il futuro dello Stato e partecipare al suo sistema politico, si deve assumere l’identità nazionale di quello Stato come propria.

Fin dalla sua fondazione, il moderno Stato di Israele è stato in conflitto con milioni di cittadini arabi trincerati fra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano. I paradigmi esistenti, sfortunatamente, non sono riusciti a impedire loro di rappresentare una minaccia fisica e politica per l’esistenza dello Stato ebraico.

Israele non è il solo a trovarsi in questo sconcertante dilemma di avere dei residenti (non ebrei, ma con cittadinanza israeliana, N.d.T.) con identità straniere e atteggiamenti potenzialmente belligeranti nei confronti della loro nazione di residenza. L’Europa attualmente è alle prese con il terrorismo e gli scontri di civiltà oltre che con il problema dell’arrivo di milioni di migranti mediorientali dopo la cosiddetta primavera araba. L’America, sotto il presidente Donald Trump, osserva le proprie leggi in materia di immigrazione le quali mettono in discussione da un lato la prassi di lasciare entrare nel paese per poi acquisire influenza, chi proviene da Stati in cui dilaga il terrorismo, limitando dall’altro l’ingresso nel paese a coloro che sono più adatti a integrarsi negli Stati Uniti.

Ma nel cercare modelli su come affrontare questa realtà moderna, acuita ulteriormente dal fatto che in Occidente le porte sono state spalancate grazie soprattutto alle politiche dei  “globalisti senza frontiere”, è stato fondamentalmente trascurato un paese che da decenni ospita residenti provvisti di identità straniera e che ostentano un certo rancore storico verso lo Stato ospite.

Questo paese – che gode di una sicurezza e di un ordine pubblico ineguagliabili ed è la terza economia mondiale – è il Giappone. Lì esiste uno status conosciuto come zainichi (letteralmente, “residente in Giappone”), che potrebbe rappresentare una soluzione per la gestione nazionale delle popolazioni straniere e offrire un precedente alla politica internazionale da poter utilizzare per liberare Israele e il resto del mondo dai loro problemi.

Cosa è uno zainichi?

I requisiti richiesti per essere un cittadino giapponese (cioè, un kokumin, “cittadino”) sono determinati dalla legge. (…) Il popolo (ossia i kokumin, “cittadini”) ha il diritto inalienabile di scegliere i propri rappresentanti e funzionari e di revocarli”.

Artt. 10-15 della Costituzione giapponese del 1947 

Dopo la Seconda guerra mondiale, nel Paese del Sol Levante si venne a creare una situazione peculiare. Prima della guerra, il Giappone aveva occupato la Corea (annessa nel 1910) e Taiwan (nel 1895), trasformando gli autoctoni in sudditi giapponesi. Un ingente numero di coreani e taiwanesi emigrò in Giappone in cerca di migliori opportunità o furono portati lì coercitivamente a causa della massiccia richiesta di manodopera durante la Seconda guerra mondiale.

Ai sensi del Trattato di pace di San Francisco entrato in vigore nel 1952, l’Impero nipponico rinunciò a tutte le rivendicazioni sui due paesi e di conseguenza i coreani e i taiwanesi che rimasero in Giappone persero la nazionalità giapponese, diventando così apolidi.

Ebbero la possibilità di naturalizzarsi e assumere l’identità nipponica (rinunciando alla nazionalità straniera, visto che il Giappone non consente la duplice cittadinanza), di richiedere la cittadinanza di Taiwan, della Corea del Sud o del Nord Corea, oppure di avere lo status indeterminato di zainichi – individui apolidi stranieri che risiedono permanentemente in Giappone.

Oggi, circa mezzo milione di coreani zainichi e 50 mila taiwanesi zainichi sono i discendenti di coloro che sono rimasti e non hanno preferito fare ritorno nella loro patria, ma che non hanno nemmeno assunto la nazionalità e l’identità giapponese. 

Da “residenti permanenti speciali”, gli zainichi godono di certi benefici rispetto ad altri non giapponesi, in particolare per quanto concerne l’ingresso e l’uscita dalla nazione isola. Ma essendosi astenuti dall’assunzione dell’identità nipponica, che secondo molti di loro è sinonimo di assimilazione e di tradimento della propria identità, gli zainichi non godono di nessuno dei vantaggi offerti dall’avere cittadinanza giapponese, il che significa che non possono votare né candidarsi alle elezioni nel paese.

Nella maggior parte delle prefetture, essi non possono lavorare come impiegati statali senza prima assumere la nazionalità nipponica. Inoltre, la Corte Suprema giapponese ha stabilito nel 2005 che i non cittadini zainichi  non possono ricoprire posizioni dirigenziali in nessuna prefettura. 

Diverso da Israele o no?

Noi esprimiamo il nostro appoggio al presidente Kim Jong-Un con una risoluzione cruciale e  difenderemo la patria sino alla fine.”

Associazione generale dei Residenti coreani del Comitato Centrale permanente del Giappone, 22 luglio 2017.

Con il nostro spirito e il nostro sangue, noi ti riscatteremo, O Palestina.”

Campo estivo 2017 del Partito Balad arabo-israeliano che siede alla Knesset.

Mentre la maggior parte della popolazione zainichi è amichevole verso il Giappone, un grande segmento di zainichi appoggia apertamente gli acerrimi nemici della terra in cui sono nati e cresciuti, il che fa venire subito in mente il conflitto israeliano.

Un buon 25 per cento di coreani zainichi – circa 125 mila persone – sono membri della Chongryon (che sta per Associazione generale dei Residenti coreani in Giappone), un’associazione che s’identifica con il dispotico regime nemico della Corea del Nord che lancia missili sul Giappone e minaccia di annientarlo con le armi nucleari. La Chongryon gestisce scuole e aziende, sostiene vigorosamente le minacce di Pyongyang al Giappone ed è contraria a ogni forma di integrazione nella società nipponica.

Inoltre, i leader dell’associazione sono  attivamente coinvolti nella politica e nelle attività della Corea del Nord. Bae Jin Gu, vicepresidente della Chongryon, pare sia anche l’operativo di spicco dell’agenzia di intelligence della Corea del Nord in Giappone. Come riporta il magazine nipponico  Sentaku: “Una missione importante di questa organizzazione spionistica consiste nel creare organizzazioni clandestine sia in Giappone sia nella Corea del Sud per indurre le rivolte armate ad appoggiare lo schema di Pyongyang di unificare la penisola coreana con la forza”.

Allo stesso modo, una serie di rapimenti di giapponesi compiuti in Giappone dagli operativi nordcoreani  negli anni Settanta e Ottanta continuano a essere fonte di tensione e sottolineano ulteriormente la sfiducia del Giappone nella lealtà dei nordcoreani zainichi.

L’organizzazione Mindan – la più grande omologa sudcoreana della Chongryon – è meno controversa, ma anch’essa ha promosso un rigoroso atteggiamento anti-assimilazionista, pretendendo che i coreani zainichi mantengano fortemente la loro identità coreana e i legami con la penisola coreana anziché naturalizzarsi.

Queste posizioni riguardanti lo Stato inducono a pensare a certi paralleli tra gli zainichi del Giappone e gli arabi in Israele. Questa somiglianza si estende alla cosiddetta coscienza nazionale che permea la loro identità. Come gli arabi, gli zainichi sono membri di un popolo che ha combattuto contro la nazione dove ora vivono, contro cui hanno perso e che li ha conquistati. Il fatto che i “palestinesi” siano membri di uno Stato inventato di recente non cambia il loro ethos condiviso di essere un popolo conquistato.

In un’altra similitudine, sembrerebbe che la maggior parte dei “palestinesi” si sia trasferita in Israele 100-150 fa dai paesi vicini per lavorare nelle fabbriche che erano state da poco impiantate dai pionieri ebrei. Allo stesso modo, molti immigrati coreani e taiwanesi del Giappone arrivarono nel fiorente impero cento anni fa e anche più, alla ricerca di opportunità.

Sakoku – L’antitesi della “Utopia” senza frontiere dell’Occidente

Gli oneri della  cittadinanza globale continuano a legarci”.

Barack Hussein Obama, allora senatore americano e poi presidente degli Stati Uniti, 2008

Alle navi giapponesi è severamente vietato salpare verso paesi stranieri. A nessun giapponese è permesso di recarsi all’estero. Se qualcuno tenterà di farlo segretamente, verrà giustiziato. (…) Se un giapponese tornerà da un paese estero dopo aver abitato lì, verrà condannato a morte”.

Editto Sakoku del 1635

In larga misura, la propensione a limitare l’influenza straniera riscontrata nella politica zainichi si può dire che si fondi culturalmente sulla psiche giapponese così come è andata sviluppandosi nella storia nazionale, che ha tracciato un arco piuttosto diverso da quello di molti paesi occidentali i quali hanno tentato di colonizzare, importare e “civilizzare” (ossia assimilare) gli stranieri.

Dalla metà del 1600 a metà dell’Ottocento, lo shogunato Tokugawa attuò la sua politica sakoku – “paese incantenato” – vale a dire di isolamento nazionale, in gran parte come risposta a una rivolta cristiana. Il paese era chiuso a tutti gli stranieri tranne che per alcune relazioni commerciali con i mercanti cinesi, coreani e olandesi, limitate a una manciata di città portuali in Giappone e il Cristianesimo era bandito. Ai giapponesi era vietato lasciare la nazione isola.

In molti modi, questa visione cauta sembra ancora permeare la posizione ferma del Giappone riguardo a coloro che si dicono fedeli a un paese straniero e che vivono nei suoi confini. La politica zainichi del Giappone può sembrare a molti in Occidente una linea dura, ma deriva da un principio fondamentale: per influenzare il futuro dello Stato e partecipare al suo sistema politico, si deve assumere l’identità nazionale di quello Stato come propria.

In pratica, questa posizione ha protetto l’identità giapponese e impedito ogni possibile dirottamento del sistema politico del paese da parte di elementi potenzialmente ostili e fedeli a paesi stranieri, molti dei quali – come la Corea e la Cina – covano ancora un grande astio verso il Giappone per la sua conquista e le azioni brutali commesse durante la Seconda guerra mondiale.

Per quanto anti-”globalista” possa essere, non si possono mettere in dubbio i risultati della politica zainichi: il paese è in genere riuscito ad accogliere un gran numero di residenti stranieri che per motivazioni di ordine storico erano rancorosi verso lo Stato. Lo ha fatto, non consentendo alle entità straniere di influenzare i propri affari interni, e senza permettere al terrorismo e ad altre azioni sovversive contro lo Stato di attecchire. Il Giappone è un paese leader nella sicurezza pubblica, una nazione in cui la sola attività terroristica autoctona è stata perpetrata non da gruppi di zainichi, ma dall’Armata Rossa Giapponese, un gruppo comunista rivoluzionario, o da sette come l’Aum Shinrikyo. (Paradossalmente, il pacifista Giappone ha condannato a morte 13 leader della setta, mentre Israele continua a rifiutare di applicare la pena di morte contro i terroristi.)

Senza dubbio, la maggioranza degli zainichi in Giappone è molto diversa dai cittadini arabi e dai residenti di Israele, che non solo costituiscono una parte considerevolmente maggiore della popolazione totale, ma appoggiano una rivendicazione nazionale straniera della terra in cui vivono. Al contrario, la maggior parte degli zainichi si integra nella società giapponese. Quasi nessuno di loro aspira a conquistare la nazione isola e di far parte della Corea o di Taiwan, e non si oppone alla presenza giapponese nel loro Paese.

In effetti, la maggior parte ritiene che almeno parzialmente l’identità giapponese sia la propria, pur preservando il loro patrimonio coreano o taiwanese. Gli zainichi si naturalizzano sempre più e la maggioranza di loro sposa cittadini giapponesi, il che significa sempre più non tramandare il loro status (malgrado molti vengano ancora chiamati ingiustamente zainichi, anche dopo aver preso la cittadinanza giapponese).

La ricerca ha mostrato che la sempre meno numerosa comunità zainichi non si identifica in gran parte né come giapponese né come coreana, ma ritiene semplicemente di essere zainichi. La ricerca mostra inoltre che gli zainichi assumono sempre più la nazionalità giapponese, il che sembrerebbe dimostrare che il sistema di gestione nazionale funziona man mano che i residenti apolidi col tempo se ne vanno o si integrano in modo adeguato.

Mentre mi trovavo in Giappone per motivi di studio, ho fatto amicizia con molti coreani zainichi e discendenti di zainichi e ho visto come fossero bene integrati nella società giapponese. Sembravano essere parte integrante del Paese, anche se la maggior parte di loro aveva imparato a parlare il coreano, si era recato nella Corea del Sud, usava spesso i propri nomi coreani come pure quelli giapponesi, e i genitori di uno di loro gestivano un ristorante coreano di barbecue. Ma gran parte di questi ragazzi erano molto “giapponesi”.

Cittadino Caino

È sempre esistita una strategia israeliana intesa a differenziare tra ‘i buoni arabi’ e gli altri palestinesi…Il ‘bravo arabo’ è metà arabo e metà israeliano, non mette in discussione il sionismo e accetta la definizione di Israele su chi sia un ‘terrorista’ e chi sia un ‘combattente per la libertà… se il boicottaggio [delle elezioni della Knesset] è accompagnato da una campagna organizzata di disubbidienza civile o un’altra chiara modalità di lotta, allora la considererei uno strumento per dare potere ai palestinesi e alla nostra lotta”.

Hanin Zoabi,

membro arabo-israeliano della Knesset, 11 febbraio 2015

I paralleli tra gli zainichi in Giappone e gli arabi in Israele o i marocchini in Belgio non sono certamente precisi, e tuttavia ci sono sufficienti similitudini le quali dimostrano che il modello giapponese per gestire la situazione possa rivelarsi illuminante per lo Stato ebraico nel mentre cerca soluzioni per il suo conflitto.

In Giappone, il paradigma zainichi ha sovrainteso una integrazione controllata degli stranieri e mantenuto la regola politica dei cittadini giapponesi nel loro paese. Il paradigma offre inoltre per Israele agli occhi del mondo un precedente per motivare l’assunzione di un approccio politico diverso da quello rimasto fermamente al proprio posto nel corso di decenni sanguinosi.

Ma Israele ha qualcosa di simile al concetto di zainichi, visto che impiega già un modello di residenza permanente nella sua capitale. Circa tutti i 230 mila arabi che risiedono a “Gerusalemme Est” sono senza stato e hanno uno status di residenza permanente, anche se vivono in aree che si trovano sotto la completa sovranità israeliana sancita dalla Jerusalem Law del 1980.

Tuttavia, una importante precisazione distingue i residenti arabi di Gerusalemme dagli zainichi in Giappone, zainichi è lo status per i discendenti di un particolare gruppo nazionale a prescindere da dove vivano nel paese. Sotto questo sistema, la nazionalità e non il luogo geografico, agisce come il fattore qualificante per una potenziale slealtà e un autoisolamento dal destino nazionale dello stato.

Una affermazione simile può essere fatta a proposito dei “palestinesi”. La ragione per la quale i cittadini arabi attaccano i cittadini ebrei è la stessa ragione per la quale gli attacchi vengono perpetrati dai non-cittadini “palestinesi” che vivono in Giudea, Samaria e Gaza, ossia, perché fanno riferimento a un nazionalismo “palestinese” che contraddice il concetto del nazionalismo israeliano e cerca di rimpiazzarlo sulla stessa terra.

Se Israele dovesse applicare un modello simile a quello giapponese nell’affrontare la propria popolazione locale con inclinazioni estere, ciò necessiterebbe la presa d’atto che anche la cittadinanza araba di Israele mantiene una lealtà estera. Fino al suo consolidamento a seguito della Seconda guerra mondiale, Israele ha dovuto fronteggiare nella propria patria una ampia e ostile popolazione araba. Questa popolazione, sia i “palestinesi” che i cittadini arabi di Israele i quali quasi all’unanimità si auto-identificano come “palestinesi” in un proprio stato sovrano e possiede una identità nazionale estera “palestinese” fabbricata, la quale per sua stessa definizione comporta una antipatia per l’autodefinito Stato ebraico nella terra di Israele, un pezzo di terra che la narrativa nazionale “palestinese” afferma essere propria.

Coloro i quali detengono una cittadinanza israeliana all’interno dei territori sovrani del paese, frequentemente si distinguono per attività politiche e terroristiche intese a minare il suo futuro come Stato ebraico, come  ho esposto in un precedente articolo. Questa lealtà estera è dimostrata annualmente nel giorno della Nakba, il quale commemora la “catastrofe” della creazione di Israele, nell’occasione della quale  molte migliaia di cittadini arabi a livello nazionale protestano contro l’esistenza di quello che è palesemente il loro stato. Allo stesso tempo, i residenti di Gaza hanno insediato al potere Hamas allo scopo di cancellare Israele e quelli che si trovano in Giudea e Samaria (la “West Bank”), a parte dall’essere belligeranti, detengono per la maggioranza una cittadinanza giordana (il resto essendo privo di stato, non detenendo alcuna cittadinanza internazionalmente riconosciuta).

Attualmente i “palestinesi” ricadono in vare categorie politiche in rapporto a Israele, le quali includono i cittadini, i residenti permanenti (in virtù del matrimonio con un cittadino israeliano), i residenti temporanei (che usufruiscono della residenza, dei benefici sociali e del lavoro), i visitatori detentori di visa (con permesso di lavoro) e visitatori giornalieri. La situazione relativa ai documenti di viaggio è confusa in egual maniera con arabi che detengono passaporti israeliani, permessi, passaporti temporanei giordani e passaporti dell’Autorità Palestinese.

Zainichi in Israele

“Guardo sia a due stati che a  uno stato. Appoggio quello che appoggiano le due parti.”

Donald Trump, 15 febbraio 2017

Per risolvere le superflue complessità dello status degli arabi in Israele, la premessa zainichi offre tre approcci. Primo, agli arabi è consentito perseguire le loro ambizioni nazionali altrove, magari in Giordania. Questo aprirebbe la strada alla liquidazione del trattamento discriminatorio dell’UNRWA nei confronti dei rifugiati “palestinesi”, riformandolo completamente secondo criteri internazionali che dettano l’integrazione dei rifugiati nelle loro nazioni ospitanti, come avviene con tutti gli altri rifugiati al mondo da parte dell’UNHCR.

Poiché è illogico che Israele garantisca un diritto di cittadinanza a coloro i quali gli negano il diritto di esistere come uno Stato ebraico, quegli arabi che sottoscrivono questo rifiuto potrebbero essere incentivati ad andarsene e severamente penalizzati per rimanere. Dopo un periodo di tempo potrebbero essere deportati nel paese da dove proviene la loro famiglia, se è possibile rintracciarlo facilmente, oppure verso un altro paese terzo di loro scelta o a scelta di Israele, e di nuovo viene in mente la Giordania vista la sua prossimità alla maggioranza “palestinese”.

In seconda istanza, a quegli arabi e non arabi in egual maniera – dato che questo concetto non è razzista nella sua natura ed è inteso per essere applicato a tutti i non ebrei allo stesso modo – i quali siano intenzionati ad assumere su di sé lo stato di apolidie e di vivere nello Stato ebraico come nella propria nazione ospite, verrà conferito uno status similare di residente zainichi. Questo status comporterà tutti i benefici accessori incluso l’intero gruppo di diritti individuali, ma non quelli nazionali.

In conclusione, a tutti coloro che saranno disposti a rinunciare a qualsiasi rivendicazione di nazionalità estera e ad acquisire la nazionalità israeliana, verrà permesso di poterlo fare. È inteso che la nazionalità nello Stato ebraico, così come venne definita quando fu stabilito, significherà diventare parte della nazione ebraico-religiosa, poiché le identità religiose e nazionali del popolo ebraico sono una (caso in oggetto, un ebreo che si converta abbandona il popolo ebraico). Gli individui che desiderano ottenere questo status lo possono ottenere attraverso la conversione, allo stesso modo che il diventare giapponese implica assumere una identità nazionale giapponese. Tutto ciò per ottemperare alla premessa delle leggi correnti di Israele, secondo le quali i non ebrei i quali desiderano naturalizzarsi devono avere “rinunciato alla loro precedente nazionalità”, e coloro i quali desiderano immigrare sotto la Legge del Ritorno devono essere in grado di provare la loro identità ebraica.

Diventare giapponese

Ogni cittadino ha degli obblighi insieme ai suoi diritti a cui deve ottemperare. Un obbligo significativo è la lealtà allo stato, il quale include l’impegno a non intraprendere attività terroristiche che nuocciano alla sua sicurezza e a quella dei suoi residenti”.

Il giudice Avraham Elyakim, Corte del Distretto di Haifa, 6 agosto 2017

Una commissione composta dal gabinetto [egiziano]… ha  revocato la cittadinanza di 800 persone, inclusi i palestinesi”.

Al-Masry Al-Youm, ottobre 2014

Ma attenzione, potreste dire. Come si può togliere la cittadinanza a coloro i quali attualmente la possiedono?

Il fatto è che rientra nella competenza del governo attuare una riforma che ridefinisca le minacce per la sicurezza interna poste da popolazioni ostili con una lealtà estera. Privare della cittadinanza ha un precedente, proprio in agosto le corti israeliane hanno tolto la cittadinanza a  un terrorista arabo, il primo caso di cittadinanza revocata per accuse terroristiche. Sempre in agosto, il governo ha manifestato interesse nel revocare la cittadinanza all’ex membro arabo-israeliano della Knesset,  Azmi Bishara, che ha abbandonato il paese per il Qatar a seguito di accuse di tradimento dopo che aveva aiutato Hezbollah a indirizzare missili contro città israeliane durante la seconda guerra del Libano del 2006.

Mentre questi sono passi benvenuti, sono a malapena sufficienti, perché un’attività terroristica è meramente un sintomo di una identità nazionale ostile e non una causa. Israele non solo si rimodellerebbe sul Giappone se dovesse trasformare i propri cittadini arabi in residenti apolidi arabi, ma copierebbe l’Egitto, il quale non ha subito alcuna riprovazione internazionale per avere revocato la cittadinanza a migliaia  di arabi di Gaza i quali sono stati lasciati senza una cittadinanza riconosciuta. Anche la Giordania ha privato della cittadinanza migliaia di persone in Giudea e Samaria. Infatti, nel 1988, il re Hussein tolse la cittadinanza a più di un milione e mezzo di residenti arabi nella “West Bank”.

È risaputo che in tutto il mondo arabo i “palestinesi” sono soggetti a una  cittadinanza di seconda classe, in gran parte dovuta a una decisione della Lega Araba del 1955 la quale vietò agli stati arabi di garantire la cittadinanza ai “palestinesi” in modo da mantenerli come rifugiati. Non c’è bisogno di dire che gli stati arabi hanno espulso circa 800 mila ebrei revocando loro la cittadinanza negli anni a seguito della costituzione di Israele: per esempio, l’articolo 18 della Legge di Nazionalità Egiziana emendata nel 1956, proclama: “La nazionalità egiziana può essere dichiarata confiscata da parte del Ministero dell’interno nel caso di persone classificate come sionisti”.

Dunque per quale ragione a Israele dovrebbe essere richiesto un più alto standard di comportamento nel garantire uno status politico a una popolazione orientata alla sua distruzione di quanto facciano gli stati arabi nei confronti della popolazione autoctona o il Giappone nei confronti della popolazione coreana o taiwanese?

Ne consegue che questi arabi, se non sono disponibili a rinunciare alla loro fedeltà nei confronti di una nazionalità estera “palestinese” ostile, il cui scopo è quello di rimpiazzare il loro stato ospite, non dovrebbero beneficiare di uno status di residenti apolidi zainichi, poiché la loro presenza minaccia in modo evidente il futuro dello stato.

Un sondaggio Pew del marzo 2016 ha indicato che gli israeliani potrebbero essere predisposti in modo positivo verso questa idea. Ha rilevato che il 48 per cento degli ebrei in Israele ritiene che gli arabi (cittadini e non cittadini) dovrebbero essere trasferiti fuori dal paese mentre un  79 per cento che gli ebrei dovrebbero ricevere un trattamento preferenziale da parte del governo. Ciò sembrerebbe seguire il fondamento del zainichi, nel privilegiare coloro i quali sono dotati di nazionalità e lealtà nei confronti del paese rispetto a chi è dotato di una identità nazionale straniera.

Svariati critici del modello giapponese hanno sollevato alcune questioni relativamente all’applicabilità del modello zainichi, dato il fatto che molti zainichi hanno vissuto nel paese per tre o più generazioni e in larga misura si auto-identificano come giapponesi. Ma nelle circostanze di Israele sarebbe piuttosto appropriato, se uno considera che la maggioranza della popolazione straniera dichiara apertamente di volere rimpiazzare l’identità nazionale del paese e pone una costante minaccia politica e sul piano della sicurezza.

Tu dici Zainichi io dico Ger Toshav

Quello che è accaduto nella corte rabbinica questa settimana costituisce l’inizio di un cambiamento per il meglio e un rinnovamento del prendersi cura dell’umanità da parte del popolo di Israele. Io aspiro ad ancorare lo status di Noachide nella legge“.

Rabbi Uri Sherki, direttore del Centro Mondiale Noachide Brit Olam, a proposito di una corte rabbinica presieduta dal capo rabbino David Lau il quale ha attribuito a George Streichman lo status di Ger Toshav, settembre 2014

Il nucleo dello status di zainichi è di indicare una residenza permanente priva di influenza politica ma con l’opzione di naturalizzarsi e di assumere la nazionalità locale.

Il concetto di zainichi, infatti non è estraneo al giudaismo, dove il concetto sorprendentemente simile di ger toshav (straniero residente) venne introdotto nella Torah più di 3000 anni fa. Per dirla semplicemente, un ger toshav è un non ebreo che vive in Israele e accetta la verità della Torah di Israele e del D-o di Israele, e ha assunto su di sé il compimento delle sette leggi di Noachide. Questo status è stato recentemente resuscitato nel 2014, quando il  primo ger toshav in circa 2.500 anni è stato riconosciuto dal Gran Rabbinato di Israele. E per coloro che desiderano passare da un ger toshav a un ger tzedek (convertito ebraico), l’ebraismo offre la strada della conversione. È ragionevole assumere che in Israele l’attribuzione di uno status equivalente a quello di zainichi comporti le condizioni per essere riconosciuto come un ger toshav.

Ma l’approccio ebraico si può dire che sia più tollerante e aperto di quello giapponese in diversi modi. Gli zainichi sono spesso oggetto di discriminazione, un soggetto che venne esplorato nel film “Go” del 2001, mentre agli ebrei è ordinato dalla Torah di rispettare il ger toshav. Allo stesso modo i discendenti degli zainichi che hanno acquisito la nazionalità e la cittadinanza giapponese sono spesso ancora definiti zainichi e marginalizzati nella società giapponese.

Al contrario un ger toshav che si converta e assuma la nazionalità ebraica è considerato come un ebreo dalla nascita, e la legge ebraica proibisce di trattarlo diversamente. Per coloro i quali desiderino allineare le loro vite a quelle del popolo ebraico nell’acquisire la cittadinanza nello stato nazione degli ebrei, la conversione garantirebbe loro pieni diritti.

È ragionevole ritenere che Israele dovrebbe seguire l’esempio giapponese e permettere a coloro i quali riconoscono e accettano l’identità nazionale ebraica dello stato di vivere come stranieri apolidi permanentemente residenti nel paese. Permettiamo a coloro i quali sono intenzionati a diventare cittadini dello Stato ebraico di convertirsi e diventare parte della nazione ebraica, e mostriamo con fermezza la porta a coloro i quali non accettano lo Stato ebraico e mantengono fedeltà nei confronti di entità straniere. Un beneficio ulteriore nell’implementare un modello zainichi, il quale tratti i residenti arabi di tutte le regioni nello stesso modo, è che per Israele la strada per annettersi la Giudea, la Samaria e Gaza e terminare il dominio straniero dell’Autorità Palestinese sopra la propria terra storica, sarebbe chiara.

Ciò accadrebbe grazie al fatto che Israele possiederebbe gli strumenti politici necessari per gestire la condizione di milioni di residenti con una nazionalità straniera. Se funziona per il Giappone, allora dovrebbe funzionare per Israele. Inoltre, se Israele dovesse applicare il concetto zainichi e acquisire in virtù di esso la stabilità interna, si troverebbe nella posizione di forza di usare le sue energie per affrontare le minacce esterne poste alla sua esistenza, un settore dal quale potrebbe avere in cambio dei suggerimenti dal Giappone.

Traduzione in italiano di Niram Ferretti e Angelita La Spada

Qui l’articolo originale in lingua inglese

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