Come tutto è cambiato dopo il 7 ottobre a cura di Francesco Lucrezi, Sopher Edizioni 2024
È il titolo del terzo libro sul 7 ottobre, dopo quelli, scritti a caldo, di Fiamma Nirenstein e Giulio Meotti, emotivi e incisivi.
Questo libro collettaneo, curato dal professor Francesco Lucrezi ed edito da Sopher, un piccolo e coraggioso editore, è stato presentato nella Comunità Ebraica di Napoli il 10 aprile a cui ha fatto seguito una trasmissione di Radio Radicale.
Un testo che esprime un grido di dolore, sconforto e speranza, potenza etica della radice, memoria, fede ebraica. Una luce di riflessione di fronte a un oceano di odio genocida, l’eterna missione universale di Israele nella sua particolarità, l’esemplarità di libertà e responsabilità dell’ebraismo, l’intensa e commovente condotta degli ebrei di Eretz Israel nell’ora della distruzione e della morte. Lo smantellamento etico razionale della valanga di menzogne mortifere in un mondo alla rovescia, della follia paradossale di un fazzoletto di terra demonizzato come imperialista, la violenza antisemita di piazza etichettata come liberatrice. Infine, un pacifismo che è un puro strumento della guerra di aggressione e sterminio. Un mondo stravolto da un odio feroce, dal piano di una nuova Shoah, in una gelida indifferenza.
Occhi chiusi, cuori di pietra, menti militarizzate per isolare e eliminare Israele.
Mentre l’Iran, accusato dal suo popolo di essere la sua Hamas e Isis, ha aggredito Israele con oltre trecento missili e droni, neutralizzati dall’autodifesa israeliana e dai suoi alleati. Mentre continua la nefasta politica dell’Amministrazione Biden e dell’Unione Europea di pacificazione e complicità con il regime terrorista dell’Iran, che prosegue nella sua corsa atomica.
Leggiamo questo buon libro, con le sue perle di saggezza, domande radicali, inviti alla riflessione, e anche alcune espressioni discutibili ed errate (in una discussione aperta e plurale).
Il curatore Francesco Lucrezi così lo presenta:
“Il sette ottobre ha spezzato la storia, ha sconvolto le nostre vite. Si è aperto un nuovo capitolo dell’antica storia del Male. (…) Sono stati superati tutti quelli che credevamo fossero i limiti del Male. È crollata, anzi, l’idea che il Male possa avere dei limiti. Orrendi fantasmi che ci illudevamo fossero stati non certo sconfitti, ma almeno emarginati, riemergono, moltiplicati per mille, in tutto il mondo, nell’indifferenza, quando non nel compiacimento di molti. Niente sarà più come prima, tutto è cambiato”.
Emanuele Calò, autore di La questione ebraica nella società post–moderna. Itinerari fra storia e microstoria (prefazione di Ruth Dureghello, Napoli 2023) scrive con chiarezza:
“Il post marxismo, frammento sfilacciato del postmodernismo, ha segnato il passaggio dall’opzione binaria ‘borghesia-proletariato’ a quella, del tutto anfibologica, fra oppressori e oppressi. Il primo binomio faceva capo ai rapporti di produzione, mentre il secondo fa capo al solo potere. Nel caso di Israele, a fronte di una popolazione ebraica di sette milioni cinquecento mila ebrei nel mondo, vi sono 49 Stati a maggioranza islamica, e un totale di quasi due miliardi di islamici nel mondo. Sostenere che Israele detenga il potere, a fronte di un mondo islamico povero e debole, diventa davvero problematico, eppure costituisce la ‘doxa’, mentre ‘l’episteme’ diventa un marchio di infamia, tale da renderla estranea al mondo accademico, che firma manifesto su manifesto per cancellare le università israeliane dalla faccia della terra scientifica. Lo si chiami movimento ‘woke’ oppure ‘cancel culture’ o ‘political correctness’, il comune denominatore è costituito da una carica di violenza e intolleranza che ricorda alcune esperienze totalitarie, non certo di sinistra. Un pauperismo in malafede ha sostituito il ruolo del proletariato, e oscurato l’analisi di Marx sul sottoproletariato, secondo la quale esso “rappresenta la putrefazione passiva degli strati più bassi della vecchia società”, che “per le sue stesse condizioni di vita esso sarà piuttosto disposto a farsi comprare e mettere al servizio di mene reazionarie”.
Israele è criminalizzata comunque, per principio.
“Dopo millenni di accuse di deicidio e di malefatte di ogni tipo, lo Stato ebraico sapeva che, anche se si fosse difeso in modo idoneo e in linea con le convenzioni internazionali, sarebbe stato comunque accusato di crimini contro l’umanità, perché Israele, nella comune percezione, è l’ebreo fra le nazioni e non uno Stato come tutti gli altri”.
Ecco le tesi di Douglas Murray, noto intellettuale britannico, collaboratore di The Spectator e autore del libro La pazzia delle folle, sui pogrom mediatici su Gaza:
“a) La responsabilità dei gazawi andrebbe accostata a quella del popolo tedesco sotto il nazismo laddove, ad esempio, la folla gazawa sputa per strada sul cadavere di una giovane violentata, uccisa ed esibita come un trofeo. Poiché i soldati tedeschi erano traumatizzati dalle fucilazioni, i nazisti fecero ricorso alle gassazioni, invece qui non si registrano quelle reazioni, bensì vi è l’orgoglio per gli eccidi.
b) Per celare la Shoah, Hamas dichiara senza alcun problema di volere sterminare gli ebrei, senza ricorrere a giri di parole. Ciò vuol dire che, mentre i nazisti erano consapevoli che si trattasse di una vergogna da nascondere, Hamas se ne vanta, e fa bene, laddove molti media occidentali nemmeno se ne accorgono.
c) Israele è accusata di genocidio, mentre a Gaza si rileva l’esistenza di un boom demografico.”
Heinrich Himmler osservò che sulla “Soluzione Finale” Hitler raccomandò la massima segretezza, mentre Hamas esibisce con il massimo entusiasmo i suoi crimini smisurati, porta le vittime sanguinanti in trionfo tra la folla esultante.
Calò stabilisce un parallelo tra l’attuale disinformazione generalista emotiva su Gaza e i criteri esposti dal diplomatico Usa George Kennan che, in un noto lungo telegramma, informava il suo governo sulle caratteristiche del potere sovietico:
“E hanno imparato a cercare la sicurezza solo nella lotta paziente ma mortale per la distruzione totale del potere rivale, mai in patti e compromessi con esso. Non è una coincidenza che il marxismo, che aveva covato inutilmente per mezzo secolo nell’Europa occidentale, abbia preso piede e sia divampato per la prima volta in Russia. Solo in questa terra che non aveva mai conosciuto un vicino amichevole né alcun equilibrio tollerante dei poteri separati, sia interni che internazionali, poteva prosperare una dottrina che considerava i conflitti economici della società insolubili con mezzi pacifici. Dopo l’instaurazione del regime bolscevico, il dogma marxista, reso ancora più truculento e intollerante dall’interpretazione di Lenin, divenne un veicolo perfetto per il senso di insicurezza di cui erano afflitti i bolscevichi, ancor più dei precedenti governanti russi. In questo dogma (…) trovarono giustificazione la loro istintiva paura del mondo esterno, della dittatura senza la quale non sapevano governare, delle crudeltà che non osavano non infliggere, dei sacrifici che si sentivano obbligati a richiedere”.
Oggi una falsificazione sistematica, schieratissima, insieme a superficialità, pigrizia e noncuranza, rendono l’Italia un paese difficilmente ospitale per gli ebrei.
Magistrale l’intervento di Rav Roberto Della Rocca (Direttore del Dipartimento Cultura e Formazione dell’UCEI). Un avvertimento fondamentale:
“Una certa celebrazione mistica del popolo ebraico, come vittima della Shoah, procede spesso, in modo parallelo, a un misconoscimento dell’ebreo come attore e protagonista nella storia contemporanea. A una sovraesposizione dei cadaveri disincarnati degli ebrei fa spesso da ”pendant” il tentativo di oscuramento del popolo ebraico nella sua specificità. Questa riproduzione dell’ebreo perseguitato diventa pericolosa quando essa viene utilizzata per dimostrare altre tesi, anziché come punto di partenza per porre domande e capire di più. Questa immagine diventa un elemento fondante, semplice e alla portata di tutti, destinata ad altri scopi, strumentalizzata per sostenere quelle tesi negazionista e antisemite, e, in molti casi, contro la legittimità dello Stato di Israele. L’immagine della vittima del nazismo viene infatti accorpata e identificata all’immagine della vittima degli israeliani per una “strana” proprietà transitiva, da cui ne consegue che “gli israeliani si comportano come dei nazisti nei confronti dei palestinesi”.
Con l’evento del 7 ottobre si tenta di assimilare la Shoah ad altri fenomeni contemporanei per ridurne l’importanza e negarne l’unicità.
Ma nonostante che le azioni di Hamas abbiano rievocato gli orrori della Shoah “la situazione del popolo ebraico oggi si presenta sostanzialmente diversa rispetto a quella di ottanta anni fa. Oggi esiste uno Stato ebraico sovrano con un sistema di difesa efficace, che ha mostrato ai suoi nemici che la vita di un ebreo non è più senza valore come poteva sembrare prima del 1948. Tuttavia, la percezione di una correlazione tra la Shoah e il massacro del 7 ottobre rimane forte e trova un riscontro significativo nella tradizione ebraica, nella quale la parola fondamentale per imprimere nella memoria gli avvenimenti è ‘zachòr’, che significa ‘ricorda’. Questo termine ha un significato molto diverso dalla parola ‘historia’, intesa come ricerca, indagine, tipica dell’approccio delle civiltà greca e latina agli eventi. Nella vita ebraica ci si trova di fronte a una storia della memoria, in cui sono i flashback e le libere associazioni a dominare dove il ragionamento tematico è sicuramente privilegiato rispetto a quello cronologico”.
Lo Stato di Israele è osteggiato proprio per quello che è, per i suoi valori, le sue qualità di libertà e democrazia, per essere un laboratorio politico, sociale, culturale unico al mondo.
“Israele sembra essere tutto ciò che l’Europa non riesce a diventare. Ma Israele non è una nazione inventata sulla carta. Piuttosto, è il popolo di Israele che ha saputo reinventarsi. L’esistenza di Israele dice al mondo occidentale che il popolo ebraico continua ad esserci, non intende scomparire né cedere alle lusinghe di una assimilazione che, in passato, ha rappresentato spesso la ragione della sua rovina. Cancellare la propria identità vuol dire cadere nell’indistinzione, nelle trappole di una falsa uguaglianza incapace di valorizzare qualsivoglia differenza. Il sionismo nasce proprio dall’esigenza di dare una risposta all’assimilazionismo, altra faccia dell’antisemitismo”.
“In molti sostengono che se non ci fosse stata la Shoah, Israele non sarebbe mai nata. Forse è arrivato il momento di dire che – semmai – è il contrario. Israele nasce malgrado la Shoah e non è un risarcimento, perché non esistono tragedie risarcibili”.
Rav Della Rocca ci ricorda che non esiste un mitico Stato di Israele ideale, ma un Israele con le sue potenzialità e limiti, con la sfida di essere riconosciuto all’interno della comunità internazionale.
Nel riferimento all’episodio biblico della lotta di Giacobbe con l’angelo “dobbiamo intendere il nome di Israele come un nome di lotta, portato da coloro che sono impegnati in un combattimento contro l’oscurità della barbarie e l’oblio della coscienza”.
Dallo scritto di Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma, riportiamo:
“I testi di preghiere, sedimentati per secoli, esprimono le tante difficoltà sperimentate dai singoli e dalla collettività. Come se tutto fosse già previsto a pochissime ore dagli eventi, la stessa mattina di quel sabato, apprese le prime notizie dello scempio e della cattura di ostaggi, ci siamo trovati a ripetere una formula del rito italiano dettata da secoli di sofferenza che recitiamo ogni sabato mattina, spesso in modo automatico, ma che in quel momento riprendeva la sua drammatica attualità:
‘Fratelli d‘Israele e Israeliti che sono sottoposti a violenza, e Israeliti che sono posti in disgrazia e rapiti, che il Signore con la Sua misericordia abbia pietà di loro e sia benevolo con loro e con noi per il Suo grande nome, li salvi e ci salvi, li faccia uscire e ci faccia uscire dalla ristrettezza al benessere e dal buio alla luce, presto’”.
Francesco Lucrezi si chiede in Come è cambiata l’etica dopo il Sette Ottobre:
“Esiste, nella storia della civiltà umana, quella cosa chiamata progresso?” e poi “Ma esiste il progresso, anche sul piano dell’etica, dei valori?” La risposta: “No, non esiste”.
Paolo Ferrara, consigliere della Comunità, che si è impegnato nel dialogo tra ebrei e cristiani, riflette sul regresso di tale dialogo dopo il 7 ottobre. Forse una larga parte dei cristiani è diventata prigioniera della narrazione mediatica, senza una propria valutazione critica, e manifesta contro lo Stato ebraico a fianco dei sostenitori di Hamas, considera un’organizzazione terrorista come una forza di resistenza paragonabile alla storica resistenza antifascista. La Chiesa cattolica considera l’autodifesa israeliana come una “cieca vendetta” e invoca “una pace quasi da dimensione messianica, frutto di un sogno e non di un progetto”.
Ricorda che lo stesso Gandhi scriveva nella sua autobiografia: “Sebbene la violenza non sia lecita, quando viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi, è un atto di coraggio, di gran lunga superiore alla codarda sottomissione”.
“La Chiesa deve capire che – scrive Ferrara – non riconoscere o sottovalutare gli orrori commessi da Hamas, osteggiare Israele accusandolo di genocidio e nazismo, e non riconoscere l’enorme pericolo insito nell’aumento dell’antisemitismo, porta alla fine dello Stato di Israele e forse degli ebrei, ma che è anche un suicidio dello stesso mondo cristiano e dei suoi valori”.
Daniele Coppin, consigliere della Comunità, sottolinea un aspetto poco riconosciuto: di fronte all’intolleranza negazionista di diversi accademici e intellettuali “è stata la reazione delle persone comuni, dell’uomo strada, a quanto accaduto il 7 ottobre, la sorpresa positiva per molti di noi. Sono state tante le espressioni di solidarietà da parte dei colleghi di lavoro, di conoscenti, persone con cui non si era più in contatto da tempo, a dimostrarci una vicinanza di cui si sarebbe potuto dubitare”.
L’intervento di Sergio Della Pergola, per diversi aspetti pregevole, contiene espressioni e temi discutibili e inaccettabili.
Bene quando scrive: “Il 7 ottobre lo slogan ‘Mai più’, figlio naturale della Shoah unica e irripetibile, è morto in tragiche circostanze. ‘Mai più’ che cosa, se è già avvenuto di nuovo?”.
Bene la denuncia di Hamas, dell’ONU, delle femministe filo-terroriste, della Chiesa cattolica di Papa Bergoglio, dei cardinali Ravasi e Pizzaballa, degli accademici italiani e degli USA, del New York Times, dell’ISPI, della BBC, di Limes, della folla fanatica delle piazze.
Giusta la constatazione del “drammatico fallimento dei servizi israeliani di intelligence militare e civile nel prevedere e nel monitorare gli eventi”. Motivata questa critica: “L’idea fondante del Premier Benyamin Netanyahu era che Hamas non costituisse un pericolo per via del deterrente militare israeliano, e che i benefici economici, incluso l’impiego di 20.000 pendolari in Israele, promuovessero la non belligeranza. Idea che si è rivelata fallimentare”.
Ma quando la critica politica diventa demonizzazione finisce con l’allineamento alle condanne di Hamas, Iran, Jihad Islamica, Erdogan, e si configura il capo di un governo di relativa unità nazionale con gli stereotipi antisemiti dell’ebreo vendicativo, ecc.
Quando scrive: “Ha coinvolto il paese in una disastrosa controversia interna, cercando di imporre una malaugurata rivoluzione costituzionale di carattere totalitario, portando gli Israeliani sull’orlo della guerra civile” non tiene conto di una serie di fattori. Una riforma costituzionale per sua natura deve essere bipartisan, non stravolta da una polarizzazione bilaterale. Si tratta di una controversia complessa e intricata. Sono pericolose e fuorvianti le forzature sia governative sia dell’opposizione.
Per un ordine costituzionale condiviso occorre, nella divisione dei poteri, il primato della Knesset, l’indipendenza della magistratura, l’autonomia della politica. Poteri limitati, senza superpoteri.
Consideriamo l’autorevole studioso ebreo Ugo Volli, che sostiene su Shalom:
“Per delegittimare la sua autodifesa, si accusa lo Stato ebraico e in particolare il primo ministro Netanyahu ‘nuova personificazione dell’ebreo maligno di medievale memoria’, di ostinazione insensata, di crimini di guerra, addirittura di genocidio. Sono falsità propagandistiche, nella migliore delle ipotesi ipocrisie e sciocca dipendenza dalla disinformazione, in cui si distinguono antisemiti, putinisti, odiatori della libertà e dell’Occidente”.
Inoltre, quando Della Pergola scrive che il primo ministro avrebbe messo a repentaglio le relazioni tra Israele e Stati Uniti, tradizionalmente bipartisan, non tiene conto delle gravi responsabilità dell’Amministrazione Biden nelle indebite ingerenze sulla politica e sulla autodifesa di Israele. Attacco alla sovranità israeliana dettato da contingenze elettorali, oscillazioni e assenza di strategia globale.
Una ventata di saggezza biblica talmudica nell’intervento di Luciano Baruch Tagliacozzo (dottore in Studi Ebraici, scrittore, interprete e traduttore di testi delle Scritture e della tradizione ebraica):
“Fra il XIX e il XX secolo abbiamo avuto tre rapidi cambiamenti del popolo ebraico. L’emancipazione dai Ghetti, la Shoah, lo Stato ebraico. Tutti e tre gli eventi erano stati richiesti o paventati per millenni dalle preghiere ebraiche millenarie, che a loro volta avevano sostituito l’altare dei sacrifici quotidiani dopo lo sterminio e la Diaspora da parte dei Romani.
Chi ha espresso nella sua opera i nuovi significati della Parola, è stato nel XX secolo il Rabbino Avraham Yzchak Kook, nel libro Orot (le luci) e Orot Hakodesh (Le Luci della Santità). Dal suo arrivo in Israele, nel 1909, Rav Kook viaggiò nei nuovi insediamenti agricoli dell’Yshuv, propagandando nuovi significati della Torah, nuove possibilità della vita del popolo nella Terra dei padri. Questa sua opera egli la definiva con il verso biblico ‘L’oro di questa terra era migliore’; questa diversa modalità dà la possibilità alla Torah di essere vista con 70 facce, una per generazione”.
“Dice Rav Kook: ‘La Terra d’Israele non è una cosa profana, una acquisizione estranea al popolo, solo in linea stessa con lo scopo del racconto collettivo, e della forza di ricostruzione materiale o persino spirituale, la Terra d’Israele è tagliata nella sua essenza, legata con un nodo vitale con il popolo, abbracciata con il tesoro intimo con la sua essenza, e per questa ragione è impossibile prescindere dalla santità di Eretz Israel.’ (Orot, 1,1)”
Alla presentazione del libro, Tagliacozzo ha citato dal commento di Rashi al libro di Bereshit la parola profetica : “Ci accuseranno di essere ladri di terre!”.
Nel libro seguono poi interventi più o meno significativi, tra gli altri quelli di Giuseppe Crimaldi, Cesare Israel Moscati, Rabbino di Napoli, Mario Paganoni, Paolo Pollice, ordinario di Diritto Civile, e presidente dell’Osservatorio Enzo Sereni.
Un libro da leggere, e far leggere agli amici. Per contrastare l’odio smisurato, e affermare i valori radicali, radicati, indistruttibili della civiltà ebraica.