Ai due attentati in meno di un mese, sempre di venerdì santo, costati la vita a tre poliziotti israeliani, Israele ha risposto con l’installazione di metal detector davanti al Monte del Tempio di Gerusalemme, per i musulmani Spianata delle Moschee, il sito religioso più conteso al mondo.
Una misura doverosa e ineccepibile, considerando che in quello che è considerato il terzo luogo sacro dell’Islam circolano armi con eccessiva e inspiegabile facilità. Ne è una dimostrazione l’attentato di venerdì scorso, costato la vita a due poliziotti drusi, dalla dinamica piuttosto inquietante: gli assassini si sono riforniti di armi all’interno della moschea di Al Aqsa e poi hanno fatto fuoco contro le guardie.
Evidentemente, per taluni fedeli la priorità non è pregare per il venerdì santo, ma approfittarne per compiere attentati contro gli israeliani.
Non c’è da stupirsi se il governo israeliano abbia deciso di chiudere temporaneamente il complesso, in attesa di prendere decisioni fondamentali per la sicurezza: l’installazione di metal detector, ad esempio. Che ci sono in altri luoghi sacri: all’ingresso del Kotel, il muro del Pianto, ma anche in Vaticano e, udite udite, a La Mecca. Inutile ricordare che check point e metal detector sono abbastanza frequenti in Israele. Una necessità per garantire la sicurezza di tutti, arabi e musulmani compresi.
Eppure, con un’eccessiva dose di malafede, la decisione di installare metal detector davanti alla Spianate delle Moschee ha esacerbato gli animi al di là di ogni ragionevole aspettativa. Il “moderato” Abu Mazen, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese che nell’occasione ha quasi fatto rimpiangere Arafat, ha annunciato la chiusura di ogni rapporto diplomatico con Israele. Le sue parole di fuoco hanno fomentato gli animi degli arabi palestinesi, quasi istigando ad una nuova intifada. La terza, o quarta se si considera come “terza intifada” la cosiddetta “intifada dei coltelli di fine 2015.
Ad una settimana di distanza dal duplice omicidio dei due poliziotti drusi, le autorità palestinesi hanno proclamato la “giornata della collera” in vista del nuovo venerdì santo. Un epilogo di una settimana ad alta tensione, caratterizzata anche da fedeli che hanno deciso di pregare davanti ai metal detector, senza attraversarli per accedere alla Spianata delle Moschee. Una protesta tanto plateale quanto minacciosa, considerando i disordini annunciati per il venerdì santo caduto ieri, 21 luglio.
Disordini che ci sono stati e hanno trasformato la Gerusalemme vecchia in un campo di battaglia, nonostante le misure di sicurezza decise dal governo israeliano, tra cui il divieto d’accesso agli under 50 nella zona della Spianata.
Un provvedimento motivato dalla necessità di evitare sovraffollamenti in seguito all’annuncio di disordini e probabili violenze, spacciato in totale malafede per “discriminazione liberticida” e addirittura causa delle violenze stesse, che erano invece già ampiamente state annunciate.
Tre morti tra gli arabi palestinesi durante i disordini a Gerusalemme, poi in serata la strage di un’intera famiglia di ebrei da parte di un terrorista palestinese, che ha fatto irruzione in un’abitazione di un insediamento ebraico accoltellando e uccidendo padre sessantenne e due figli quarantenni, ferendo gravemente la madre.
Una durissima escalation di violenze.
Una nuova intifada? Non possiamo saperlo. Ma è sotto gli occhi di tutti che il motivo dell’ondata di odio e violenza è perlomeno risibile: l’installazione di quei metal detector utili alla sicurezza e alla prevenzioni di tutti. Metal detector che, è bene ricordarlo, sono stati installati dopo due attentati in meno di un mese, compiuti con la scusa del venerdì santo.
Chi sarà disposto a difendere la violenza palestinese questa volta?
Violenze e morti a Gerusalemme in nome dei metal detector
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