La decisione della Corte Penale Internazionale di emettere due ordini di arresto nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per presunti crimini di guerra, era attesa, ed arriva con preciso tempismo a due mesi esatti dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.
Ciò che la precedente Amministrazione Trump pensava dell’organismo giuridico con sede all’Aia, venne espresso con chiarezza dall’allora Segretario di Stato Mike Pompeo nel 2020:
“La Corte penale internazionale è un organismo politico, non un’istituzione giudiziaria. Questa sfortunata realtà è stata confermata ancora una volta dal tentativo del Procuratore della CPI di affermare la giurisdizione su Israele, che come gli Stati Uniti, non fa parte dello Statuto di Roma che ha creato la Corte…Come abbiamo chiarito quando i palestinesi hanno dichiarato di volere aderire allo Statuto di Roma, non crediamo che i palestinesi possano essere considerati facenti parte di uno Stato sovrano e, pertanto, non sono qualificati per ottenere la piena adesione o partecipare come Stato a organizzazioni, entità o conferenze internazionali, inclusa la CPI”.
Pompeo si riferiva alla richiesta mossa dall’Autorità Palestinese a nome dell’inesistente Stato Palestinese, in merito a presunti crimini commessi da Israele a Gaza e in Cisgiordania e accolta dall’allora Procuratore Capo della Corte, Fatou Bensoudahttps://www.linformale.eu/la-corte-penale-internazionale-e-il-caso-israele/.
Di fatto, l’attuale emissione degli ordini di arresto prosegue questa indagine incrementando l’elenco dei presunti crimini con quelli di cui Israele è accusato relativamente alla guerra in corso a Gaza, oggetto di una offensiva senza precedenti sotto il profilo legale. Offensiva che ha come epicentro l’ONU, l’istituzione sovranazionale che dal 1967 ad oggi non ha mai perso una occasione per accanirsi contro lo Stato ebraico, rispetto a qualsiasi altro Stato membro.
Ci troviamo al cospetto di una decisione che nulla ha di legale, ma che ha la sua ragione d’essere unicamente nella politica. Non esiste, infatti, alcun materiale fattuale accertato in modo indipendente che possa confermare che Israele avrebbe commesso crimini di guerra o crimini contro l’umanità, tutto l’apparato accusatorio si basa interamente su accuse generiche le cui fonti testimoniali non sono accertabili.
Un’ordine d’arresto di questo tipo, il primo in assoluto emesso contro un leader democratico il quale sta guidando il suo paese contro le forze eterogenee dell’integralismo islamico, ponendola a fianco del leader sudanese Omar al-Bashir e di Vladimir Putin, difficilmente avrebbe visto la luce con una nuova Amministrazione Trump insediata a Washington. Sempre Pompeo, nella dichiarazione fatta nel 2020, affermava che:
“Gli Stati Uniti ribadiscono la loro obiezione di lunga data a qualsiasi indagine illegittima della CPI. Se la CPI continua con il suo corso attuale, ne esigeremo le conseguenze”.
Né gli Stati Uniti né Israele hannno aderito allo Statuto di Roma sul quale si incardina il potere sovranazionale della Corte, ma il problema sussiste per tutti i centoventi paesi che ne fanno parte e dove, tecnicamente, sia Netanyahu e Gallant potranno essere arrestati se vi metteranno piede.
Ci troviamo al cospetto dell’ennesimo atto della più lunga e inarrestabile criminalizzazione di Israele di cui si abbia memoria dal dopoguerra ad oggi, parallela, inevitabilmente, a un preoccupante rigurgito di antisemitismo.
Fin dall’inizio della guerra scatenata da Hamas il 7 ottobre scorso, Israele non sta combattendo solo contro i nemici che ha in casa e alle proprie porte, ma con la ramificata estensione dei suoi fiancheggiatori, buona parte dei quali sono in Occidente, e di cui l’ONU e i suoi addentellati, rappresenta uno dei fronti più agguerriti.