Mentre a nord si inasprisce lo scontro tra Israele e Hezbollah, con il rischio dell’apertura di una guerra a tutto tondo, Hamas continua a chiedere quello che da parte di Israele è irricevibile, la fine della guerra, ovvero la sua permanenza a Gaza.
I tentativi americani di costringere Israele a un accordo al ribasso si scontrano con il fatto duro e insormontabile che per Hamas Israele deve perdere la guerra. La guerra che Hamas ha voluto, che Hamas ha provocato, il 7 ottobre del 2023.
Ieri, Yahya Sinwar, il capo militare di Hamas a Gaza ha dichiarato che la morte dei civili palestinesi è un “sacrificio necessario”. Nulla di sorprendente per chi conosce Hamas. Il gruppo jihadista ha sempre lucrato sulla morte dei civili, usati come carne da macello per potere poi incolpare Israele di massacri indiscriminati se non di genocidio.
La dichiarazione di Sinwar è perfettamente in linea con la cultura della morte e del martirio professata dagli integralisti islamici, nella consapevolezza che questa carta diventa vincente quando i martiri non sono volontari, non si fanno saltare in aria con cinture esplosive ma diventano la popolazione di Gaza, i civili. Se non si donerà il proprio sangue volontariamente alla causa del jihad lo si farà obtorto collo, in modo da fomentare le piazze occidentali e l’odio nei confronti di Israele.
Chi, in questi mesi, ha inneggiato alla “liberazione” della Palestina dal fiume al mare, lo ha fatto sempre e solo in ossequio all’integralismo islamico, alla cultura della morte, a chi ha cinicamente usato e sta cinicamente usando uomini, donne e bambini come carne da sacrificare sull’altare del proprio fanatismo.
Che oggi, in tanti in occidente pensano che la responsabilità di quanto sta accadendo a Gaza sia principalmente di Israele, mostra solo a che punto di profondo e forse irrecuperabile smarrimento della ragione si sia giunti.
Le livide parole di Sinwar stanno a testimoniarlo inequivocabilmente.