Il progressivo scollamento della Casa Bianca nei confronti della guerra in corso a Gaza si è manifestato con ritmo sempre più serrato negli ultimi mesi. Dichiarazioni critiche, spesso anche brutali, con corredo di insulti personali rivolti da Joe Biden all’indirizzo di Benjamin Netanyahu, a seguire in linea di continuità il celebre, “chicken shit” (merda di gallina) rivoltogli da un alto funzionario dell’Amministrazione Obama ai tempi del gelo tra Stati Uniti e Israele.
Troppi civili morti, questo è il mantra americano, nonostante il numero dei civili morti, sempre dando per buone le cifre del tutto implausibili di Hamashttps://www.tabletmag.com/sections/news/articles/how-gaza-health-ministry-fakes-casualty-numbers sia molto al di sotto di quello delle guerre americane in Iraq, di quella civile siriana. Ma non importa. Tastando il polso della situazione, guardandosi intorno da Dearborn https://www.linformale.eu/dearborn-vale-bene-una-messa/ a Hollywood, dove molti dei presenti alla consegna dell’Oscar indossavano spille di solidarietà per Gaza e il regista vincitore del miglior film straniero, ebreo confezionatore di un film su Auschwitz, ha fatto un bel discorso anti-israeliano che sarà piaciuto enormemente a Norman Finkelstein, Biden e il suo staff non possono non prendere atto che la guerra delle guerre (enfatizzata come se mai altre prima non ce ne furono), deve terminare.
C’è un problema tuttavia, ed è il governo in carica, democraticamente eletto e presieduto da Netanyahu, il governo che tutta la stampa di sinistra urbi et orbi bolla di estremismo, un governo che vuole che la guerra termini con il conseguimento dell’obiettivo di tutte le guerre subite dopo un feroce attacco, la sconfitta dell’aggressore.
L’avversione da parte dell’Amministrazione Biden per il governo Netanyahu si è manifestata fin dal principio ed è sempre stata costante, ora è giunta al culmine. L’ultima intervista data da Joe Biden in televisione ha messo in luce in modo perentorio la realtà https://www.msnbc.com/jonathan-capehart/watch/exclusive-interview-with-president-bidenfollowing-state-of-the-union-address-206036549772 . Netanyahu fa il male di Israele, ovvero, in estrema sintesi, Netanyahu è il male dello Stato ebraico.
Prima di lui, aveva provveduto a dissodare il terreno, Kamala Harris affermando che non bisogna confondere il governo israeliano con Israele, il che, specularmente, riflette un’altra ovvietà, non bisogna confondere questa amministrazione americana con gli Stati Uniti.
Netanyahu ha risposta a Biden per rime, prima con una intervista a Politicohttps://www.politico.eu/article/israels-netanyahu-says-he-will-defy-bidens-red-line-and-invade-rafah/, poi con una a Fox News, in cui ha detto che no, lui non è il male di Israele e che la supposta linea rossa definita da Biden nella sua intervista alla MSNBCM, l’ingresso a Rafah, deve essere superata se Israele vuole farla finita con il dominio di Hamas a Gaza.
Ora appare sulla scena il rapporto annuale dell’intelligence americana sulle minacce alla sicurezza degli Stati Uniti, dove è scritto che a Washington si aspettano, attenzione, “grandi proteste che chiedono le sue (di Netanyahu) dimissioni e nuove elezioni”. Occorre proseguire. La maggioranza degli israeliani “sostengono la distruzione di Hamas”, tuttavia l’aumento dei civili morti ha fatto aumentare la disaffezione nei confronti di Netanyahu, inoltre, “Israele dovrà affrontare una dura resistenza armata di Hamas negli anni a venire e che faticherà a distruggere l’organizzazione terroristica”.
Esaminiamo i punti. Finora le proteste interne contro Netanyahu sono state minime, nulla di paragonabile alle proteste “spontanee” contro la riforma della giustizia, che per nove mesi hanno agitato il paese, tuttavia, saranno grandi. Spontaneamente grandi. Da Washington il futuro si vede chiaramente. La resistenza di Hamas durerà negli anni. Affermazione singolare visto che a Rafah sussistono solo quattro battaglioni e che il grosso delle forze dell’organizzazione è stato smembrato. La resistenza di Hamas può durare a lungo, anni, solo se Israele non entrerà a Rafah per portare a compimento il lavoro cominciatohttps://www.tabletmag.com/sections/israel-middle-east/articles/israel-winning-gaza. Netanyahu ha credibilmente affermato che, una volta a Rafah, l’operazione militare si potrà concludere nel giro di quattro, sei settimane, poi, ovviamente, eliminato il grosso di Hamas, sarà necessario restare nella Striscia per un periodo lungo in modo da bonificarla da residui terroristici, ma dopo che Hamas sarà sconfitto a Rafah, Israele potrà annunciare la vittoria.
Fare cadere il governo Netanyahu è il prerequisito fondamentale per l’Amministrazione Biden in modo da avere al suo posto un governo più malleabile idealmente a trazione Gantz-Lapid, che possa fare propria l’agenda americana: un governo di Fatah nella Striscia, magari composto anche con una residualità di Hamas, e uno Stato palestinese in Cisgiordania, ovvero un nuovo crocevia per il jihadismo.
Tutto questo, per Netanyahu è palese. Una cosa è certa, non sarà facile per Biden toglierlo di mezzo,