Tutti lo vogliono l’accordo con Hamas, ovvero l’accordo di capitolazione di Israele. Lo vogliono in primis gli Stati Uniti, in modo da conferire a Joe Biden che a sua volta potrà consegnarlo alla delfina Kamala Harris, il suo primo e vistoso successo in politica estera, lo vuole il braccatissimo e ormai a corto di fiato dead man walking Yahya Sinwar, lo vogliono Teheran e Hezbollah, pegno da pagare per non attaccare Israele in attesa del prossimo round, lo vogliono le Cancellerie internazionali e lo vuole una parte consistente dell’establishment israeliano, e, ovviamente, quella che Daniel Pipes, qui su l’Informale ha definito la lobby deegli ostaggi.https://www.linformale.eu/la-lobby-degli-ostaggi-ha-sconfitto-quella-della-vittoria-intervista-a-daniel-pipes/.
In questo scenario, la parte del villian, a lui assegnata già da tempo, spetta a Benjamin Netanyahu, presentato come colui che continuamente cerca di fare arenare l’accordo, ostaggio dell’impresentabile copia di ultranazionalisti, Smotrich e Ben Gvir.
Da quando, a fine maggio, Joe Biden rilanciò l’accordo intestandosene la paternità, Netanyahu è stato presentato come il fastidioso addensatore di codici e codicili, mica come Hamas, che, ne ha ostacolato e ne ostacola l’adempimento.
Ora, per ferragosto, giorno in cui si incontreranno i negoziatori, Bibi è stato messo con le spalle al muro. Quest’accordo s’ha da fare, se non lo farà, l’Iran attaccherà (ed è superlativo vedere il confermarsi dell’asse americano-iraniano, fatto di intese, rassicurazioni, reciproci interessi, ancora più estesi se diventerà presidente o presidenta il brocco trasformato improvvisamente in purosangue, la ridanciana Kamala Harris).
Netanyahu in realtà chiede rassicurazioni precise, che Hamas non possa utilizzare a suo vantaggio, come ha fatto tutti questi annni con la complicità egiziana il corridoio Filadelfi, per contrabbandare armi, e del quale esige il controllo, così come vuole che si instauri un meccanismo che impedisca agli sfollati di ritorno, migliaia e migliaia di nascondere al suo internno uomini armati, e poi c’è, tra le altre cose la questione del numero di prigionieri di massima sicurezza che Hamas vorrebbe venissero rilasciati in cambio degli ostaggi, tra cui lo zar del terrore, il pluriergastolano, il “Mandela” palestinese, secondo la pubblicistica della propaganda, Marawan Baraghouti. Questo e altro. D’altronde, come ha già detto Yoav Gallant, non l’ultimo della fila, e certo non il primo a dirlo, Israele deve rinunciare al suo obiettivo di vittoria, ovvero smilitarizzare completamente Gaza da Hamas, dopo dieci mesi di guerra e più di trecento soldati israeliani morti pour la patrie. Si riportino a casa gli ostaggi, quel che resta, e si finisca così. Biden sarà contento, Khamenei pure, e insieme a loro tutti gli altri.
Tocca dunque a Netanyahu in questo ultimo round, che è, come lui sa bene, un round con la storia. decidere cosa è meglio per Israele, per il suo futuro, cedere al ricatto, perché di questo si tratta e di niente altro, mascherato da saggia decisione per evitare l’escalation, ovvero soprattutto preservare l’Iran da un massiccio contrattacco israeliano se dovesse attaccare Israele, oppure tenere duro sui requisiti fondamentali, preservare la sicurezza dello Stato, togliersi dal fianco definitivamente la spina di Hamas, e prepararsi, dopo anni all’appuntamento fatidico con il suo principale antagonista, il regime di Teheran.