«Blogger» presso Il Sole 24 ore, Ugo Tramballi è specializzato nel diffondere la peggior propaganda palestinese, che cerca di spacciare sotto forma di analisi «imparziali». Il giornalista, infatti, è uno di quelli che ama celara la propria avversione per Israele dietro a un discorso anti-Netanyahu e, più in generale, «antifascista».
Come tutti i conformisti di sinistra rimpiange Yitzhak Rabin, trasformato in santo laico dopo l’omicidio, dimenticando che i suoi compagni e amici progressisti, forse lui stesso, ma non lo sappiamo, non mancarono di accusare anche il leader laburista di «fascismo», soprattutto in relazione alla frase sulla necessità di rompere le braccia ai palestinesi che tiravano pietre durante la prima Intifada.
Tramballi è ossessionato dalla destra israeliana. Non esiste, praticamente, suo articolo che non contenga un riferimento a un presunto «messianismo ebraico» o alle «destre nazional-religiose». Si è convinto che Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir siano la versione ebraica di Hamas e che vogliano realizzare il progetto della «Grande Israele». Si tratta del riciclo della menzogna fabbricata, negli anni Trenta, da Amin Al-Husseini, il Muftì filonazista di Gerusalemme, secondo cui i sionisti volevano impadronirsi di tutte le terre arabe e radere al suolo la moschea di al-Aqsa.
In realtà, Ben-Gvir e Smotrich, sono solo due ebrei israeliani fieri di esserlo, che non intendono continuare a fare da bersaglio ai terroristi di Hamas per soddisfare i sogni irenici e ingenui di gente come Tramballi. Mentre compila i suoi trafiletti per Il Sole 24 ore su come faccia fatica ad accettare un governo «nazional-religioso», gli israeliani, soprattutto se residenti in Giudea e Samaria, cercano di non farsi sparare lungo la strada che li riporta a casa o di evitare che le loro auto di seconda mano vengano rubate e portate nel territorio controllato dalla «Autorità Palestinese».
I cosiddetti «coloni», che il nostro dipinge come subumani «razzisti», sono persone normali che ogni giorno si battono per vivere in una terra nella quale hanno diritto di risiedere.
Tramballi, sebbene ami sfoggiare il suo curriculum di giornalista, non ha compreso nulla della realtà israeliana e della mentalità islamica, ancorato com’è a idee e concetti sconfessati dalla realtà. Il jihad condotto da Hamas e da Hezbollah col supporto dell’Iran non è la reazione violenta a una disputa territoriale. Gli arabi-palestinesi non combattono una guerra per la terra, bensì una guerra ideologica, «santa», volta a sterminare i circa sette milioni e mezzo di ebrei che vivono nei confini dello Stato d’Israele.
A questi fanatici, Tramballi vorrebbe regalare uno stato, anzi, a suo dire lo vorrebbero tutti: «lo stato palestinese che invocano l’amministrazione Biden, cinesi, russi, europei, Sud globale, arabi buoni e cattivi. Tutto il mondo, tranne Israele». Viene da chiedergli: dove dovrebbe sorgere questo «Stato palestinese»? Sui monti della Giudea così che i cecchini arabi possano mirare più facilmente agli israeliani? Oppure in una Gaza nuovamente retta da un gruppo jihadista?
Israele è un Paese piccolo e stretto, circondato da grandi e instabili Stati arabo-musulmani. Sottrargli altro territorio equivarrebbe a condannarlo a morte. Inoltre, come ha chiarito Yoram Ettinger proprio su queste pagine: «Uno stato palestinese significherebbe una base navale o aera russa al suo interno, e possibilmente una base militare iraniana che sconvolgerebbe drammaticamente il corrente equilibrio dei poteri nel Mediterraneo, già il ventre molle dell’Europa. Comporterebbe anche la devastazione di ciò che resta dei centri cristiani di Giudea e Samaria. Betlemme e Bet Jalla una volta erano centri a maggioranza cristiana fino agli Accordi di Oslo del 1993».
Sono queste, però, considerazioni strategiche e politiche che non interessano a Tramballi, troppo impegnato a sfoggiare i suoi buoni sentimenti e a coccolare il «Sud globale», gli arabi «buoni» e soprattutto quelli «cattivi», che difende con un ardore sospetto. Non si stanca mai, infatti, di ripetere che «Hamas non può essere sconfitto». Nel ’39 avrebbe detto che Hitler non poteva essere sconfitto (e avrebbe avuto ben più ragioni per pensarlo).
Secondo lui, Netanyahu dovrebbe accettare un accordo con Hamas, ossia con macellai imbottiti di Captagon, per far cessare una guerra che, a suo dire, non può essere vinta. In altri termini: vuole preservare il dominio di Hamas nella Striscia, così che in futuro possa esserci un nuovo 7 ottobre.
Tramballi, come direbbe John Bolton, è uno che fa della diplomazia un fine quando è solo un mezzo. Decenni di accomodamenti con Hamas non hanno prodotto nessuna pace, perché adesso dovrebbe essere diverso? Dubitiamo abbia una risposta razionale. I suoi articoli trasudano una pelosa indignazione, ma non forniscono nessuna soluzione concreta. Si limita a evocare idee platoniche e concetti puri: «Pace» e «Democrazia».
Non si capisce mai se sia un collaborazionista del jihad o un ingenuo utopista. Forse, la seconda ipotesi è la più probabile. Il conflitto israelo-palestinese gli permette di sfoggiare la sua «umanità». Leggere Tramballi è il miglior modo per continuare a non capire nulla del Medio Oriente, in compenso aiuta a farsi un’idea delle dimensioni del suo ego.