Islam e Islamismo

Mosaico siriano

Dal 2011, ossia dall’inizio della cosiddetta «Primavera siriana», diventata molto rapidamente «Guerra civile siriana», i politici e i mass media occidentali hanno costantemente rilasciato dichiarazioni sul «popolo siriano», come se si trattasse di un raggruppamento nazionale omogeneo. 

In realtà, il «popolo siriano», come ha spiegato Mordechai Kedar proprio su queste pagine, è un insieme di fazioni etniche e religiose e storicamente in lotta tra loro. 

Il gruppo dominante, che rappresenta circa i due terzi della popolazione, è quello degli arabi di fede sunnita; il 12 percento sono alawiti, ossia arabi appartenenti a una setta dell’Islam sciita; il 9 percento sono curdi, un popolo di etnica iranica che pratica una particolare forma di Islam sunnita nota come «sciafeismo»; il rimanente 10 percento è formato da varie sette e confessioni cristiane (cristiani arabi, assiri e armeni), la rimanenza da un miscuglio di gruppi etno-religiosi tra cui drusi, turkmeni e circassi. 

Per comprendere al meglio il quadro è necessario concentrarsi sugli arabi sunniti, gli alawiti e i curdi. Dopo essere stata per secoli una provincia dell’Impero Ottomano, la Siria tra il 1920 e il 1946 finì sotto il controllo della Francia, e solo nell’aprile del 1946 ottenne la piena indipendenza col nome di «Repubblica Araba di Siria». Dopo un periodo di violenta instabilità, caratterizzato da scontri armati tra sunniti e sciiti, nel 1970 il generale Hafez Assad, padre di Bashir e membro del Baath, prese il potere con un colpo di Stato. 

La maggioranza sunnita, egemonizzata dalla Fratellanza Musulmana, si vide definitivamente sconfitta e sottoposta al dominio del Partito Baath, di cui la minoranza alawita costituiva la spina dorsale. 

Nel 1980, dopo che un fallito tentativo di assassinare il presidente Hafez Assad fallì, questi si scagliò ferocemente contro i sunniti. Nel 1982, la città di Hama, roccaforte della Fratellanza Musulmana, fu distrutta dalle forze regolari dell’esercito siriano, comandate da Rifat Assad, il fratello minore di Hafez. Si stima che vennero uccise circa 20.000 persone. 

L’ostilità del clan Assad alla Fratellanza Musulmana e alla maggioranza sunnita, non impedì al loro regime, che si proclamava laico, di diventare una delle basi operative del terrorismo islamico sunnita, fornendo appoggio al Movimento per il Jihad Islamico in Palestina e al Consiglio Rivoluzionario di al-Fatah. 

La Siria è stata, ed è tuttora, il campo di battaglia di una disputa dalle origini antiche. La maggioranza sunnita ha sempre considerato la minoranza alawita come eretica. Gli alawiti, o alawi o Nusayriti (dal nome del loro fondatore, lo sciita Ibn Nusayr, vissuto nel IX secolo), venerano come una divinità Ali, il cugino e genero di Maometto. Nel corso del dominio francese in Siria e Libano, gli alawiti, a lungo perseguitati, si ingraziarono i nuovi governanti. I francesi assegnarono agli alawiti il corpo ufficiali dell’esercito come contrappeso alla ostile maggioranza sunnita. Atto che preparò il terreno per il successivo predominio militare degli alawi.

I curdi, pur rappresentando solo il 9 percento della popolazione siriana totale, costituiscono la maggioranza nella provincia di Jazira e sono affiliati alle principali popolazioni curde nei vicini Iran, Iraq e Turchia. Nel 1957 fu fondato il KDPS (Partito Democratico del Kurdistan della Siria). Il governo centrale siriano non riconobbe mai i curdi come entità autonoma, quindi il KDPS divenne un’organizzazione clandestina.  

Nel 1961, dopo lo scioglimento della Repubblica Araba Unita con l’Egitto, il governo siriano decise di «riconoscere i curdi» come entità allogena e nell’estate del 1962 avviò un censimento della popolazione della provincia di Jazira. Tutti i curdi identificati furono privati ​​della cittadinanza siriana e dichiarati «estranei». Nello stesso periodo fu lanciata una campagna mediatica contro i curdi con slogan come «Salvate l’arabismo in Jazira» e «Combattete la minaccia curda». Queste politiche coincisero, non a caso, con l’inizio della rivolta curda di Mustafa Barzani in Iraq e la scoperta di giacimenti petroliferi proprio nella provincia di Jazira. Nell’estate del 1963, le forze armate siriane si unirono all’esercito iracheno per attaccare la rivolta guidata da Barzani.  

Non è mai esistito, dunque, un «popolo siriano» innamorato del proprio presidente o in rivolta contro di esso in nome della democrazia e dei diritti umani. In Siria è andato in scena soprattutto l’ennesimo capitolo della plurisecolare lotta tra Islam sciita e sunnita. La fine della Repubblica Araba cominciò dal momento della sua fondazione poiché, come ha scritto sempre Mordechai Kedar, «tutti restano leali alla loro struttura tradizionale, alla loro tribù, al loro gruppo etnico, religioso, settario. Non hanno mai interiorizzato lo Stato come la fonte della loro identità, questo è il motivo per il quale il concetto di stato non si è insediato nel cuore della gente. Questa è la Siria». 

È altamente improbabile, dunque, che dalla fine del regime di Assad emerga una solida struttura statale; più realisticamente, considerata la dimensione tribale e settaria del Paese, si formeranno diverse zone d’influenza ostili tra loro, che causeranno non poche difficoltà anche alla Turchia, Stato musulmano sunnita ma non arabo, che ora si illude di governare il gioco. 

Per Israele, la fine della dittatura filo-iraniana di Assad rappresenta, senza dubbio, un vantaggio. Le milizie jihadiste sunnite hanno armi più rudimentali e meno pericolose di quelle di Hezbollah e dei Pasdaran. Con la fine della sua presenza in terra siriana, la Repubblica islamica dell’Iran deve cominciare a temere seriamente per la sua esistenza. 

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