Israele e Stati Uniti

L’infiltrazione iraniana nell’Amministrazione Biden

Durante il viaggio in Israele di questa settimana, il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha nuovamente ammonito lo Stato ebraico di non espandere il conflitto con Hezbollah e di evitare la cosiddetta “escalation”: 

Siamo al fianco di Israele e saremo sempre al fianco di Israele e della sua difesa“, ha sottolineato. “È anche molto importante che Israele risponda in modi che non creino una maggiore escalation e non rischino di diffondere il conflitto con Hezbollah e il Libano. 

Le parole di Blinken destano perplessità, in primis perché i responsabili del conflitto e della sua potenziale espansione a nord sono Hezbollah e l’Iran, non certo Israele. Dov’era Blinken quando Hezbollah lanciava missili sul nord di Israele? I 60mila sfollati israeliani non hanno diritto a rientrare nelle proprie case perché se no si rischia l’escalation? 

Quel termine “difesa” di Israele suona tanto come quel “Take the win” di Joe Biden, quando chiese a Israele di non reagire all’attacco missilistico iraniano dello scorso aprile; il concetto del “difendetevi ma non attaccate”, che ovviamente non ha alcun senso sul piano strategico e militare. Cosa dovrebbe fare Israele? Limitarsi ad abbattere i missili che gli vengono lanciati contro? Fare vivere la propria popolazione nel costante rischio di vedersi arrivare un missile in testa, nel caso non venisse intercettato? Una idea delirante.

Del resto, la temuta “diffusione del conflitto” citata da Blinken suona più come paura di un attacco israeliano nei confronti dell’Iran. Sarà forse un caso che nei giorni scorsi l’Amministrazione Biden è stata coinvolta in un nuovo scandalo proprio riguardante la fuoriuscita di informazioni riservate a favore del regime che siede a Teheran?  

E’ infatti emerso che dei piani segreti israeliani per un possibile attacco all’Iran, che erano in possesso del Pentagono, sono finiti nelle mani del regime iraniano. La talpa responsabile della diffusione sarebbe Ariana Tabatabai, irano-statunitense, direttrice dell’ufficio del sottosegretario alla Difesa per le operazioni speciali, come dichiarato all’emittente emiratina “Sky News Arabia” un funzionario del dipartimento della Difesa statunitense.

La Tabatabai è persona vicina al Segretario alla Difesa, Lloyd Austin. La medesima fonte ha spiegato che le commissioni dei servizi segreti e delle forze armate del Congresso sono state informate della questione, soprattutto perché la Tabatabai possiede un “nulla osta segreto di alto rango che le dà accesso a informazioni altamente riservate”. 

Un fatto di una gravità inaudita, senza precedenti e proprio nel momento in cui Israele si trova a combattere una guerra su più fronti. Del resto, l’Amministrazione Biden/Harris, al di là delle chiacchiere, si è mostrata da subito ostile nei confronti di Israele, cercando in tutti i modi di fermare Gerusalemme dallo sradicare Hamas a Gaza, arrivando anche a trattenere le consegne di armamenti tra l’altro già pagati da Israele. Ammonivano all’IDF di non entrare a Rafah, roccaforte della leadership di Hamas.All eyes on Rafah e guarda caso è proprio a Rafah che è stato eliminato Yahya Sinwar. 

La situazione è seria ed è bene essere chiari: l’attuale amministrazione statunitense non può essere considerata “alleata di Israele”. Come ricorda anche il New York Post, molti sostenitori di Biden e Harris disprezzano apertamente lo Stato ebraico; centinaia di dipendenti federali hanno espresso indignazione per il sostegno degli Stati Uniti a Israele nella guerra scatenata in seguito all’eccidio del 7 ottobre. 

ll Segretario di Stato Antony Blinken ha nuovamente minacciato di tagliare gli aiuti militari mentre la Harris ha definito “reale” l’affermazione di un contestatore Dem secondo cui Israele sta commettendo un genocidio contro i palestinesi. 

Del resto, è bene ricordare che molti degli uomini attualmente attivi all’interno dei dipartimenti di Washington avevano già ricoperto posizioni di primo piano durante il periodo Obama, come ad esempio Robert Malley, finito nella bufera per contatti con Hamas nel 2008 nonostante l’organizzazione fosse nella black-list di Washington ma poi incaricato da Obama di organizzare la campagna statunitense contro l’ISIS, non particolarmente risoluta ed efficace. Nel 2021, Malley veniva invece nominato da Biden inviato speciale per l’Iran, affidandogli il compito di allentare le tensioni diplomatiche con Teheran. Nella primavera del 2023 il nulla osta alla sicurezza di Malley era però sospeso e veniva avviata un’indagine sulla possibile cattiva gestione di informazioni riservate. Malley ha tra l’altro sostenuto a suo tempo che Hamas debba essere inclusa nei negoziati politici in quanto l’OLP non sarebbe più unico attore legittimo nella rappresentanza del popolo palestinese. 

Questo è soltanto un esempio, ma la rete di funzionari con posizioni simili a quelle di Malley all’interno dell’amministrazione Biden è ben più ampia ed eredità di quella visione di Obama che punta all’appeasement nei confronti del regime iraniano e dell’islamismo. Personaggi come Jake Sullivan, Antony Blinken, Puneet Taiwar, Rashad Hussain, Brett Mc Gurk, si tratta di funzionari che sotto la presidenza Obama hanno ricoperto ruoli chiave negli accordi sul nucleare iraniano o hanno comunque ereditato dall’Amministrazione Obama la sua visione favorevole a Teheran.

Irina Tsukerman, avvocato e analista geopolitico per l’Arabian Peninsula Institute, del Jerusalem Center for Security Affairs e a capo del Washington Outsider Center for Information Warfare, spiega:  

La rete filo-iraniana coltivata all’interno di vari dipartimenti e agenzie sotto le amministrazioni Obama-Biden è solo parzialmente nascosta e per molti versi supporta un quadro ideologico che ha già un certo sostegno ufficiale dall’amministrazione”. 

E ancora: 

Tuttavia, questa rete a un certo punto ha oltrepassato il confine tra pensiero e azione, persuasione e operazioni. Alcuni hanno preso direttamente le direttive sulla politica dal regime, altri hanno ripetutamente fatto trapelare informazioni riservate, mettendo in pericolo gli alleati degli Stati Uniti e forse anche le operazioni e gli interessi degli Stati Uniti”. 

Lo scorso luglio, il senatore Tom Cotton (R-Ark.) e la deputata Elise Stefanik (R-N.Y.) avevano avviato un’indagine sui legami del consigliere per la sicurezza nazionale della Harris, Phil Gordon, con una rete dinfluenza iraniana negli Stati Uniti. L’inchiesta puntava proprio ai rapporti di quest’ultimo con la già citata Ariane Tabatabai. La Harris non aveva però risposto alle interrogazioni di Cotton e Stefanik, con scadenza il 9 agosto. 

Sempre ad agosto, in una lettera al Segretario di Stato Blinken, il rappresentante della Commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti, Jim Risch e il Presidente della Commissione per gli affari esteri della Camera, Michael McCaul, avevano espresso profonda frustrazione per la mancanza di trasparenza del Dipartimento di Stato in merito alla sospensione del nulla osta sicurezza di Robert Malley.  

Tutto ciò, in seguito al caso scoppiato dopo la pubblicazione di una grossa inchiesta da parte di Semafor e Iran International nel settembre del 2023 che aveva scoperchiato i rapporti tra Robert Malley, Ariane Tabatabai, Dina Esfandiary e Ali Vaez con Teheran (inchiesta consultabile qui) e in particolare tramite la Iran Experts Initiative, fondata dal Ministero degli esteri nel 2014 per diffondere il soft power del regime. 

Secondo quanto rivelato dall’inchiesta, la Tabatabai avrebbe anche deciso di non partecipare a una conferenza in Israele in seguito a ordini ricevuti da un funzionario iraniano, consultandosi con il medesimo anche su come avrebbe dovuto testimoniare nelle udienze davanti al Congresso. Elementi inquietanti, considerata la già citata carica oggi ricoperta dalla Tabatabai. 

Sempre secondo quanto illustrato da Irina Tsukerman: L’inchiesta Semafor ha scoperchiato una rete organizzata dall’Iran stesso, che includeva Rob Malley, Ariane Tabatabai (uno dei funzionari attualmente sotto inchiesta), Ali Vaez ed altri. L’obiettivo era quello di promuovere politiche favorevoli all’Iran negli Stati Uniti”. 

Per quanto riguarda l’ultima fuga di notizie: “credo riguardi un coordinamento tra diversi individui, che potrebbero includere personale di basso livello incaricato di impegnarsi nell’accesso non autorizzato e nella diffusione di informazioni classificate, e coloro che hanno dato l’ordine. La Tabatabai è un’ovvia sospettata a causa dei suoi precedenti che in qualsiasi altro contesto non solo le sarebbero costato il nulla osta alla sicurezza e il lavoro, ma avrebbero potuto portarla anche in tribunale o in carcere per violazioni del Foreign Agent Registration Act e altre indagini legali correlate”. 

La Tsukerman mette però in guardia: “Attenzione, perché la Tabatabai potrebbe anche essere utilizzata come ovvio “capro espiatorio” per personale più anziano e meno noto che deve ancora essere scoperto e che potrebbe svolgere un ruolo molto più incisivo per l’Iran, o per ambienti dell’Amministrazione Biden interessate a compiacere l’Iran e raccogliere i benefici di tale posizione”. 

Insomma, non si può escludere che la rete finora individuata, con al centro la Tabatabai, possa essere ben più estesa e raggiungere i “piani alti” dell’Amministrazione Dem. 

Una cosa è certa, a nessun soggetto collegato ad apparati del regime iraniano avrebbero dovuto conferire incarichi così delicati e il fatto che nessuno di coloro che avrebbero dovuto svolgere i necessari approfondimenti se ne sia accorto desta molte perplessità. 

 

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