Interviste

L’importanza strategica della Giudea e della Samaria: Intervista con YORAM ETTINGER

Nell’agosto del 2017, mentre si trovava in Israele, Niram Ferretti incontrò, tra gli altri,  Yoram Ettinger. A cinque anni e mezzo di ditanza riproponiamo quell’intervista per la densa panoramica che essa offre in merito ad alcuni degli aspetti fondamentali del conflitto arabo-israeliano.

(N.d.R)

Tra i più informati analisti del conflitto arabo-israeliano e degli scenari mediorientali, Yoram Ettinger appartiene alla coriacea scuola dei grandi realisti, quegli studiosi e pensatori politici che non deflettono mai dal guardare le cose così come sono e non come vorrebbero che fossero. La realtà è la fuori, e spesso è difficile da affrontare, ma nulla è peggio del proiettare su di essa presupposti falsi e schemi fantasiosi, perché la realtà si incarica sempre di rigettarli duramente. L’ex ambasciatore Ettinger, (già rappresentante dei rapporti con il Congresso all’ambasciata israeliana di Washington), non corre questo rischio come sa molto bene chiunque legga online The Ettinger Report.

L’informale lo ha incontrato a Gerusalemme

Ambasciatore Ettinger, in un articolo da lei pubblicato per Israel Hayom il 17 luglio scorso, lei scrive, “Il politicamente corretto ha subordinato la realtà del Medio Oriente e la sicurezza nazionale a lungo termine nel Santo Graal di una coesistenza pacifica tra ebrei ed arabi ad ovest del Giordano”. Non è questa distinzione tra la realtà com’è e la realtà come uno vorrebbe che fosse, essenziale per comprendere il conflitto arabo-israeliano?

La convenienza a breve termine da una parte, e l’interesse o la sicurezza nazionale a lungo termine dall’altra, è una divisione storica tra esseri umani indipendentemente da Israele e dal conflitto arabo-israeliano. Ha anche influenzato e minato l’atteggiamento nei confronti del conflitto e come conseguenza di ciò ha solo aggiunto più benzina sul fuoco del medesimo invece di ridurlo o di estinguerlo. Una delle prove di ciò è che dal 1948 c’è stata una litania di tentativi da parte dei politici occidentali, principalmente americani ma anche europei per risolvere il conflitto arabo-israeliano, la questione palestinese, ma nessuno di questi tentativi ha avuto successo. Gli unici due tentativi coronati finora da successo, i quali hanno avuto come esito i trattati di pace tra Israele e l’Egitto e Israele e la Giordania, sono stati il prodotto di iniziative da parte degli israeliani i quali hanno negoziato direttamente con gli arabi senza intermediari occidentali. Quando si tratta della questione palestinese e del conflitto arabo-israeliano, il punto focale non è quello di incrementare i successi degli israeliani o degli arabi, ma l’interesse occidentale a lungo termine. La domanda da fare dovrebbe essere, indipendentemente dall’interesse di Israele, uno stato palestinese sarebbe a vantaggio o a svantaggio degli interessi occidentali in generale? La mia opinione è che chiunque esamini la questione in questo senso giungerà alla conclusione che fare appello alla correttezza politica, in altre parole al venire in essere di uno stato palestinese a ovest del Giordano, non farebbe che compromettere gli interessi occidentali.

Recentemente l’UNESCO ha designato la Tomba dei Patriarchi a Hebron come sito palestinese. Precedentemente ha prodotto un altro documento nel quale il Monte del Tempio, il sito più sacro per gli ebrei, è stato definito con il nome arabo di Haram al Sharif, il Nobile Santuario. In passato Yasser Arafat negava l’esistenza del tempio a Gerusalemme. Quello che sta facendo l’UNESCO non le sembra una chiara guerra culturale contro Israele da parte degli arabi e dei paesi islamici che detengono la maggioranza in seno all’organizzazione, con il fine di sradicare la storia ebraica dal Medioriente?

E’ un altro tentativo di ricreare il Medioriente in accordo con il progetto arabo e con un approccio europeo estremamente semplificatorio nei confronti del conflitto arabo-israeliano. Il presupposto europeo è che sia possibile risolvere il conflitto assecondando le richieste arabe. Questo tipo di approccio prima di tutto ignora la realtà, e la realtà è che le fondamenta della storia ebraica, della religione ebraica, del nazionalismo ebraico si trova nelle regioni montagnose della Giudea e della Samaria, comunemente conosciute come West Bank. La colonna portante dell’ebraismo non è Tel Aviv, non è Haifa o nessuna alta parte lungo la parte costiera, ma è nelle montagne di Giudea e Samaria. Ovviamente ciò complica la questione, ma la sfida è quella di affrontare la realtà non quella di ricrearla. La sfida è di subordinare i nostri punti di vista alla realtà invece di deformare la realtà in modo da farla coincidere con i nostri punti di vista semplicistici sul Medioriente. Quando si tratta di fare concessioni agli arabi, che si tratti dell’UNESCO o dell’UNRWA o delle Nazioni Unite in generale, o che si tratti di qualsivoglia governo europeo, è necessario imparare dai precedenti storici. Ogni volta che si cerca di conciliarsi un regime canaglia, si tratti di un regime arabo, iraniano o nord coreano si stimola solo il suo appetito. E’ come una persona che viene attaccata nell’oceano da uno squalo e pensa che lo squalo si accontenterà di un morso e poi se ne andrà via. Malgrado comporti inconvenienti a breve termine resistere ai regimi canaglia, non c’è dubbio che ciò favorisca gli interessi a lungo termine dei governi occidentali.

Questo ci riporta all’opzione di uno stato palestinese a ovest del Giordano, la preferita dei governi occidentali.

Questo presupposto è basato sull’idea che facendo concessioni ai palestinesi, accordandogli sovranità a ovest del Giordano, ciò diminuirebbe le fiamme del Medioriente. E’ vero l’opposto. Dovesse esserci uno stato palestinese nelle montagne della Giudea e della Samaria, esso fornirebbe un incentivo agli attuali tentativi di rovesciare il regime Hashemita a est del Giordano. Tornando indietro alla firma del trattato di pace tra Israele e la Giordania, il generale Dan Shomron l’allora Capo di Stato Maggiore dell’IDF mi disse che all’epoca era stato avvicinato dai suoi colleghi giordani i quali lo avevano implorato di non procedere al fine di stabilire uno stato palestinese ad ovest del Giordano perché il suo venire in essere avrebbe devastato il regime Hashemita a est del fiume. Di fatto, il Generale Yaalon, che all’epoca era a capo dell’intelligence militare, venne anch’esso avvicinato dai suoi colleghi giordani i quali gli domandarono se Israele era consapevole che quello che era stato firmato dai palestinesi il mattino sarebbe stato poi violato nel pomeriggio. Ciò si basava sull’esperienza degli hashemiti con i palestinesi a est del Giordano. La morale è che gli hashemiti sono il male minore in Medioriente. Vale a dire, uno stato palestinese potrebbe innescare un effetto a rimbalzo che potrebbe devastare gli interessi occidentali in accordo con i regimi-pro occidentali arabi nella penisola araba e in Giordania. Un loro controllo iraniano, o russo, o cinese devasterebbe l’economia occidentale e la stabilità del mercato del petrolio nel mondo e sicuramente esacerberebbe la questione del terrorismo mediorientale con conseguenze che si ripercuoterebbero in Europa, negli Stati Uniti e in Sud America. Uno stato palestinese significherebbe una base navale o aera russa al suo interno, e possibilmente una base militare iraniana che sconvolgerebbe drammaticamente il corrente equilibrio dei poteri nel Mediterraneo, già il ventre molle dell’Europa. Comporterebbe anche la devastazione di ciò che resta dei centri cristiani di Giudea e Samaria. Betlemme e Bet Jalla una volta erano centri a maggioranza cristiana fino agli Accordi di Oslo del 1993. Da allora sono decresciute a minoranze minuscole, meno del 20% a Betlemme e la stessa percentuale a Bet Jalla. Uno stato palestinese potrebbe eliminare completamente la presenza cristiana sia a Betlemme che in altri centri in Giudea e Samaria.

Nel 1993, Shimon Peres, Yitzhak Rabin e Yossi Beilin riportarono al centro della scena un Arafat caduto in disgrazia (dopo il suo appoggio all’invasione irachena del Kuwait). Il risultato di questa decisione furono gli Accordi di Oslo e la piena legittimazione dell’OLP come interlocutore. La conseguenza per Israele fu la Seconda sanguinosa Intifada. Cosa ha da dirmi in proposito?

C’è un precedente ed è il riconoscimento dell’OLP da parte dell’USA. Accadde nel dicembre del 1988 quando il presidente Reagan era alla scadenza del suo mandato. All’epoca l’OLP era la maggiore organizzazione terrorista araba che faceva incetta di terroristi internazionali in Europa, America Latina, Africa e Asia. La seconda fase attraverso cui venne fornito combustibile al terrorismo arabo, e in questo modo al terrorismo globale, fu nel 1993 quando, come ha ricordato lei, l’OLP venne praticamente sottratta all’oblio in un periodo in cui era confinata in Tunisia e in alcuni campi terroristi in Yemen, Libia e Libano e trasformata in una organizzazione legittima. Si trattò ancora di sottomettersi al pensiero desiderante, di sottomettersi alla tentazione di raggiungere un vantaggio a breve termine ignorando completamente la complessità della realtà e le gravi conseguenze per la sicurezza nazionale sul periodo medio e medio lungo. La prima vittima della legittimazione dell’OLP nel 1988 e quindi nel 1993 non è stata Israele e non sono stati gli ebrei, ma gli arabi.

Questo è quello che recentemente, in una intervista avuta con lui, ha sottolineato Bassem Eid. Ha detto chiaramente, come è sua abitudine, quanto i palestinesi abbiano sofferto e soffrano ancora sotto il governo dell’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas.

Le voglio raccontare un episodio a questo proposito. Alcuni anni fa venni presentato a un uomo d’affari arabo molto rispettato qui nell’area di Gerusalemme. La prima cosa che mi disse fu che gli arabi della zona non avrebbero mai perdonato gli ebrei per la loro situazione corrente. Pensai che stesse parlando della cosiddetta “occupazione” e gli domandai se non pensava che questa cosiddetta “occupazione” fosse meglio dell’occupazione giordana, siriana o egiziana, e la sua risposta fu stupefacente, “Chi sta parlando dell’occupazione? Sto parlando del fatto che voi ebrei ci avete portato addosso la piaga del terrorismo dell’OLP. Erano in Tunisia, lontano da noi, e voi gli avete portati qui e fondamentalmente ne avete fatto i nostri dominatori e da allora le cose sono andate a rotoli“.

E le fece degli esempi specifici?

Solo alcuni esempi indicativi. Sotto il controllo Giordano non c’era imposta sul reddito. Quello che i giordani si aspettavano dagli arabi-palestinesi è che fossero leali alla corona hashemita. Sotto Israele dovevano pagare dei contabili e dei revisori e una volta all’anno avere a che fare con le autorità israeliane per le imposte sul reddito e pagare le tasse. Quando arrivò l’OLP dovettero confrontarsi con una realtà non prevista. Dei taglieggiatori andavano da questo uomo d’affari a chiedergli duecentomila shekel, o quello che volevano. Se si chiedeva una pezza d’appoggio per questa richiesta ti veniva risposto che avevi la scelta di essere accusato di essere un collaboratore dei sionisti oppure di pagare quanto veniva richiesto. Se capitava di essere sposati con una donna avvenente o padri di una figlia avvenente maggiorenne, ogni tanto si veniva avvicinati da un ufficiale d’alto grado dell’Autorità Palestinese il quale poteva desiderare l’una o l’altra. Ancora una volta si aveva la scelta, o si tollerava il fatto che la propria moglie o la propria figlia venisse abusata o si doveva fronteggiare la possibilità di essere accusati di essere dei collaborazionisti e venire giustiziati sulla pubblica piazza. Per non parlare della corruzione. C’è una ragione perché Mahmoud Abbas viene soprannominato Mr. 20%. All’interno dell’Autorità Palestinese tutti sanno che un uomo d’affari internazionale il quale voglia verificare se ci sono delle opportunità d’affari con l’Autorità Palestinese deve, prima di tutto. incontrarsi con Abbas e poi, dopo l’incontro accordarsi sul versamento del 20% dell’ammontare del progetto concordato su uno dei conti di Abbas sparsi in giro per il mondo. Arafat fu l’iniziatore di questa prassi e Abbas l’ha continuata. Gli arabi in Medioriente conoscono molto bene queste tipologie di realtà ed è questa la ragione per la quale ai palestinesi elargiscono molte parole ma assolutamente pochi fatti concreti.

Da quello che dice è abbastanza chiaro che l’atteggiamento arabo nei confronti di Mahmoud Abbas e quello tenuto nei suoi riguardi dai paesi occidentali è molto diverso. Gli arabi sanno esattamente di chi si tratta mentre gli europei e gli americani hanno un’altra idea di lui. In Europa amiamo ammantare dell’alone scintillante dei “combattenti per la libertà” i manigoldi e i terroristi. Arafat veniva ricevuto abitualmente come una star nelle capitali europee.

Mentre a Mahmoud Abbas viene dato il benvenuto con un tappeto rosso quando atterra a Roma, Londra, Parigi, Washington o anche a Gerusalemme, gli viene dato il benvenuto con un tappeto liso quando si reca in qualsiasi capitale araba. La differenza è che gli arabi hanno familiarità con le gesta di Mahmoud Abbas fin dagli anni ’50, quando, insieme ad Arafat e ad altri membri di Fatah e dell’OLP, oggi l’Autorità Palestinese, erano membri della cellula palestinese dei Fratelli Musulmani al Cairo. Là erano coinvolti in atti di terrore e sovversione e dovettero scappare dall’Egitto durante la presidenza di Nasser. Poi la Siria aprì le sue porte ad Arafat e Mahmoud Abbas e i loro alleati, ma, nel 1966, i palestinesi che si trovavano lì si sentirono abbastanza forti per introdurre la sovversione e il terrorismo e dovettero scappare un’altra volta. Quindi fu il turno della Giordania, dove re Hussein aprì loro le porte e la Giordania venne impiegata per un numero di anni tra il 1968 e il 1970 come principale piattaforma terroristica anti-israeliana. Dal 1970 i palestinesi si sentirono abbastanza forti per cercare di rovesciare il regime hashemita. Il loro piano provocò una guerra civile in Giordania e come al solito Mahmoud Abbas, Arafat e i suoi alleati dovettero fuggire. Ripararono in Libano per un numero di anni e là saccheggiarono e stuprarono il sud del paese fino a quando, nel 1975, si sentirono ancora una volta sufficientemente forti per tentare di rovesciare il regime centrale di Beirut. La loro azione costrinse il regime centrale a ricorrere all’aiuto della Siria. Quello fu l’inizio dell’occupazione militare siriana del Libano.

Una serie di primati ragguardevole.

Non è terminata. L’ultimo tradimento intra-arabo da parte di Mahmoud Abbas e i suoi sodali palestinesi avvenne nel 1990 quando Saddam Hussein invase il Kuwait. Durante gli anni il Kuwait era stato il paese arabo più ospitale per Arafat e i suoi alleati palestinesi. Il Kuwait aveva assorbito circa trecentomila palestinesi aiutandoli a giungere a posizioni elevate, ma nell’agosto del 1990, quando Saddam Hussein invase il paese, tre battaglioni palestinesi di stanza in Iraq parteciparono all’invasione. L’intelligence palestinese in Kuwait favorì l’invasione e quella fu la ragione che spinse la leadership del Kuwait a espellere circa trecentomila palestinesi. Fino ad oggi alle conferenze della Lega Araba, i partecipanti mostrano il loro sdegno nei confronti dei palestinesi lasciando la sala quando Mahmoud Abbas si alza per parlare. Gli stati del Golfo non si dimenticano e non perdonano. Ciò dimostra chiaramente la differenza tra l’atteggiamento arabo e l’atteggiamento europeo e occidentale nei confronti dell’Autorità Palestinese e di Mahmoud Abbas. E ciò è evidente dal fatto che tutti i paesi arabi produttori di petrolio messi insieme forniscono l’Autorità Palestinese di una assistenza finanziaria inferiore rispetto a quella che le viene fornita dagli Stati Uniti.

Il Mandato Britannico per la Palestina del 1922 e confermato dalla Lega delle Nazioni, conferiva agli ebrei il diritto di risiedere ovunque in Palestina tra il fiume Giordano e il mare Mediterraneo. Tuttavia, dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, in virtù della formidabile propaganda messa in moto dagli arabi e dai russi, la parola “occupazione” e l’espressione “territori occupati” è diventata la modalità principale per descrivere come illegale la presenza israeliana in quegli stessi territori che il Mandato Britannico per la Palestina aveva conferito agi ebrei. Non si tratta di una contraddizione flagrante?

Non solo è una contraddizione flagrante, qui stiamo parlando della centralità della legge internazionale. Una volta che il mondo ha deciso che le precedenti decisioni legali prese dalla comunità internazionale non sono più dominanti perché complicano la realtà, perché ci obbligano a fare a meno della saggezza convenzionale e sembra che complichino il cosiddetto processo di pace, perché qualcuno dovrebbe firmare dei nuovi accordi? Di fatto, nel 1945, quando vennero stabilite le Nazioni Unite, l’Articolo 80 delle Nazioni Unite fece propri i precedenti trattati internazionali i quali accordavano allo stato ebraico l’intera regione ad ovest del fiume Giordano. Nel 1967, quando la Risoluzione 242 venne approvata dall’ONU essa affermava chiaramente che Israele non è obbligato a un completo ritiro dai territori catturati durante la Guerra dei Sei Giorni. Ci furono tre settimane di dibattiti sulla formulazione finale perché gli arabi appoggiati dai sovietici volevano introdurre la clausola, “ritiro da tutti i territori” e fortunatamente, alla fine ci si rese conto che se avesse dovuto esserci un completo ritiro per quale motivo prendersi la briga di negoziare? Se si soddisfa l’aggressore, la cui aggressione ha di fatto causato la guerra, come ci si può aspettare che la pace duri nella regione? Dalla Risoluzione 242 a oggi, Israele ha già restituito l’intero Sinai. L’intero Sinai è approssimativamente il 90% di tutto il territorio controllato da Israele dalla guerra del 1967 e la domanda è, l’estensione di questo territorio non soddisfa già il requisito del ritiro dai territori? Mi lasci aggiungere questo, nel trattato di pace egiziano-israeliano di Camp David del 1979 firmato da Stati Uniti, Egitto e Israele, c’è un riferimento a una autonomia “amministrativa” palestinese. Israele ha accettato di restituire all’Egitto l’intero Sinai per avere il trattato di pace. Una volta che il mondo decide che questa autonomia amministrativa deve essere trascurata e invece debba esserci uno stato sovrano, può Israele chiedere la restituzione dell’intero Sinai? Ovviamente non si possono riprendere i territori ceduti ma ci si può rimangiare qualsiasi accordo verbale fatto. Il segnale a Israele può essere quello di non firmare più impegni internazionali, perché questo tipo di impegni comportano una concessione territoriale da parte di Israele in cambio di una concessione retorica araba che è molto facile rimangiarsi. La conclusione è che i trattati internazionali sono vincolanti, sia che complichino la realtà oppure no, sono vincolanti, e se lo sono, Israele ha un diritto sull’intera area a ovest del fiume Giordano.

In un articolo fondamentale pubblicato nel 1991, Eugen W. Rostow, uno degli architetti della Risoluzione 242, scriveva, “Gli arabi della West Bank potrebbero costituire una popolazione della provincia autonoma della Giordania o di Israele a seguito del corso dei negoziati. Questo veniva scritto tre anni prima degli Accordi di Oslo”. L’idea di una futura integrazione degli arabi della West Bank in Giordania è una opzione più possibile e realistica di quella dei due stati?

La domanda è cosa si intende per “realistico”. Per me l’obbiettivo dovrebbe essere principalmente quello di minimizzare potenziali sommovimenti tettonici nella regione. In modo da minimizzarne la natura vulcanica, dovrebbe essere Israele a controllare le montagne della Giudea e della Samaria. Le farò un esempio. Negli anni ’70, la Siria che allora era una potenza militare formidabile, invase la Giordania, una potenza militare relativamente debole. L’obbiettivo era quello di espandere la Siria appoggiata dai sovietici in quella che loro chiamavano Siria del sud e da lì penetrare in Arabia Saudita e infliggere un forte colpo sia economico che di sicurezza nazionale agli interessi occidentali. Gli Stati Uniti non poterono assistere i giordani a fronte dell’invasione siriana, poiché erano coinvolti in Vietnam, nel Laos e in Cambogia. Nixon chiamò Golda Meir e le chiese di aiutare la Giordania nel suo tentativo di respingere l’invasione siriana. Nell’arco di 24 ore Israele mobilitò l’IDF alle frontiere israeliane-siriane-giordane, e l’invasione siriana venne respinta senza sparare un solo colpo. Se si riavvolge il nastro e si torna al 1970 con Israele ristretto nell’arco delle nove, quindici miglia della striscia lungo il Mediterraneo, dominata dalle montagne della Giudea e della Samaria, non ci sarebbe stato alcun modo in cui avrebbe potuto deviare l’invasione siriana della Giordania. In Giudea e Samaria Israele ha assolto la funzione del principale avamposto occidentale nel Medioriente, respingendo gli elementi radicali, assistendo quelli pro-occidentali. Oggi Israele rappresenta la maggiore assicurazione sulla vita per la Giordania e per i paesi arabi pro-occidentali produttori di petrolio, come l’Arabia Saudita, il Bahrein, Abu Dubai etc. Questi paesi produttori di petrolio non hanno relazioni diplomatiche con Israele ma considerano Israele un alleato fondamentale nel tentativo di contrastare il terrorismo islamico ai loro bordi e fuori di essi, nel loro tentativo di contrastare l’Iran. L’Europa, sfortunatamente, non è coinvolta in questo tentativo in maniera seria. Gli arabi non rispettano l’Europa, che sotto molti aspetti ha perso il proprio desiderio di sopravvivenza, sicuramente quello di flettere i muscoli, e di conseguenza considerano Israele un’assicurazione sulla vita molto più attendibile. Questo è il motive per cui oggi c’è una cooperazione tra questi stati arabi e Israele. Cooperazione nel contrastare il terrorismo, cooperazione di intelligence e di formazione. Se Israele non controllasse l’area montagnosa della Giudea e della Samaria, Israele, da produttore di sicurezza nazionale diventerebbe un consumatore di sicurezza completamente dipendente dagli Stati Uniti, invece di estendere come fa correntemente il braccio strategico americano.

Da quello che dice è chiaro che lei considera il controllo israeliano delle montagne della Giudea e della Samaria come strategicamente essenziale.

Assolutamente. Il controllo israeliano delle montagne della Giudea e della Samaria aumenta la sua postura deterrente. Quando si vive in un circondario violento come il Medioriente non ci si basa solo sulla polizia locale ma sulla propria postura di deterrenza. Una postura di deterrenza sostenibile minimizza gli incentivi ad attaccare da parte dei vicini violenti. D’altro canto, avere una posizione di deterrenza inferiore costituisce un incentivo per lo sconfinamento all’interno del proprio spazio vitale. La stessa cosa si applica a Israele. Quando si parla di una entità araba che controllerebbe le montagne della Giudea e della Samaria che dominano l’Israele ante 1967, ciò significherebbe per Israele non solo ridurre la propria postura di deterrenza ma perderla e diventare completamente dipendente dalla buona volontà da parte americana di venire in suo soccorso in una giornata di tempesta. Israele e nessun altro paese può permettersi di essere dipendente da una assistenza esterna. Ogni paese, ogni individuo, dovrebbe essere autosufficiente quando si tratta di sicurezza personale e nazionale.

Questo ci riporta all’estrema volatilità regionale.

Sì. Mentre oggi la Giordania è sicuramente una alleata di Israele nel contesto dell’intollerante, imprevedibile, violento e tettonico Medioriente, è la Giordania di oggi. Per definizione, i regimi mediorientali sono provvisori, come abbiamo visto con Mubarak in Egitto, come vediamo con la Siria, come abbiamo visto con Saddam Hussein in Iraq. Quando si tratta di un paesaggio del genere sappiamo per certo che ci saranno dei cambi di regime nei paesi che circondano Israele. La Giordania che è un elemento positivo oggi potrebbe diventare un elemento negativo e un nemico deciso domani, e dunque, per tornare alla sua domanda precedente, affidare le montagne della Giudea e della Samaria a una Giordania amichevole sarebbe subordinare una realtà a lungo termine a una convenienza a breve termine. L’importanza critica della Giudea e della Samaria non risiede unicamente nel fatto che si tratta di una regione al cuore dell’identità ebraica, religiosa, storica, culturale, nazionale, ma sul fatto che oggi la Giudea e la Samaria costituiscono un elemento strategico cruciale in quanto dominano la strada tra Tel Aviv e Gerusalemme. Se retrocediamo alla realtà pre-1967 Gerusalemme di base è una enclave circondata da un’area araba, quando una breve striscia connetteva Tel Aviv a Gerusalemme e l’unica strada da Tel Aviv a Gerusalemme era dominata dalla Giordania. Per di più le montagne della Giudea e della Samaria circondano Gerusalemme e dominano l’unico aeroporto praticabile di Israele, Ben Gurion. Le montagne dominano l’area di Tel Aviv, dominano il pezzetto lungo il Mediterraneo, il che significa che i crinali montagnosi della Giudea e della Samaria dominano circa l’80% della popolazione e delle infrastrutture di Israele. Chiunque abbia il controllo di queste montagne può determinare il destino di Israele. L’Occidente dovrebbe sostenere un controllo israeliano delle montagne della Giudea e della Samaria perché ciò estenderebbe il suo ruolo strategico nel Medioriente, assicurerebbe la sopravvivenza dei regimi filo-occidentali che oggi sono minacciati dall’Iran, dal Jihad islamico, dalla realtà in Siria, che domani potrebbe anche caratterizzare la realtà della Giordania.

Sono anni che sentiamo dire che la presenza dei cosiddetti “coloni” nella regione della Giudea e della Samaria, non più di 450.000 persone, sarebbe una delle ragioni principali, se non la ragione principale, dell’instabilità regionale e che per potere raggiungere la pace una decisione saggia sarebbe quella di sradicarli da dove si trovano.

Questo è un altro esempio del tentativo di semplificare la realtà in modo da ottenere una convenienza a breve termine e mandare al diavolo la realtà a lungo termine. Innanzitutto il conflitto arabo-israeliano non ha avuto inizio con il rinnovamento della presenza ebraica in Giudea e Samaria. L’ondata terrorista palestinese-araba durante gli anni ’20 e ’30 antecede la nascita dello stato ebraico e sicuramente antecede il 1967. La prima guerra araba contro Israele, quando gli arabi cercarono di sbarazzarsi del giovane stato ebraico che venne stabilito nel 1948, ebbe luogo diciannove anni prima che la prima comunità ebraica si ristabilisse in Giudea e Samaria. L’organizzazione di Fatah che è guidata da Mahmoud Abbas e prima di lui da Arafat, venne fondata nel 1959 e il suo obbiettivo strategico principale era la liberazione della Palestina. Otto anni prima che il primo insediamento ebraico fosse stabilito in Giudea e Samaria. L’OLP, capeggiata da Arafat e quindi da Mahmoud Abbas, venne stabilita nel 1964, e ancora una volta, il suo principale obbiettivo strategico era la liberazione della Palestina, tre anni prima la guerra del 1967. Si dovrebbe notare che in relazione agli Accordi di Oslo del 1993 è l’OLP ad essere la fonte dell’autorità dell’Autorità Palestinese. Non vi è dubbio che quando si risale all’origine del conflitto arabo-israeliano, all’origine del terrorismo palestinese, essi non hanno assolutamente nulla a che vedere con gli insediamenti ebraici. Quando parliamo degli insediamenti in Giudea e Samaria, stiamo parlando di ebrei che hanno rinnovato la loro presenza nella culla della loro storia, un fatto che rende giustizia alla storia umana e, allo stesso tempo, rende giusta a persone che sono ritornate dove la loro storia e la loro memoria sono incastonate. C’è anche una questione di moralità occidentale coinvolta relativamente alla differenza tra insediamenti ebraici e insediamenti arabi. All’interno dell’Israele pre-1967 abbiamo 1,8 milioni di arabi i quali vivono fianco a fianco con 6,8 milioni di ebrei. Nessun governo israeliano ha mai dichiarato il proprio interesse nel volere sradicare i coloni arabi nell’Israele pre-67 come prerequisito per la normalizzazione o la pace. Sarebbe altamente immorale. La domanda è, perché 1, 8 milioni di coloni arabi all’interno dell’Israele pre-1967 costituiscono una realtà morale giustificata, mentre i 450.000 ebrei in Giudea e Samaria rappresentano un ostacolo alla pace? Inoltre dobbiamo sentire la richiesta di congelare le costruzioni ebraiche in Giudea e Samaria perché così si faciliterà la pace. Non ho mai ascoltato nessuno dichiarare che dobbiamo frenare le costruzioni arabe in Giudea e Samaria in modo da facilitare la pace. Se non congeliamo le costruzioni arabe ma solo quelle ebraiche non pregiudichiamo l’esito dei negoziati? E se pregiudichiamo l’esito dei negoziati perché negoziare in prima istanza? Nessun israeliano sano di mente si aspetterebbe che gli arabi all’interno di Israele congelino le loro costruzioni mentre gli ebrei sono liberi di costruire. Gli arabi sono liberi di costruire legalmente e anche gli ebrei godono della stessa libertà. La stessa cosa dovrebbe valere per Giudea e Samaria.

Mi sembra evidente da ciò che dice che lei non pensa che fermare le costruzioni in Giudea e Samaria possa modificare in alcun modo il panorama politico. E’ così?

Per Israele soccombere alla pressione araba e astenersi dal costruire nell’area significherebbe un segno di pacificazione. In Medio Oriente un simile gesto da parte di Israele è visto in una sola maniera, come una manifestazione di debolezza. E una volta che si manifesta la debolezza non solo si invita altra pressione ma altra violenza, la quale mina ulteriormente la stabilità e la ricerca della pace.

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