Riceviamo e pubblichiamo questa lettera rivolta al sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, in riferimento alla sua decisione di conferire la cittadinanza onoraria al terrorista palestinese Marwan Barghouti oltre che all’ex capo della polizia Antonio Manganelli
Signor sindaco,
da poche ore abbiamo salutato nella città di Milano, davanti alla Sinagoga maggiore di via Guastalla, il rav professore Giuseppe Laras z”l, un gigante del pensiero ebraico, un Maestro dell’ebraismo e del dialogo, un uomo nobile e umile il cui testamento spirituale, scritto dal suo letto di malattia, con rigore, memoria, nostalgia e dolcezza per la vita, lei dovrebbe leggere, lei che si è autodefinito statista e che soprattutto ritiene di non dover mai chiedere scusa ad alcuno.
L’anima del rav ha lasciato questo mondo, il suo corpo, in questo momento, è in viaggio verso la terra d’Israele, dove sarà sepolto. Davanti a quella sinagoga dove oggi pomeriggio la sua comunità, la cittadinanza, i rabbanim e le autorità, i rappresentanti di altre religioni sono giunti a dare il loro addio al piccolo figlio della Shoah divenuto chacham, sapiente, da anni staziona una macchina della polizia di stato. Ho il ricordo di quando, giovane giovane, spuntavo in via Guastalla da corso di Porta Vittoria e la scorgevo là, ogni shabbat, nelle feste, la macchina della polizia, con quegli uomini o donne pazienti, dediti, sotto il sole, sotto la pioggia, a proteggere gli ebrei.
Stasera, mentre già pensavo che domani sera sarà il primo shabbat senza rav Laras z”l, ho letto che una strada di Palermo è stata intitolata al prefetto Antonio Manganelli, su iniziativa della Questura. Una iniziativa bella, che attiene alla memoria, alla gratitudine e al tempo che non cancella ma tiene vivo il lascito degli uomini buoni.
Quindi ho letto anche di come lei, signor sindaco, sia corso ad annunciare il conferimento della cittadinanza onoraria in memoriam al prefetto Manganelli, per il quale è stata piantata nel 2014 una foresta in terra d’Israele, in ricordo e per onorare la sua amicizia e la sua collaborazione con lo Stato ebraico, che il cittadino onorario di Palermo, Marwan Barghouti, sognava di distruggere mandando ogni giorno giovani tanzim carichi di chiodi e di tritolo a farsi saltare in aria su autobus o in ristoranti pieni di ebrei, pazienza se c’erano pure arabi, ciò che importava era uccidere il maggior numero di ebrei, poi ghignare, con occhi iniettati d’odio e trionfo: “Lode ai martiri che hanno punito Israele”, e guadagnarsi così il titolo falso e immorale di Nelson Mandela del Medioriente.
Signor sindaco, in questa pioggia che tracima a Palermo, me lo vedo, lo rivedo il prefetto Manganelli, con il suo impermeabile, così come rivedo il sorriso commosso di sua moglie Adriana quel giorno a Gerusalemme.
Rispetto troppo la memoria di quell’uomo buono e capace, l’amore della donna che troppo presto ha dovuto dirgli addio, perché questa lettera sia una polemica persino con lei, signor sindaco, una persona che invece io non rispetto soprattutto per la pervicacia con cui rifiuta di riconoscere il male, le ferite che infligge, e per la mancanza radicale in lei di quello che in ebraico si chiama mussar, l’etica vera, non il narcisismo, che pervade e suffraga l’azione, il valore degli esseri umani.
Se scrivo questa lettera è perché, come nella pioggia, v’è una ragione nelle cose, nelle verità, che tracima e allaga le strade di bieche menzogne. Ad Antonio Manganelli, di benedetta memoria, i crimini di Marwan Barghouthi facevano orrore, signor sindaco. Ma è certo che quello che oggi importa è vedere il suo nome inscritto anche fra le pietre di una città dove le stragi di mafia hanno lasciato, come nella terra d’Israele, la voragine del dolore, la stella immensa dell’amore, della ricostruzione e della riparazione.
Questo infine conta, non che lei, signor sindaco, nella sua autoconsiderazione di statista, si sogni di mettere sullo stesso piano di una cittadinanza onoraria un uomo giusto e uno stragista, un assassino non pentito, che alla stregua di Gœring crede di beffare il mondo ingurgitando merendine al cioccolato nella latrina della sua giusta prigione.
Ariella Lea Heemanti