Ai giorni nostri la più profonda avversione nei confronti di Israele viene dal radicalismo di sinistra. E’ dentro la sinistra che sono stati incubati e hanno poi fruttificato tutti i paradigmi anti-israeliani in voga. Veri e propri memi culturali che strutturano oggi il discorso contro lo stato ebraico.
Gli antecedenti storici stanno nella propaganda sovietica contro Israele cominciata alla fine degli anni Cinquanta e saldatosi con quella araba. Marxismo e filo-islamismo costituiscono da allora l’alleanza fondamentale che ancora prosegue imperterrita.
L’odio antisionista che si è sviluppato negli ultimi quaranta anni ha le sue parole d’ordine in seno al marxismo e al socialismo rivoluzionario classico secondo il quale il nemico da abbattere è la società borghese. Una volta rimossa la società borghese nella forma della sua struttura economica capitalistica si avrà, finalmente, un mondo dis-alienato, libero dalle ingiustizie.
Non ha nessuna importanza che il comunismo come fenomeno storico sia fallito insieme ai modelli di economia pianificata di stato. La convinzione radicata che il capitalismo sia la fonte di ogni male è rimasta inscalfibile.
Il rifiuto di accettare l’esperienza è sostanziale per il visionario, perché per lui i fatti non hanno una vera consistenza ma sono totalmente subordinati allo schema del proprio modello. Se i fatti lo smentiscono, peggio per i fatti.
La demonizzazione di Israele è inserita in questo orizzonte di pensiero. Per gli estremisti di sinistra Israele rappresenta insieme agli Stati Uniti un modello di società liberale e democratica fondata su un’economia imprenditoriale che è, per definiendum, fonte di ingiustizia e oppressione. A questo schema si sovrappone quello di carattere etnico-razziale secondo il quale, all’ingiustizia determinata dal capitalismo si aggiunge nel Terzo Mondo, quella dei popoli sfruttati e oppressi in quanto “vittime” dell’imperialismo e del colonialismo occidentale. Ma non basta. Alla vittima deve anche essere riconosciuto lo stigma di un abuso etnico-razziale. L’impianto concettuale della narrazione della sinistra radicale è infatti il seguente: l’Occidente “bianco” e capitalista è anche suprematista, e il “nero” è per antonomasia lo sfruttato in quanto considerato inferiore. Il nero africano per slittamento e accorpamento metaforico è diventato anche l’arabo. L’arabo-palestinese, viene dunque rappresentato come vittima dalla potenza militare e culturale occidentale imperialista e colonialista fondata su quello che per Marx è il peccato originale: il capitalismo.
Non va dimenticato che fu l’Unione Sovietica, nel 1975 a fare passare la risoluzione ONU la quale definiva il sionismo una forma di razzismo. La definizione restò in vigore per sedici anni. Venne abolita solo nel 1991. Fu un colpo da maestri da parte dei russi alleati con gli arabi riuscire a fare in modo che questa equivalenza prendesse corpo. La sua efficacia è infatti è stata persistente.
L’alleanza islamo-marxista è ad oggi quella egemone. Coloro i quali sognano l’abbattimento di Israele e degli Stati Uniti, non è certo un caso che siano alleati con gli arabi, i quali, nella loro espressione radicale musulmana dichiarata, Hamas, considerano tutta intera la Palestina dār al–Islām (casa dell’Islam). Gli eredi del totalitarismo comunista sono i principali sostenitori del totalitarismo islamico in nome della rivoluzione anti-imperialista e anti-capitalista che libererà gli uomini e favorirà la sharia..
L’ammirazione di Hitler per l’Islam e la collaborazione tra il regime nazista e Amin Al Husseini, il Mufti di Gerusalemme negli anni Trenta, convergeva in un profondo antisemitismo eliminazionista. Al Husseini sperava in una vittoria di Rommel in Nord Africa in modo da potere collaborare attivamente con le forze militari tedesche allo sterminio degli ebrei in Palestina. Oggi, l’estrema sinistra, la quale ha egemonizzato la narrazione anti-israeliana, si augura che Israele cessi come stato affinché l’intero paese sia consegnato agli arabi.