Da Emanuel Segre Amar, presidente del Gruppo Sionistico Piemontese, riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Gent. Direttore,
Sedici anni addietro assistetti a un interessante confronto tra un noto studioso del mondo ebraico e della sua storia lontana e vicina (ed ebreo egli stesso) e una signora che si avvicinava al mondo ebraico. Quando la signora disse: “Voi ebrei siete molto uniti tra di voi”, ricevette una semplice risposta: “Questo è ciò che moltissimi credono e fanno credere a loro volta, ma nulla è più lontano dalla realtà”.
Abbiamo visto, da un anno fino allo scorso tragico 7 ottobre, quanto Israele fosse dilaniato da feroci divisioni interne, alle quali la stessa Presidente dell’UCEI, Noemi Di Segni, aggiunse di suo il duro attacco al Primo Ministro Netanyahu in visita ufficiale in Italia, dimenticando che dovrebbe rappresentare tutto l’ebraismo italiano, e non soltanto quello della sua Giunta alla quale non ha avuto accesso nessun eletto della “destra”.
In Italia ben conosciamo le affermazioni di profonda spaccatura con Israele di personaggi come Moni Ovadia, Gad e Davide Lerner, e, ultimo arrivato, Teodoro Cohen, già meritevole di un lunghissimo video pubblicato dall’ANSA (viatico per accedere rapidamente ai giornalisti di tutti i media).
Come presidente del Gruppo Sionistico Piemontese ho recentemente lanciato una sottoscrizione per raccogliere aiuti per i rifugiati israeliani nella città di Ma’ale Adummim; ma mai avrei immaginato di ricevere duri attacchi per questa iniziativa.
Infatti Ma’ale Adummim si trova oltre la linea verde, e quindi la sottoscrizione non s’ha da fare, secondo certi ebrei di sinistra – i cui pargoli, tra l’altro, dopo aver fatto l’aliyah sono rapidamente rientrati in Italia, anziché impegnarsi aiutando i kibbutzim, dove il lavoro con gli animali deve essere compiuto, guerra o non guerra.
E oggi ho ricevuto la comunicazione che la Comunità Ebraica di Torino, della quale il Gruppo Sionistico Piemontese è un Ente riconosciuto, si rifiuta di diffondere tra i suoi iscritti la notizia della sottoscrizione perché “non si rivolge alle grandi Istituzioni (e fin qui passi) né ai Kibbutzim”.
Ecco, la Comunità ebraica torinese ufficialmente fa una “selezione” tra i rifugiati nei kibbutzim e quelli nelle città israeliane, pur essendo stata da me ufficialmente informata che l’orribile Ma’ale Adummim è stata voluta da Rabin (diventato l’idolo degli ebrei torinesi quando venne ucciso) nel 1974, e che nella stessa vivono anche noti personaggi politici della sinistra israeliana, a partire dalla presidente del partito Meretz.
Per fortuna che il Rabbino Capo Ariel Finzi ha cercato di insegnarla alla sua comunità: “Guardandoci indietro ci si può porre solo una domanda: come potevamo aspettarci la pace dall’esterno quando non c’era pace al nostro interno? dobbiamo superare le divisioni interne che sono esattamente ciò che Hamas attende come segno concreto e inequivocabile della nostra debolezza”.
In questi sedici anni la suddetta signora ha perfettamente compreso la lezione che aveva ricevuto allora, e oggi è in grado di spiegare questa triste verità a tutti coloro che continuano a credere che “noi ebrei siamo una comunità molto unita”.
Gent. Dott. Segre Amar,
Comprendo il suo disappunto e la sua amarezza. Questo è uno di quei momenti in cui le partigianerie ideologiche dovrebbero essere opportunamente accantonate.
In Israele, quelli che fino a poco fa sono stati accaniti antagonisti, si trovano a condividere, al di là delle profonde differenze, la condivisione del medesimo obbiettivo. Così dovrebbe essere anche qui in merito al suo lodevole intento, ma purtroppo le cose non vanno in questo modo.
In una delle sue lettere inviate ai genitori, subito dopo la fine della guerra di Yom Kippur, Yonathan Netanyahu scriveva, “‘Le guerre degli ebrei’ sono sempre le più brutte e le più dure di tutte. Queste sono guerre fatte di battibecchi futili e polemici”. Credo non sia necessario aggiungere altro.
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