Con l’infuriare della guerra a Gaza e l’aumento delle vittime, le manifestazioni di protesta nei campus americani si sono trasformate in una campagna dalle ambizioni sempre più grandi ed elaborate: Da «Cease fire now» all’affermazione categorica che Israele sia colpevole di «genocidio» e crimini di guerra, fino alla richiesta che le università boicottino le aziende e le accademie israeliane.
Molti manifestanti sostengono, cantando lo slogan «from the river to the sea», che lo Stato ebraico «colonialista» debba, semplicemente, scomparire. Il linguaggio rivoluzionario della «liberazione» e della «decolonizzazione» rende gli attivisti ciechi di fronte alla bruttezza e all’orrore della «lotta per la Palestina».
Gli studenti filopalestinesi non sono giovani idealisti, ma spudorati collaboratori del totalitarismo jihadista, compagni di strada del «fascismo» islamico, ausiliari dell’islamismo conquistatore, proclamato nemico delle democrazie laiche e pluraliste. Utili idioti convinti di avere una coscienza immacolata.
Gli ebrei, in questo nuovo discorso giudeofobico, non sono più «semitizzati», raffigurati cioè come cosmopoliti di origine levantina, ma totalmente occidentalizzati, addirittura «arianizzati». Il fine di questa operazione ideologica è «desemitizzare» gli ebrei, così da farli apparire come stranieri «bianchi» in Medioriente, da trattare perciò come intrusi e occupanti.
Sugli ebrei viene concentrato l’odio accumulato verso un non meglio identificato «sistema occidentale», che comprenderebbe le grandi banche, il Forum di Davos e l’Alleanza Atlantica; dunque, non si tratterebbe solo di «decolonizzare» la Palestina dallo Stato d’Israele, ma anche di «liberare» l’umanità tutta dalla «lobby sionista», che controllerebbe gli Stati Uniti d’America e la finanza mondiale, rendendosi responsabile delle «guerre per il petrolio» o delle sperequazioni economiche mondiali.
Vale la pena notare l’uso esteso del termine «sionismo globale», che viene spesso utilizzato nella letteratura cospirazionista «anti-globalista», ma ampiamente propagatosi anche presso la sinistra radicale. Il termine suggerisce che il sionismo non sia il movimento di autodeterminazione del popolo ebraico, bensì l’elemento portante di una macchinazione su scala mondiale che vorrebbe rendere gli ebrei padroni del mondo. Una fantasia cospirativa che proviene dai Protocolli dei Savi di Sion.
La conclusione a cui conduce tale logica è evidente: uccidere ebrei significa uccidere israeliani o sionisti «oppressori», che altro non sarebbe se non un’azione di autodifesa o di legittima vendetta. Definire Hamas come «movimento di resistenza» significa affermare proprio la liceità della violenza antisemita.
La «Conferenza mondiale contro il razzismo del 2001», tenutasi a Durban, in Sudafrica, uno Stato fallito che tuttora accusa Israele di «genocidio», si è rivelata un momento chiave. Essa ha mostrato al mondo la persistenza di un terzomondismo rivoluzionario, innestatosi su una forma spuria di antirazzismo, già emerso dopo la Guerra dei Sei Giorni, nel giugno 1967, e manifestatosi in modo programmatico il 10 novembre 1975, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 3379 che condannava il «sionismo» come «forma di razzismo e di discriminazione razziale».
Le proteste di questi mesi discendono dalla Conferenza di Durban del 2001, che ha normalizzato tutta una serie di posizioni estremiste e intolleranti, ammantate però di grandi parole e nobili intenzioni. L’osceno spettacolo di una falsificazione assoluta delle lotte condotte in nome dei diritti umani, sfociato in un «pogrom verbale», che sarebbe divenuto «pogrom fattuale» con la Seconda Intifada e con la strage del 7 ottobre 2023.
A Durban, l’attenzione ossessiva posta sulla questione del sionismo si è trasformata, inoltre, in una lotta presuntivamente «progressista» in difesa della religione musulmana, identificata come fede degli «oppressi» di tutto il mondo: dai palestinesi agli immigrati arabi e africani delle periferie europee.
Il «rispetto» delle culture o delle religioni «Altre», dell’Islam in particolare, è stato così assolutizzato, senza riguardo per le violazioni dei diritti umani e delle libertà liberali inflitte in nome e per mezzo dell’Islam. I movimenti jihadisti, soprattutto quelli attivi in Palestina, sono stati presentati come eredi dei movimenti di liberazione anticoloniale, quando, in realtà, si tratta di organizzazioni reazionarie dedite allo schiavismo, all’omicidio di massa e all’alienazione delle popolazioni musulmane, alle quali impongono la totale sottomissione alla legge della Sharia.
Il convergere di queste tendenze ideologiche non rappresenta solo una minaccia per Israele, ma per l’intera civiltà occidentale, dato che gli jihadisti, come gli «antisionisti» dei campus, mirano alla distruzione della nostra storia e della nostra cultura «alta», nonché alla scomparsa della libertà accademica e di espressione e, più in generale, al soffocamento di ogni forma di libertà individuale.