L’UNRWA, l’Agenzia creata dall’ONU a seguito della prima guerra arabo-israeliana del 1948, non costituisce un doppione dell’altra Agenzia per i profughi, la UNHCR. Quest’ultima si occupa attivamente di assistere i profughi, ma non tutti: ne sono esclusi i profughi palestinesi, per i quali, e solo per loro, su richiesta del mondo arabo è stata creata una agenzia a parte con regole diverse. Per volontà araba diretta a creare un problema permanente ed insolubile che sia percepito come una perenne messa in stato d’accusa di Israele, questa agenzia prevede che siano considerati profughi non solo coloro che hanno lasciato, volontariamente o coattivamente, la loro terra, ma anche i loro discendenti e collaterali, fino alla fine dei tempi.
Ora gli Stati Uniti hanno deciso che, stante la posizione negativa dell’Autorità Palestinese sulle prospettive di pace, i 125 milioni di dollari donati a questa agenzia ogni anno sono troppi, ed hanno ridotto la somma a 60 milioni di dollari.
E’ la strategia di Trump, applicata anche in altri settori della diplomazia e della politica internazionali: fai quello che devi fare per il bene di tutti, oppure avrai meno soldi. E’ un approccio molto pragmatico, nel solco della cultura americana, che sostituisce quello di altri presidenti che invece speravano di poter ottenere qualcosa di positivo cedendo alle pretese di regimi autoritari e monocratici e chiudendo gli occhi dinanzi a palesi violazioni di diritti umanitari o di fair play politico.
I palestinesi, retti da un personaggio ampiamente squalificato ed indebolito sul piano interno, che si ingegna di trovare il sistema della propria sopravvivenza politica più che delle prospettive di una pacificazione regionale, sono da tempo usciti dall’elenco delle priorità che il resto del mondo arabo si pone e costituiscono oramai più un fastidio che non un pretesto od un’arma contro Israele.
Su Gerusalemme, come si è visto, solamente Abu Mazen ha assunto posizioni estreme, mentre il resto del mondo arabo si occupa d’altro. Minacce di ritorsioni, di disdetta degli accordi di Oslo che tanti vantaggi hanno portato ai palestinesi, di rifiuto di qualsiasi ulteriore contatto con gli Stati Uniti, non sono che delle parole vuote che il vento di un mondo che è profondamente cambiato si porta via.
Abu Mazen, del resto, sembra che sia andato fuori di testa e ragioni meno del solito (che già era pochino). Lo scorso 14 gennaio, al Consiglio centrale dell’OLP (Organizzazione PER LA LIBERAZIONE della Palestina – il nome dice tutto…) riunito a Ramallah ha “mandato al diavolo” (testuale) il presidente americano ed ha fornito una sua personale visione della storia: Israele è uno stato colonialista fin dai tempi di Oliver Cromwell (nel diciassettesimo secolo,dunque) ed il sionismo non ha nulla a che fare coll’ebraismo; gli ebrei europei, ha affermato nel suo discorso di due ore e mezza, hanno scelto volontariamente di morire nel corso della Shoah piuttosto che andare in Palestina. La cosa non ha sorpreso gli israeliani, che ricordano il libro che Abu Mazen ha scritto nel 1982, intitolato “L’altro lato: il legame segreto fra nazismo e sionismo”, nel quale egli afferma che il numero degli ebrei morti durante la Shoah è stato da loro altamente esagerato allo scopo di crearne un mito.
Forse il più preciso commento a questo delirio proviene da Netanyahu, il quale ha sottolineato come queste affermazioni indichino quale sia la vera ragione e radice del conflitto: il rifiuto di ammettere che Israele è uno stato ebraico.