Le torce sono accese, mancano le picche, forse arriveranno. Così muniti, ieri, un gruppo cospicuo di manifestanti si è diretto a Gerusalemme verso l’abitazione di Benjamin Netanyahu.
Ronan Bar, a capo dello Shin Bet, ha stigmatizzato la protesta evidenziando come ci sia una netta linea di demarcazione tra una manifestazione legittima e una protesta illegale e violenta.
Circa un mese fa viene pubblicato il rapporto annuale dell’intelligence americana sulle minacce alla sicurezza degli Stati Uniti, dove è scritto che a Washington si aspettano in Israele “grandi proteste che chiedono le sue (di Netanyahu) dimissioni e nuove elezioni”. Prescienza, o semplicemente un buon coordinamento tra la Casa Bianca e tutti quegli attori, in testa Yair Lapid e Ehud Barak, l’anziano ex fugace premier israeliano trasformatosi negli anni in Masianello, che vorrebbero togliere di mezzo Netanyahu, issare metaforicamente la sua testa su una picca e favorire i programmi americani?
Fare cadere Netanyahu e portare Israele alle elezioni paralizzando di fatto l’operazione militare a Gaza, per Washington sarebbe l’ideale visto che con Netanyahu e l’attuale governo in carica Joe Biden non riesce a ottenere più di quello che è già riuscito a ottenere, costringere un paese attaccato a combattere una guerra vincolandolo ad aiuti umanitari che gli Stati Uniti per primi non hanno mai messo in atto in questa misura nelle guerre da loro combattute o coordinate.
La morte dei sette operatori umanitari del World Center Kitchen, un tragico incidente, per il quale l’IDF ha ammesso subito la propria responsabilità, e sul quale è stata immediatamente aperta una indagine, non aiuta nell’operazione in corso a Gaza e offre agli Stati Uniti e agli altri paese che gli stanno apertamente dando addosso, di rincarare le reprimende.
Cosa succederà quando, dopo Ramadan, ormai agli sgoccioli, Israele entrerà a Rafah, dove è obbligato a entrare se non vuole che questa guerra ormai in corso da sei mesi, si trasformi in una burla atroce?
L’acme dell’odio deve sopraggiungere, e sopraggiungerà, c’è da giurarci. Si tratterà di ridurre ancora di più a brandelli l’immagine martoriata di Israele, anche se più di quanto sta avvenendo, in effetti, è difficile immaginare come.