Interviste

La voce scomoda di Bassem Eid | L’intervista

Il 22 luglio del 2017, Niram Ferretti intervistò a Gerusalemme, Bassem Eid. Riproponiamo l’intervista ai nostri lettori.

[n.d.r]

Non ti aspetti giri di parole da Bassem Eid. Non chiederà venia quando con chiarezza e precisione infrangerà una dopo l’altra tutte le icone della narrativa pro-palestinese: la vittimizzazione dei palestinesi da parte degli israeliani, la buona volontà della dirigenza palestinese di trovare una soluzione pacifica al conflitto più perdurante e mediatizzato del dopoguerra, l’intrinseca bontà di quelle organizzazioni che proclamano di lottare in difesa dei diritti del popolo palestinese, la natura maligna dell’”occupazione” israeliana.

Eid, nato a Gerusalemme Est quando la città era ancora sotto il controllo giordano e vissuto per trentatré anni nel campo rifugiati di Shuafat, ha dedicato buona parte della sua vita a difendere i diritti umani riportando abusi, in particolare quelli perpetrati dall’Autorità Palestinese. Nel 1996 ha fondato il Palestinian Humans Right Monitoring Group, dopo essere uscito dalla ONG israeliana B’Tselem a causa del rifiuto di quest’ultima di dare credito a un rapporto su presunti crimini commessi da parte palestinese.

Conferenziere internazionale, analista politico ed esperto della politica e della società araba-palestinese, è considerato da molti il principale attivista palestinese per i diritti umani in attività oggi.

L’informale lo ha incontrato a Gerusalemme.

Nel 1919 il Consiglio Generale Siriano sottolineò che gli abitanti dell’allora Palestina Mandataria Britannica vivevano in quello che era chiamato Balad esh sham (la provincia di Damasco) o Surya-al-Janubiya (la Siria del Sud). Nel 1974, Hafaz al Assad dichiarò, “La Palestina non solo è una parte della nostra nazione araba ma una parte fondamentale della Siria del Sud“. Qual è la sua opinione?

Sono una persona che cerca di dimenticarsi il passato e di guardare avanti, perlomeno per il futuro dei nostri ragazzi. I palestinesi esistono su questa terra come gli ebrei, non c’è alcuna differenza. Così come i palestinesi hanno il diritto di esistere, anche Israele ne ha il pieno diritto. Sfortunatamente, dichiarazioni come quelle di Hafez al Assad, o altri, gettano solo benzina sul fuoco. Non vedo come una dichiarazione di questo tipo possa servire per risolvere il conflitto, rende le cose solo molto più difficili. Dal 1948 ad oggi non ho mai visto gli Arabi o i musulmani dare alcun tipo di aiuto ai palestinesi. Ci sono solo stati slogan e slogan e slogan. I leader arabi hanno usato il caso palestinese per continuare a corrompere il loro popolo usando il pretesto di volere liberare i palestinesi dall’occupazione israeliana.

Quali sono gli obbiettivi dei palestinesi e come possono essere raggiunti?

Noi palestinesi dovremmo essere più realisti in merito ai nostri obbiettivi. Siamo realmente interessati a risolvere il conflitto o solo a gestirlo? Dagli Accordi di Oslo del 1993, dopo l’arrivo dell’OLP nella West Bank e a Gaza, non c’è stata nessuna dimostrazione seria che l’OLP o l’Autorità Palestinese, da Arafat a Mahmoud Abbas, abbia avuto la volontà di risolvere il conflitto arabo-israeliano. Il conflitto si è trasformato nella maggiore fonte di lucro per i leader palestinesi, e essendo diventato tale non credo che questi leader si impegneranno mai seriamente per trovare una soluzione. Prendi Gaza come esempio. Da dopo il disimpegno israeliano del 2005, Gaza vive dentro un enorme disastro. La situazione a Gaza prima del disimpegno israeliano era al 100% migliore di quanto lo sia oggi. Hamas tiene due milioni di palestinesi sotto il proprio giogo e nessuno può pronunciare una sola parola contro di esso. Abbiamo fallito su tutti i piani politici, allora cerchiamo perlomeno di sopravvivere e di migliorare la nostra situazione economica. Attualmente non credo nella soluzione di uno stato o di due stati, e sai perché? Perché ritengo che non siamo sufficientemente maturi per avere uno stato, dunque se non siamo sufficientemente maturi, perlomeno cerchiamo di sopravvivere e di avere un’economia che funzioni. Quindi è questo, al momento, l’obbiettivo più importante da raggiungere.

Qual è la tua opinione relativamente a organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l’UNRWA e l’UNESCO, le quali, su diversi livelli, operano partigianamente contro Israele?

Il maggio dell’anno scorso venni invitato alle Nazioni Unite per una grande conferenza intitolata “Ambasciatori contro il BDS”. Era la prima volta che mettevo piede nel quartiere generale dell’ONU a New York. Quando arrivai sul podio per parlare, la prima cosa che dissi fu “Mi piacerebbe potere avere le chiavi di questo palazzo, perché, se le avessi, lo sigillerei per sempre”. Oggi l’UNRWA, le Nazioni Unite, l’UNESCO e tutte queste organizzazioni internazionali hanno come loro scopo principale, in rapporto al conflitto arabo-israeliano, non di risolverlo ma di gestirlo, e la ragione è semplice. Come ho già detto, il conflitto è diventato una grande fonte di guadagno. E’ sufficientemente chiaro che mentre l’ONU promuove risoluzioni avverse a Israele e l’UNESCO fa la stessa cosa, essi ricevono fondi da paesi che hanno una precisa agenda anti-israeliana. Quando l’UNESCO, attraverso le sue delibere, sradica dalla Palestina le radici ebraiche, questo è l’equivalente di affermare che Israele non ha alcun diritto di esistere. Ciò porta un enorme quantitativo di denaro, ed è quello che l’UNESCO attende. La negazione da parte dell’UNESCO dei diritti di Israele a Gerusalemme, del diritto dell’eredità ebraica a Hebron, non mi aiutano in quanto palestinese, non mi daranno mai uno stato. Quello che noi palestinesi otteniamo da queste decisioni è esattamente l’effetto contrario. Rendono solo le cose molto più difficili per dei colloqui di pace. Non è questo il modo di promuoverla. Tutte queste organizzazioni internazionali, di cui l’UNRWA insieme all’UNESCO sono parte, dovrebbero cominciare seriamente a valutare le loro politiche nei confronti del conflitto arabo-israeliano perché facendo come fanno generano solo ostacoli sulla strada di qualsiasi opportunità di pace tra palestinesi e israeliani.

Fino a che punto, secondo te, l’elemento religioso è presente nel conflitto arabo-israeliano?

Sfortunatamente i musulmani, palestinesi inclusi, stanno cercando di politicizzare la religione perché la politicizzazione della religione è una cosa che attira molto i musulmani in giro per il mondo, ed è esattamente quello che Mahmoud Abbas sta facendo, quello che Hamas sta facendo, quello che Hezbollah sta facendo e quello che tutti i terroristi in giro per il mondo, i quali usano l’Islam contro gli ebrei, stanno facendo. Il problema più grande è che attualmente non abbiamo uno sceicco o un imam carismatico che possa prendere il proscenio e dire “Con quello che state facendo state portando tragedia su tragedia sopra il nostro popolo”, e ciò mi porta alla situazione attuale a Gerusalemme e Al Aqsa, dove gli israeliani hanno deciso di installare dei metal detector dopo l’attacco terroristico di venerdì scorso. Ascoltami, se vai al Kotel, passi attraverso dei cancelli elettronici di sicurezza, qual è il problema? Il rifiuto attuale dei musulmani di entrare ad Al Aqsa passando attraverso i metal detector significa che stiamo incitando il mondo islamico contro Israele e sfortunatamente la cosa sembra che stia filando liscia. Sono certo che, oltre a Mecca e Medina, ci sono moschee in giro per il mondo dove si accede passando attraverso una qualche forma di controllo, perché qui no? Non voglio essere ucciso dentro Al Aqsa o fuori di essa. Non voglio essere uno shahid, non voglio che mio figlio sia uno shahid. Se uccidi, uccidi, non importa quale sia il modo in cui ti definisci. Questa è, nella mia opinione, la tragedia, e penso che oggi il grande problema che dobbiamo affrontare sia con i musulmani e non con l’Islam, perché a mio vedere l’attitudine musulmana odierna è completamente contro le regole dell’Islam. Quindi vorrei che un giorno i musulmani si svegliassero e cominciassero a rendersi conto cosa stanno causando a se stessi.

Quale è la tua opinione dell’Autorità Palestinese e in generale della leadership palestinese?

Non mi fiderei mai dell’Autorità Palestinese né nella West Bank né a Gaza. L’obbiettivo principale della leadership palestinese è quello di continuare a tenere i palestinesi in ostaggio a vantaggio del conflitto. Questo è il suo scopo principale. Siamo ostaggi della nostra leadership, non di Israele, non dell’occupazione. Si tratta esattamente del contrario. Se ci si guarda intorno qui in Medioriente a quanto ci circonda, si scoprirà che paragonato ad altre realtà circostanti, quello che accade qui, il conflitto israelo-palestinese, lo rende il posto più sicuro della regione. Non vorrei trovarmi in Siria, non vorrei trovarmi in Iraq, non vorrei trovarmi in Yemen. Il problema più grande è la cecità della comunità internazionale relativamente alla leadership palestinese. E’ come se la comunità internazionale cercasse una specie di rivincita contro il popolo ebraico attraverso l’uso dei palestinesi e della leadership palestinese. E’ come se l’Europa stesse retrocedendo nella propria storia, perché l’antisemitismo nasce in Europa non nei paesi islamici. E’ come se l’Europa oggi stesse dando sempre più potere alla leadership palestinese perché continui a rifiutare qualsiasi tipo di accordo con Israele e sembra che i palestinesi, attualmente, non abbiano nessuna altra scelta che attendere che Abbas se ne vada. Coltivo una tenue speranza che dopo Abbas forse la nostra situazione migliorerà. Spero che emerga un leader serio e carismatico che dia speranza non solo ai palestinesi ma anche agli israeliani.

Mahmoud Abbas, Marawan Baraghouti, Khaled Mashal, Yahya Sinwar. Questi sono i nomi di alcuni dei leader dell’opposizione palestinese a Israele. Questo è quello che il mercato politico offre in termini di opzioni ed eventuali interlocutori. Alla fine dei conti, non è Abu Mazen l’opzione più accettabile?

Credo che nessuno dei nomi che hai menzionato possa rappresentare un futuro reale per i palestinesi. Per me l’opzione principale oggi per una leadership alternativa per i palestinesi è rappresentata da Mohammed Dhalan, il quale recentemente ha fatto un accordo molto interessante con l’Egitto in rapporto a Gaza. Un accordo accettato dall’Egitto e da Hamas. Ciò significa che sarà Dahlan e non Hamas a controllare il passaggio di Rafah tra l’Egitto e Gaza e, se ciò avverrà, il passaggio di Rafah resterà probabilmente aperto ventiquattro ore al giorno. Ciò indebolirà Mahmoud Abbas nella West Bank, perché, da quello che appare oggi, il rapporto tra Abbas e Al Sisi non è buono al 100%. Abbas è molto alterato dal fatto che Al Sisi sta permettendo a Dahlan l’ingresso al Cairo e anche la possibilità di farvi una conferenza stampa. Quindi la mia speranza è che questo accordo verrà finalizzato dato che il governo egiziano vuole prendere due piccioni in una volta sola. Il primo piccione è quello di mantenere calma la situazione tra Hamas e Israele, mentre il secondo è di permettere ad Al Sisi di combattere contro il terrorismo senza l’intrusione di Hamas nel Sinai. Se questo accordo andrà in porto, e credo che ci andrà, la situazione a Gaza migliorerà.

Sei un critico esplicito del movimento BDS, il quale è piuttosto popolare in Europa ed è riuscito a fare una campagna efficace nei campus americani. Molti pensano che il BDS stia combattendo per i diritti dei palestinesi. E’ l’opposto di quello che pensi tu. Vorresti specificare?

Questa gente cerca di procurare benefici a se stessa invece che ai palestinesi, si sono trovati un posto di lavoro perenne. Il boicottaggio non porterà mai la pace. Il BDS non cerca nessuna pace tra i palestinesi e gli israeliani, quello che cercano di raggiungere è una missione importante: dichiarare che Israele non ha alcun diritto all’esistenza. E’ ciò a cui lavorano. Come conseguenza della chiusura di alcune fabbriche nella West Bank, migliaia di lavoratori palestinesi sono stati cacciati. Non ho visto alcun caso in cui il BDS abbia aiutato i lavoratori palestinesi che hanno perso il loro lavoro a causa del boicottaggio, a causa del dislocamento delle fabbriche da un luogo all’altro. Non ho visto il BDS cercare di provvedere per l’assicurazione medica di quei lavoratori che hanno perso il loro posto di lavoro. Sfortunatamente alcune ONG palestinesi supportano il BDS, perché l’Europa lo ha posto come condizione, “Se volete che vi finanziamo dovete obbedire alle nostre politiche e firmare in favore del BDS”. E’ esattamente quello che sta facendo Omar Barghouti oggi in Europa, il collettore di soldi per la sua organizzazione. La buona notizia è che la politica del BDS non ha alcun effetto su Israele. Se riesci a fare chiudere qualche piccola fabbrica, che avvenga, ma non sono queste realtà a costituire la principale fonte di guadagno per Israele. L’economia israeliana non si basa sulla Coca Cola o sul Soda Stream, Israele ha la tecnologia, l’equipaggiamento militare, le startup. Tre mesi fa è stato siglato un accordo tra Israele e la Giordania secondo il quale Israele esporterà il gas naturale in Giordania per 15 miliardi di dollari. Dov’è il BDS? Mostrami il BDS in Giordania. L’Egitto è in procinto di firmare un altro accordo commerciale con Israele. Dov’è il BDS in Egitto? Il BDS è molto fortunato, e per una ragione molto semplice, opera in Europa e non nei paesi arabi. Se operasse in un paese arabo i suoi membri verrebbero incarcerati a vita. Sanno esattamente quali sono i luoghi più confortevoli per loro, l’Europa e i campus negli Stati Uniti. Ho incontrato molta di questa gente negli Stati Uniti, hanno manifestato contro di me, hanno stampato dei volantini contro di me, hanno creato disturbo ogni tanto durante le mie conferenze. Questa gente non crede nella libertà di parola, odia la libertà di parola. Credono di essere gli unici ad avere il diritto di parlare ma che io, come palestinese che non condivide il loro punto di vista, non abbia diritto di parola. La mia domanda fondamentale al BDS è: chi vi autorizza a parlare per conto mio?

Durante la Prima Intifada eri un ricercatore veterano sul campo per conto di B’Tselem, la ONG indipendente con sede a Gerusalemme il cui scopo, come quello di un’altra ONG, Breaking the Silence, è di documentare le presunte violazioni commesse da Israele in Cisgiordania. Quale è oggi la tua opinione su queste organizzazioni?

Oggi queste organizzazioni lavorano con una precisa agenda politica. Vogliono soddisfare i loro finanziatori piuttosto che i palestinesi e migliorare i loro diritti. Non vedo alcun fatto concreto che mi mostri che organizzazioni come B’Tselem e Breaking the Silence abbiano fatto qualcosa di positivo per cambiare la situazione corrente. B’Tselem ha iniziato ad operare nel 1989 e quale è stato il suo grande risultato? Zero, uno zero completo. La loro agenda principale è di natura politica con la copertura della salvaguardia dei diritti umani. Per lo più si tratta di politica europea. Prova a immaginare che da domani l’Europa smetta di finanziare queste organizzazioni come B’Tselem e Breaking the Silence o il BDS, cosa accadrebbe della gente che ci lavora? Resterebbero senza lavoro. La Germania è una delle maggiori finanziatrici di B’Tselem con mezzo milione di euro ogni anno, e mi riferisco solo a uno dei paesi finanziatori, per non menzionare quello che arriva dalla Francia, dalla Spagna, dal Regno Unito. Oggi B’Tselem assomiglia molto a una specie di Nazioni Unite israeliana. E’ finanziata dai governi non dalle fondazioni. Questa è la questione. Una delle fonti del conflitto arabo-israeliano sono i soldi europei. Se il flusso di denaro dall’Europa e dagli Stati Uniti cesserà sono molto ottimista sul fatto che la situazione qui cambierebbe in meglio.

Quali opzioni sostieni per una soluzione del conflitto, quella di uno stato, di due stati, gli emirati, l’incorporazione di una parte della West Bank nella Giordania e di Gaza in Egitto?

Ritornare allo status del ’67, il che significa che la West Bank o una sua parte verrebbe annessa alla Giordania e Gaza verrebbe annessa all’Egitto, è irrealistico. Nessuno di questi due paesi lo accetterebbe. Anche la confederazione tra lo stato palestinese e la Giordania è stata rigettata. L’Autorità Palestinese oggi è molto più interessata a una soluzione a tre stati per due popoli. Hamas sta lottando per il suo emirato islamico a Gaza, Abbas lotta per il suo impero nella West Bank e poi c’è lo stato di Israele. Questo è il modo in cui abbiamo vissuto negli ultimi dieci anni da quando Hamas ha preso possesso della Striscia di Gaza nel 2007. La situazione è molto difficile e lo stato delle cose rende qualsiasi soluzione molto difficile. Noi palestinesi abbiamo bisogno di almeno vent’anni e forse allora un leader palestinese carismatico apparirà per la prossima generazione e assumerà nuove iniziative, ma con la leadership attuale non ci sarà nessuna iniziativa di pace.

Quando parliamo della società palestinese di che cosa stiamo parlando esattamente?

Ci riferiamo essenzialmente a delle tribù. Nel 1977 quando Sadat visitò Israele diede una intervista a Yedioth Ahronot, uno dei principali giornali israeliani. Una delle domande che gli venne fatta dall’intervistatore fu quanti stati arabi esistevano al mondo. Sadat rispose ‘Uno, la repubblica dell’Egitto’, allora il giornalista domandò, ‘E gli altri?’ e Sadat disse, ‘Gli altri sono tribù con delle bandiere’. Ogni movimento palestinese ha la propria bandiera, l’OLP, Fatah, Hamas, qualunque altro. Sì, Sadat aveva ragione, siamo tribù con delle bandiere.

Secondo te quali sono i principali problemi che affliggono la società palestinese?

I problemi principali sorgono dalla cultura e dall’educazione. Nella nostra cultura non abbiamo una educazione che insegni la pace e l’accettazione dell’altro, non abbiamo una società civile. Questi sono concetti che provengono dall’Europa, dagli Stati Uniti, in altre parole, dall’Occidente, ma non ci appartengono. Così, come ho detto, la cultura è il problema principale, e un altro problema, il quale è profondamente connesso alla cultura, è che la società palestinese si basa sul Corano invece che sulle realtà della vita quotidiana.

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