Barbara Spinelli che non è antisemita, scrive oggi su il Fatto Quotidiano, il giornale più sguaiatamente antisionista d’Italia, un articolo in cui fa uso del più consunto tropo antisemita del Novecento, quello della lobby ebraica. L’articolo si intitola “La lobby occidentale che difende Bibi”, e in esso, l’autrice, ci informa che esiste un lobby ebraica in Occidente che ha le sue ramificazioni maggiori negli Stati Uniti e nel Regno Unito, esattamente quello che sosteneva Adolf Hitler. Ma che lo sostenesse Hitler non rende meno vero il fatto. Questa lobby ha molti soldi e ha potere politico e diffama persone perbene come Jeremy Corbyn e Jean Luc Melenchon che si battono per i diritti dei palestinesi che Israele massacra senza sosta a Gaza, soprattutto donne e bambini, quarantunomila ci informa la Spinelli arrotondando, annoverando tra le donne e i bambini anche gli oltre diciassettemila jihadisti che secondo l’IDF sono stati eliminati, ma non conta quello che dice l’IDF, conta quello che dice Hamas.
Ai primi dell’Ottocento, un presunto ufficiale dell’esercito italiano, J.B. Simonini poi diventato protagonista di “Il cimitero di Praga” di Umberto Eco, scrive una lettera all’abate Barruel, il quale riteneva che la rivoluzione francese fosse stata architettata dai massoni, per informarlo che c’era in giro gente assai peggiore, si trattava della “setta ebraica”, il prototipo della lobby, una setta molto ricca e influente che ordiva trame e complotti spaventosi. Da lì, poi si giunse ai “Protocolli”.
La Spinelli che non è antisemita, atroce sarebbbe solo supporlo, nell’ottobre del 2001, con le macerie delle Twin Towers ancora fumanti, scrive per La Stampa, di cui era editorialista, un articolo con un titolo che sarebbbe piaciuto a Monsignor Lefevbre, “Quel mea culpa che manca all’ebraismo”, in cui, come San Giovanni Crisostomo, chiede agli ebrei di discolparsi, non per avere mandato Cristo a morte, ma per i crimini commessi da Israele.
“Se c’è una cosa di cui si sente la mancanza nell’ebraismo è proprio questo: un mea culpa nei confronti di popolazioni e individui che hanno dovuto pagare il prezzo del sangue o dell’esilio per permettere a Israele di esistere”.
Per Adolf Hitler l’ebreo nasceva criminale, il crimine era ontologico, per la Spinelli è Israele che nasce nella colpa. L’espiazione richiesta da Hitler era radicale, quella che la Spinelli chiedeva nel 2001 era più gentile.
Sempre nel suo articolo sul Fatto Quotidiano veniamo informati che il sionismo è qualcosa di guasto, un progetto coloniale a danno di poveri innocenti. Anche per Hitler l’ebraismo era qualcosa di guasto, soprattutto ai danni dei tedeschi.
Come sostegno per la sua tesi la Spinelli si appoggia al falsario Ilan Pappe, autore di libri pieni di omissioni e deformazioni, di cui, un vero storico, Benny Morris, fece strame anni fa esponendone le imposture, al che, scoperto, Pappe affermò senza alcun imbarazzo:
“Il mio pregiudizio [propalestinese] è evidente malgrado il desiderio dei miei colleghi che io aderisca ai fatti e alla ‘verità’ quando ricostruisco realtà passate”.
La verità dei fatti è irrilevante quando si dispone di una narrativa affabulante in cui crudeli, una volta si diceva perfidi, giudei tornano nel paese che li ha originati per spossessarne uccidendola in massa, la popolazione araba che nel frattempo vi si è insediata.
La Spinelli è avvinta come Pappe da questa fabula fosca, la trova irresistibile, ma mi raccomando non confondiamo l’antisemitismo con l’antisionismo, il primo è orrendo, il secondo è giustificato, anche quando, per criminalizzarlo, si usano categorie mentali e tropi antisemiti.