Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

La portatrice d’acqua al mulino degli odiatori di Israele

Su Il Fatto Quotidiano, giornale specializzato nella difesa d’ufficio di Vladimir Putin attraverso gli articoli di Alessandro Orsini ed Elena Basile, oltreché nella pubblicazione di vignette «satiriche» impregnate di antisemitismo, è sbarcata Anna Foa. 

La storica vi compare con un lungo estratto dal suo recente libro, intitolato Il suicidio di Israele, edito da Laterza, casa editrice che ha il demerito di stampare anche i saggi di Enzo Traverso, uno dei più virulenti antisionisti del nostro Paese. Il testo della Foa è un condensato della sua ossessione: la presunta degenerazione della democrazia israeliana causata da Netanyahu e dalla «destra», che nei suoi scritti assumono tratti quasi demoniaci.

Quello dipinto dall’autrice, fin dalle prime righe, è un ritratto fosco: «La trasformazione di Israele in un Paese autoritario avanza, la polizia attacca ogni manifestazione di dissenso, le prigioni sono piene di cittadini arabo-israeliani e dei Territori detenuti senza processo, le dichiarazioni razziste dei ministri si moltiplicano». 

Si tratta di affermazioni esagerate, prive di qualunque fondamento e non verificabili. Si capisce fin da subito che la Foa non sta descrivendo la realtà, ma sta semplicemente dando sfogo al suo timore recondito di vedere una dittatura «di destra» in Israele. Ritrova la speranza solo quando scrive di quella parte della società civile, quella perennemente sconfitta alle urne, che «chiede la cessazione delle ostilità, la liberazione degli ostaggi, le dimissioni del governo». 

Le forze progressiste sarebbero «scoraggiate» nella loro battaglia contro il governo per via dell’accusa di «antisemitismo», che colpirebbe tutti coloro che criticano Netanyahu. La maggioranza dei suddetti, come sembra ammettere anche la Foa, sono soggetti che chiedono un nuovo genocidio («from the river to the sea Palestina will be free») oppure che definiscono Netanyahu «ebreo (ab)errante», raffigurandolo con la kippah sulla testa, come hanno fatto i suoi amici de Il Fatto. Accusarli o, quantomeno, sospettarli di antisemitismo è ben più che lecito. 

Se antisemitismo c’è, sembra suggerire a un certo punto Anna Foa, la colpa è soprattutto di Netanyahu, la sua bestia nera, il suo incubo. Il governo «di destra», coi suoi non meglio specificati «proclami di pulizia etnica», avrebbe alimentato l’odio verso gli ebrei. Si tratta di una dichiarazione falsa e sconsiderata. Netanyahu e il suo governo hanno agito con determinazione, ma con una costante attenzione ai civili. Non a caso, sebbene l’esercito israeliano combatta in zone densamente popolate e contro un nemico che usa la popolazione come «scudo umano», il rapporto è di un civile ucciso per ogni combattente morto. Molto basso per una guerra urbana. 

Pertanto, quando la Foa scrive che Israele «non esita a colpire vecchi e bambini per uccidere un solo capo di Hamas», mette nero su bianco una pericolosa menzogna, prestando il fianco a coloro che chiedono la cancellazione dello Stato. Come se tale dichiarazione non fosse già piuttosto grave, la storica rincara la dose suggerendo che l’eliminazione dei capi di Hamas sarebbe inutile, poiché ogni leader viene prontamente sostituito. Israele, dunque, come avrebbe dovuto reagire al massacro dell’ottobre scorso? Invece di disarticolare Hamas, riducendo al minimo la sua possibilità di offendere ancora, avrebbe dovuto incassare il colpo e non rispondere, così da non turbare la buona coscienza di Anna Foa? 

A lei non interessano i fatti. Il suo unico scopo è demonizzare Netanyahu e i suoi alleati, facendoli passare per la versione ebraica di Hamas. «Percorrere la via stretta tra il governo di Netanyahu e Hamas è difficile», scrive la storica, come se l’esecutivo israeliano e un’organizzazione terroristica fossero due entità da cui tenersi egualmente a distanza.  

In conclusione, la Foa, con il consueto tono declamatorio, afferma che lei, a differenza del governo in carica, non può credere che i palestinesi siano tutti terroristi e tagliatori di gole («Non voglio pensare che sia così»). Anche Cindy Flash e suo marito, Igal Flash, non volevano pensarla così, e si battevano per i diritti dei palestinesi. I due sono stati barbaramente uccisi, insieme a tanti altri israeliani «pacifisti», in una stanza della loro casa a Kfar Aza, la comunità agricola del sud d’Israele trasformata, il 7 ottobre 2023, in un mattatoio. 

Morire in nome del proprio idealismo è da ingenui, sebbene di un’ingenuità nobile, gettare fango su uno Stato che lotta per la sua sopravvivenza a causa della propria incapacità di fare i conti con la realtà, proprio come fa Anna Foa, è moralmente e politicamente osceno. 

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