Con l’eliminazione di Hassan Nasrallah, Israele non ha soltanto decapitato la leadership di Hezbollah, già messa in ginocchio da una serie di attacchi che ne hanno dilaniato l’intero quadro direttivo, oltre che le capacità operative, ma ha anche lanciato un segnale chiarissimo: “possiamo arrivare ovunque e non ci fermeremo davanti a nulla finchè i cittadini israeliani e gli ebrei continueranno ad essere bersaglio sistematico del terrorismo internazionale”.
Del resto, Israele aveva già messo in atto dei colpi devastanti in pieno territorio nemico, come lo scorso 31 luglio quando a Teheran veniva eliminato il leader di Hamas, Ismail Haniyeh. Un colpo durissimo che non ha soltanto decapitato Hamas, ma ha anche umiliato il regime iraniano.
Ci sono anche le altre morti, quelle dell’ex presidente iraniano Raisi, deceduto in un misterioso incidente in elicottero a maggio; ci sono le eliminazioni dei numeri due e tre di Hamas, Muhammad Deif, Marwan Issa, nonché di Saleh al-Arouri, uomo di Hamas in Libano e liaison tra l’organizzazione terrorista palestinese e Teheran. Ora manca all’appello Yahya Sinwar, ma è probabile che a breve i conti verranno chiusi anche con costui. Israele sta così demolendo, pezzo dopo pezzo, l’intero “asse della Resistenza”.
C’è poi la questione legata ai cercapersone esplosivi, un’operazione senza precedenti che rimarrà nella storia. Anche in questo caso Israele ha dimostrato ingegno, “chirurgia” e capacità certamente non comuni nel controterrorismo.
Una panoramica drammatica, agli occhi dei terroristi, che vivono ora nel terrore non sentendosi più al sicuro in nessun posto. Se Israele è infatti in grado di colpire nella “tana del lupo”, nella roccaforte dei terroristi, radendola anche totalmente al suolo, come nel caso del raid sul quartier generale di Hezbollah a Beirut, allora Israele è in grado di colpire ovunque, in qualsiasi parte del mondo, come ad esempio ad al-Hudaydah, in Yemen, quando l’aviazione israeliana, in risposta ai droni lanciati dagli Houthi, ha distrutto il porto e la centrale elettrica.
Non si tratta soltanto di operazioni militari e di controterrorismo fondate su differenti modus operandi e tattiche, ma anche di una strategia psicologica volta a mettere sotto pressione i terroristi e i loro fiancheggiatori.
Una riflessione è doverosa anche per quanto riguarda la situazione della diaspora ebraica, specialmente in Europa, dove ambiguità politico-istituzionali nei confronti di Israele, delle comunità ebraiche si affiancano a sistematiche manifestazioni di piazza, anche violente, a favore del terrorismo filopalestinese e dell’antisemitismo (camuffato da “antisionismo), portate avanti da ambiti islamisti e palestinesi sostenuti da formazioni sovversive dell’estrema sinistra. Manifestazioni che trovano molto, troppo spazio in nome di una “libertà di espressione” che sfocia però nella palese disseminazione di odio e violenza.
Ebbene, i “beniamini” di queste formazioni che utilizzando le piazze, i leader del terrorismo islamista, stanno cadendo come mosche e le strutture terroristiche si stanno sgretolando sotto i colpi di Tsahal. E’ successo a Hamas a Gaza, sta succedendo a Hezbollah e questo è plausibilmente soltanto l’inizio. Molta attenzione dunque, perché quando si tratta di sicurezza Israele non guarda in faccia nessuno e non si vorrebbe assistere a un’estensione della conflittualità al Vecchio Continente.