Interviste

“La lobby degli ostaggi ha sconfitto quella della vittoria”: intervista a Daniel Pipes

Interlocutore abituale da anni de L’Informale, Daniel Pipes, presidente del Middle East Forum e tra i più autorevoli analisti del Medio Oriente, ci ha concesso la seguente intervista, la terza, da quando, il 7 ottobre 2023, Hamas ha attaccato Israele.

In un’analisi per il Middle East Forum, Zvi Hauser  scrive: “Qualsiasi conclusione della guerra che non preveda l’eliminazione o il ritiro delle forze militari di Hamas da Gaza sarà interpretata come una vittoria di Hamas, per quanto estesi siano i danni che avrà subito”. È d’accordo?

Sono completamente d’accordo, non solo perché la logica richiede la fine del potere di Hamas a Gaza, ma anche perché questo è stato l’obiettivo dichiarato più volte del governo israeliano. Ho due blog, uno con le dichiarazioni di Benjamin Netanyahu che invoca la vittoria, e un altro dello stesso tenore tenuto da terzi. Focalizzandomi sul primo, conto che Netanyahu lo ha detto 163 volte nel contesto di 56 dichiarazioni dal 7 ottobre a oggi.

L’accordo in corso tra Hamas e Israele assomiglia a una capitolazione di Israele. Nella nostra intervista di novembre, lei ha affermato che la conclusione della guerra sarà probabilmente per Israele un “mezzo fallimento”, ma da quello che emerge dai termini dell’accordo sembra molto peggio.

Sì, è molto peggio. Il 27 aprile il ministro degli Esteri Israel Katz ha affermato che “il rilascio degli ostaggi è la massima priorità per noi”, aggiungendo che “se ci sarà un accordo, sospenderemo l’operazione” a Rafah, l’ultima roccaforte di Hamas a Gaza. Da ciò traggo tre conclusioni: Hamas continuerà a perseverare per combattere nuovamente Israele; in Israele la lobby degli ostaggi ha sconfitto la lobby della vittoria; e tutti i grandi discorsi di Netanyahu sulla “vittoria totale” erano solo chiacchiere.

Porre fine alla guerra, non sconfiggere Hamas, sembra essere la priorità dell’amministrazione Biden. È così?

Sì. Biden vuole che Israele sia al sicuro ma non gli permetterà di vincere. Contemporaneamente invia 17 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele e minaccia di imporre sanzioni al battaglione Netzah Yehuda dell’IDF. Questa politica ossimorica deriva dal desiderio di Biden sia di proteggere Israele sia di ottenere i voti della sinistra anti-israeliana di cui ha bisogno per ottenere la rielezione a presidente a novembre.

Quali sarebbero le conseguenze geopolitiche di una sconfitta israeliana a Gaza?

Hamas conserverebbe la sua capacità di attaccare Israele da Gaza e incrementerebbe la sua ambizione di controllare la Cisgiordania. I mullah di Teheran si sentirebbero incoraggiati a portare avanti la loro guerra per procura contro Israele. I leader degli stati arabi vedrebbero Israele come un partner meno affidabile rispetto all’Iran. A Gerusalemme emergerebbe un primo ministro di estrema destra.

Israele ha risposto in minima parte all’attacco iraniano del 13 aprile scorso. È più una decisione americana o israeliana?

I resoconti variano, con alcuni che vedono Israele intenzionato a colpire l’Iran ma frenato dagli americani, altri che vedono la risposta fondamentalmente come una decisione israeliana. Non ne so abbastanza per giudicare quale delle due versioni sia la più attendibile.

Lei conosce Benjamin Netanyahu dal 1983. Come giudica la sua conduzione della crisi in corso? 

Il suo passato lungo e contrastante è stato accantonato  il 7 ottobre e, da una posizione di debolezza, sta cercando di fare risorgere la deterrenza israeliana e la propria reputazione. Temo che sia la persona sbagliata per questo lavoro. Come Neville Chamberlain, avrebbe dovuto dimettersi quando si è verificato il disastro.

Come giudica il comportamento dell’Amministrazione Biden?

Quella che prima chiamavo una politica ossimorica non piace a nessuno e non raggiunge alcun obiettivo. Mi rattrista vedere sia Netanyahu che Biden mettere i loro interessi personali al di sopra dei rispettivi interessi nazionali.

Alcune delle università più elitarie degli Stati Uniti sono diventate il teatro di un odio senza precedenti contro Israele e di intimidazioni e molestie nei confronti di studenti ebrei. Come si è arrivati a questo punto?.

Si tratta del culmine di decenni e decenni di antisionismo ai limiti dell’antisemitismo. Alla fine, tutti i pezzi si sono incastrati al posto giusto. Gli amministratori delle università si sono trovati poco preparati a questa deflagrazione quanto lo è stato Israele relativamente al 7 ottobre.

In che modo possono agire le università per risolvere il problema?

Devono rompere la monocultura prevalente della sinistra. Per fare un esempio l’University della Pennsylvania  (vicino alla quale vivo e dove ho documentato l’accampamento anti-israeliano che si trova al suo interno): il 99,7% delle donazioni politiche provenienti dalla sua facoltà nel 2021-22 è andato ai democratici.

Domanda conclusiva. Le elezioni presidenziali americane sono incombenti. Reputa che per Israele Donald Trump sarebbe un presidente migliore rispetto a Joe Biden?

Quando era presidente Trump ha adottato politiche filo-israeliane molto più di Biden, che accondiscende all’ala sinistra del suo partito. Ma Trump è una figura volubile ed è amareggiato dopo avere perso nel 2020, quindi non oso prevedere quali potrebbero essere le sue politiche di secondo mandato nei confronti di Israele. Ciò è particolarmente vero se Netanyahu sarà ancora primo ministro, perché Trump è profondamente risentito per il fatto che Netanyahu si sia congratulato con Biden per essere diventato presidente (come se Netanyahu avesse potuto scegliere di non farlo), arrivando addirittura a ingiuriarlo per averlo fatto.

Traduzione di Niram Ferretti

   

 

 

     

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