Elor Azaria, 20 anni, è un soldato dell’Idf, le forze di difesa israeliane. Un esercito tra i più efficienti al mondo, se non il più efficiente. Ma anche con regole d’ingaggio rigide e severe, indispensabili in uno scenario come quello israeliano in cui atteggiamenti e comportamenti dei militari si possono ripercuotere sulla sicurezza dei civili.
Eventuali errori dei soldati dovuti a qualche “testa calda” di troppo potrebbero mettere in serio rischio l’incolumità dei civili israeliani, ai danni dei quali potrebbero aumentare le aggressioni da parte dei palestinesi per qualche atteggiamento sopra le righe dei soldati dell’Idf.
Proprio per questo, gli israeliani in divisa sono sostanzialmente costretti a non sbagliare. Mai. A non farsi dominare dallo stress, dalla rabbia, nemmeno dalla paura. A non avere reazioni istintive o dovute alla delicatezza della situazione. In ogni frangente devono mantenere le calma e soprattutto eseguire gli ordini.
Elon Azaria non l’ha fatto. Ha sparato ad un palestinese a terra, ferito e ormai inoffensivo, sostanzialmente impossibilitato a muoversi. Un terrorista, che aveva apena aggredito degli altri soldati. Quel terrorista era stato ormai neutralizzato, c’era già un’ambulanza sul posto e la situazione era sotto controllo. Ma Elon Azaria ha preso la mira e ha sparato. L’ha freddato con un ultimo colpo. Un’esecuzione.
L’opinione pubblica israeliana si è divisa tra chi avrebbe voluto un’assoluzione del soldato perché, in fondo, ha ucciso un terrorista, e chi invece rimarca la differenza tra democrazia israeliana e paesi arabi, in cui invece i “martiri” assassini vengono premiati con vitalizi.
Qualcuno ha anche definito un eroe quel soldato, accusando Israele di aver abbandonato un proprio figlio. Non è stato così.
La condanna per “manslaughter”, omicidio preterintenzionale, già di per sé tenue rispetto alla dinamica dei fatti che lascerebbe pensare ad un omicidio volontario, è un segnale di Israele a tutti: non si cede all’opinione pubblica, lo stato di diritto israeliano non sarà sconfitto dalle continue aggressioni subite.
E i soldati che sbagliano pagano, anche per premiare i tanti che, nella stessa situazione, invece si comportano in modo irreprensibile.