Israele e Medio Oriente

La guerra dei Sei giorni

Forte della sua apparente vittoria nella guerra del 1956, Nasser continuò negli anni successivi ad avere un ruolo determinante nella scena internazionale, tentando quanto possibile di unificare i popoli arabi (e non solo) contro l’occidente colonialista, di cui a suo dire Israele era l’avamposto nella regione. A tale scopo l’elemento di comunanza con gli altri Stati arabi – che erano in realtà assai diversi l’uno dall’altro e avevano ognuno le proprie mire e i propri interessi – fu identificato nella “causa palestinese”, nata in seguito all’esodo arabo da Israele avvenuto oltre dieci anni prima.

Moshe Dayan Il primo ad assumersi l’onere di difendere la causa palestinese fu ancora una volta Nasser, che nel 1964 – assieme agli altri membri della Lega Araba – diede vita al Cairo all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). L’OLP raggruppava una miriade di formazioni politiche diverse ma tutte ugualmente decise a combattere contro “il nemico sionista”. Le sorti di questa lotta all’epoca erano però affidate in primo luogo agli eserciti e questi fino ad allora erano stati sconfitti (nel 1948 e nel 1956): Nasser tentò di capovolgere questo trend. Già negli anni precedenti la Siria aveva più volte bersagliato dalle Alture del Golan i villaggi israeliani limitrofi mediante il lancio di missili; così come il rais egiziano aveva già più volte minacciato verbalmente lo Stato ebraico, il cui Primo Ministro dal 1966 era Levi Eshkol, con Moshe Dayan al Ministero degli Esteri.

Soldati israeliani avanzano nelle posizioni egiziane a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza durante la guerra dei Sei Giorni.Il 16 maggio del 1967 Nasser intimò alle truppe ONU di ritirare le proprie forze di pace stanziate nella penisola del Sinai, schierando il proprio esercito nel deserto, preludendo un attacco imminente. Gli israeliani tuttavia non reagirono alla provocazione e il rais mise in atto un blocco navale su Eilat, l’unica città portuale israeliana del sud, chiudendo nuovamente il traffico nel golfo dell’Aqaba. La settimana successiva pronunciò un acceso discorso al Cairo, in cui dichiarò apertamente di voler annientare l’“entità sionista”. L’escalation di provocazioni continuò nelle settimane successive, anche per mezzo di proclami radiofonici: in particolar modo il 25 maggio Radio Cairo diffuse il messaggio secondo cui il popolo arabo era “risoluto nel voler cancellare Israele dalle mappe”. Tre giorni dopo anche altri quattro Stati arabi (Siria, Iraq, Giordania e Arabia Saudita) avvicinarono i loro eserciti lungo il confine.

Le truppe israeliane a Gaza, 6 giugno 1967. Il governo israeliano era contrario ad un attacco preventivo, poiché avrebbe potuto minare l’appoggio della comunità internazionale: ma le forze israeliane erano potenzialmente di gran lunga inferiori rispetto a quelle avversarie: le truppe di cui disponeva erano infatti in tutto 264 mila, dunque molto inferiori rispetto a quelle arabe che disponevano di eserciti ben più imponenti e preparati. Gli 800 carri armati israeliani erano ben poca cosa in confronto ai 2504 cingolati arabi e anche gli aerei da guerra erano meno della metà rispetto a quelli avversari. Moshè Dayan non aveva dubbi: l’attacco preventivo era l’unico modo per sopravvivere all’imminente offensiva degli Stati limitrofi.

Alle 7.45 della mattina del 6 giugno 1967 l’aviazione israeliana bombardò a sorpresa le basi aeree di Egitto, Siria e Giordania. Oltre 400 velivoli da guerra furono distrutti prima ancora di spiccare il volo e le piste di decollo furono messe fuori uso, rompendo sul nascere il vantaggio aereo arabo e salvando le città israeliane e i suoi civili dall’orrore che sarebbe derivato dai bombardamenti.

Corazzati israeliani nella zona centrale della penisola del Sinai, 7 giugno 1967.Per sei giorni la guerra imperversò nel campo di battaglia. Il Generale Rabin, all’epoca capo di Stato Maggiore, coordinò le truppe su tre fronti contro Egitto, Siria e Giordania. Le forze egiziane ammassate nella Striscia di Gaza furono spinte indietro nel deserto del Sinai, 160 km ad ovest del Canale di Suez. Le truppe siriane, che stavano inizialmente riuscendo a conquistare il nord della Galilea, furono spinte indietro di 25 km e persero il controllo delle Alture del Golan. L’esercito giordano, che inizialmente si trovava a soli 14 km di distanza dal mare fu spinto verso est di 50 km, fuori dalla Cisgiordania, da Gerusalemme Est e oltre il fiume Giordano.

Il Primo Ministro Levi Eshkol e il Ministro Menachem Begin con i soldati nel Sinai, 14 giugno 1967 Il costo della guerra fu elevato per coloro che auspicavano la distruzione di Israele. Oltre 15 mila soldati egiziani, alcune migliaia di giordani e circa 1000 siriani persero la vita nei combattimenti; le perdite israeliane furono in tutto 766 in tutti i fronti. Non vi fu un grande trionfalismo nelle dichiarazioni delle autorità israeliane: “può darsi – disse Rabin di fronte ad un vasto pubblico nell’immediato dopoguerra – che il popolo ebraico non sia mai stato abituato a sentire l’ebbrezza del trionfo, della conquista e della vittoria e di conseguenza accogliamo tutto ciò con un misto di sensazioni”. I festeggiamenti per le strade delle città invece furono enormi, soprattutto in seguito alla riconquista dell’intera città di Gerusalemme.

Fonte: Storia di Israele

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