Israele e Medio Oriente

La forza di Israele e la debolezza dell’Europa

Durante l’estate del 2014, mentre era in corso l’operazione Margine di Protezione, l’ultimo conflitto diretto tra Israele e Hamas, il filosofo Gianni Vattimo affermava durante una trasmissione radiofonica di stare dalla parte del gruppo integralista islamico.

Vattimo è solo uno della schiera degli intellettuali europei e più in generale occidentali che hanno girato le spalle a Israele per abbracciare il jihadismo scambiandolo per “resistenza” nei confronti dell’oppressore. Si tratta di una capitolazione radicale dell’intelletto che vanta nomi illustri e che nel passato, sia a destra come a sinistra si è votato, da Sartre a Saramago, da Céline a Hamsun da Neruda a Schmitt, alle ragioni del totalitarismo nazista e comunista.

Oggi che nazismo e comunismo hanno terminato la loro corsa, (anche se il secondo continua come uno zombie a ripresentarsi sullo scenario della storia), resta pur sempre a una Europa sempre più afflitta da una profonda crisi identitaria, l’esecrazione di Israele. Non è qui possibile tracciare la genesi di questa affezione patologica, ma occorre dire che essa si nutre in parte sostanziale di terzomondismo e di anti-atlantismo declinato in modo classico come avversione nei confronti degli Stati Uniti.

I fatti recenti accaduti in Israele, i sedici morti arabi-palestinesi uccisi dall’esercito israeliano durante la manifestazione orchestrata a Gaza ai confini della barriera di separazione dallo Stato ebraico, hanno nuovamente dato la stura all’abituale coro di attacchi contro Israele per la sua risposta armata.

Il copione è fisso da decenni. Quando Israele interviene per difendere le proprie ragioni scatta subito l’esecrazione pubblica. I palestinesi uccisi diventano immediatamente vittime e i soldati israeliani carnefici. Lo abbiamo visto massimamente nel 2014 quando le piazze soprattutto europee si riempivano di manifestazioni anti-israeliane e i manifestanti marciavano con chi glorificava e glorifica gli estremisti islamici di Hamas.

Per costoro, che Hamas controlli dal 2007 dopo un golpe in cui esautorò Fatah dal potere, l’enclave costiera di Gaza, imponendo un regime di terrore costruito sulla violenza, la delazione, la corruzione e avvilendo in modo drammatico le condizioni di vita della popolazione, è irrilevante. Come è irrilevante sapere che dieci degli arabi palestinesi uccisi dal soldati israeliani ieri, appartenessero alla Brigata Izz ad-Din al-Qassam, l’ala armata del gruppo jihadista.




Quello che conta è la narrazione secondo la quale la Marcia per il Ritorno, che ha portato ai confini tra Gaza e Israele 30.000 persone, sia una manifestazione pacifica perché così è stata annunciata dagli organizzatori e che, improvvisamente, soldati killer israeliani abbiano deciso di sparare a casaccio sulla folla. Si vuole credere questo, è necessario credere questo. Se così non fosse bisognerebbe ammettere che il cosiddetto “ritorno” invocato dagli aderenti alla marcia e abilmente orchestrato da Hamas che si trova in un momento di estrema debolezza e tenta così di rilanciarsi, significa, come scritto chiaramente nella Carta programmatica del gruppo, la presa di tutta la Palestina. Significa la fine di Israele in quanto stato ebraico.

Bisognerebbe ammettere che Hamas, e prima di Hamas l’OLP di Arafat hanno sempre e solo cercato di giungere a questo obbiettivo attraverso la lotta armata e il terrorismo. Bisognerebbe ammettere che le ragioni di Hamas sono quelle del jihad islamico, bisognerebbe ammettere che se Hamas avesse la meglio e Israele scomparisse, al suo posto ci sarebbe un altro stato islamico fondato sul rigorismo della sharia.

Ma siccome ammettere questo significa dovere riconoscere la verità e capitolare difronte alla realtà, si preferisce rappresentare Israele come una potenza malvagia e assassina e chi ha in odio la democrazia, la libertà e il pluralismo, come “resistente” e “vittima”.

D’altronde, quanti qui in Europa nelle file della sinistra, al cospetto della terribilità del totalitarismo sovietico e dei suoi regimi satelliti, osava denunciarne l’orrore e la disumanità, e non preferiva invece esaltarne supposte virtù di eguaglianza, progresso, emancipazione umana dalle storture del liberalismo e del capitalismo?




Leggere la stampa italiana (ma non solo) a proposito dei fatti accaduti al confine tra Gaza e Israele insieme alle dichiarazioni di alcuni esponenti politici, tra cui l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, provoca nel lettore il solito senso di vertigine per l’incapacità strutturale di vedere chiaramente la realtà e capire senza fallo da che parte abitino quei valori che l’Europa, nella sua travagliata storia si è conquistata faticosamente, e da che parte sta invece la barbarie.

Ma è uno dei segni terribili dei nostro tempo e di questa Europa che si crede al riparo dalle minacce rappresentate da chi ha in odio la democrazia e i suoi corollari, non sapersi riconoscersi senza se e senza ma nell’unico paese in Medioriente che sa difenderla senza indugio. Ed è forse questo il punto, che mentre Israele non ha mai smesso di difenderla, l’Europa sta progressivamente rinunciando a farlo.

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