Quella che si è inaugurata l’11 gennaio all’Aia, presso la Corte Internazionale di Giustizia, è una grande montatura confezionata per dare un’apparente legittimità alle false accuse di crimini rivolte allo Stato ebraico.
Non si tratta di un crimine qualsiasi ma del peggior crimine che uno Stato o un popolo può commettere: quello di genocidio. Proveremo a tratteggiare le figure degli accusatori e di cos’è, nella realtà, la Corte Internazionale di Giustizia.
La Corte di Giustizia Internazionale nei fatti è un organo politico come lo è l’ONU e tutte le istituzioni internazionali. Non può essere diversamente: tutte le organizzazioni di questo tipo sono composte e decise dagli Stati, essi stessi istituzioni politiche. Sono gli Stati che decidono i rappresentanti che andranno a formare i comitati, le commissioni e i consigli delle istituzioni internazionali, e a questa regola non fa eccezione la Corte Internazionale di Giustizia.
L‘Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza scelgono i giudici selezionati da una lista di candidati proposti dai gruppi nazionali della Corte permanente d’Arbitrato. In pratica, gli Stati decidono chi ha i requisiti per diventare giudice della Corte Internazionale di Giustizia, i quali vengono poi votati, a maggioranza, all’Assemblea Generale. Riferiamo questo modo di procedere (politico) al caso di Israele. L’Assemblea Generale è composta nella sua grande maggioranza da paesi che sono ostili a Israele, molti dei quali non lo riconoscono o sono in guerra con esso. Questi paesi non hanno forse un “conflitto d’interesse” nel giudicare Israele?
Bisogna sottolineare che nessun giudice israeliano è mai stato eletto alla Corte Internazionale di Giustizia perché la maggioranza degli Stati ostili a Israele non ne ha mai permesso l’elezione, così come nessun rappresentante israeliano è stato eletto in nessun comitato, consiglio o commissione dell’ONU a causa del sistema “segregazionista” vigente nel Palazzo di Vetro (per un maggiore approfondimento rimando a quanto già scritto in proposito https://www.linformale.eu/allonu-vige-lapartheid/).
Per avvalorare la tesi che l’Assemblea Generale è pregiudizialmente ostile a Israele è sufficiente citare il numero di risoluzioni di condanna nei confronti di Israele che sono state votate dal solo 2015 ad oggi, 141 risoluzioni di condanna, che risultano maggiori rispetto a quelle approvate nei confronti di tutti gli altri Stati del mondo (66) messi assieme. Basta questo per capire come l’organo (l’Assemblea Generale) designato per l’elezione dei giudici della Corte Internazionale di Giustizia sia fortemente politicizzato in senso antiisraeliano.
A comprova dell’indubbia politicizzazione della Corte Internazionale di Giustizia basta citare il caso del parere consultivo che essa diede nel 2004 in merito alla costruzione della barriera difensiva che Israele iniziò a costruire per proteggere la popolazione civile dai sanguinosi attentati terroristici palestinesi.
Il parere della Corte (anche se non unanime) fu che Israele non aveva diritto di difendersi dagli attentati e la barriera, di conseguenza, era illegale. Il parere fu espresso dalla maggioranza dei giudici senza che fornissero una sola norma di diritto internazionale a suo sostegno ma basandosi unicamente su congetture politiche. A ciò si può aggiungere un altro aspetto: la composizione della Corte stessa. Tra i 15 giudici che la compongono attualmente ci sono i rappresentanti di Libano, Somalia, Uganda, Cina e Russia (a breve si insedierà il rappresentante del Sudafrica…), paesi che non riconoscono neanche Israele o hanno con esso pessimi rapporti diplomatici per ragioni di politica internazionale. Si può avere la certezza che questi rappresentanti saranno imparziali? O avranno indicazioni dai rispettivi governi su come orientarsi, così come è stato per il caso del parere consultivo del 2004?
In un tribunale dove vige la legge, e non la politica, la difesa avrebbe tutti i diritti per ricusarli, ma all’Aia questo non è possibile. Si ha la netta sensazione che la sentenza sia già scritta, altrimenti, se esso fosse un tribunale credibile, avrebbe già cassato la richiesta del Sudafrica senza neanche aprire il caso.
Sulla legittimità del Sudafrica come accusatore di Israele è sufficiente dire che esso è tra i paesi al mondo con gli indici più alti per omicidi pro-capite, per la violenza sulle donne, per corruzione, nepotismo e disoccupazione e con una spesa pubblica insostenibile. In pratica si tratta di uno Stato “fallito” economicamente e socialmente come attestato da vari enti internazionali.
Nel 2001, a Durban, ospitò il più orrendo spettacolo di antisemitismo (travestito da Conferenza mondiale contro il razzismo) dal tempo delle adunate naziste e dai processi farsa di Stalin. Nel 2008, in Sudafrica si sono verificate vere e proprie rivolte xenofobe che hanno portato alla cacciata dalle loro case di oltre 100.000 persone e l’assassinio di numerose altre. L’attuale partito al governo, l’African National Congress, governa ininterrottamente il paese da 25 anni tra nepotismo, corruzione e ricchezze gigantesche accumulate dai suoi alti dirigenti. Le posizioni assunte dal Primo ministro sudafricano e dalla ministra degli Esteri subito dopo il 7 ottobre sono state esplicite: Israele non ha nessun diritto a difendersi perché è uno Stato colonialista dal 1948, dove vige l’apartheid. L’eccidio perpetrato dai palestinesi il 7 ottobre, sostengono, rientra “nel diritto dei palestinesi a combattere contro l’occupazione”. In questo, hanno trovato un appoggio nel Segretario dell’ONU Antonio Guterres.
Questo è, in estrema sintesi, il curriculum del paese che accusa Israele di “genocidio”.
Entrando nel merito della requisitoria degli “esperti” sudafricani, si scopre che essi non hanno mai accennato all’eccidio perpetrato dai palestinesi il 7 ottobre, ne agli ostaggi israeliani, così come non hanno fatto nessun riferimento alle leggi di guerra, non hanno fornito nessun dato oggettivo sui morti civili, ma solo i dati forniti da Hamas che non distinguono tra terroristi e civili e su chi ha causato i morti. Non hanno spiegato il contesto del teatro di guerra urbano nel quale Hamas utilizza scientemente solo edifici civili per scopi militari rendendoli, per la legge internazionale obiettivi militari legittimi. Così come nessun accenno è stato fatto al dovere di uno Stato all’autodifesa che, per loro, nel caso di Israele non è legittimo. Le loro accuse si basano, unicamente su affermazioni fatte da politici e da alcuni militari israeliani, privi di comando, che inneggiavano a punizioni terribili per vendicare l’eccidio del 7 ottobre.
La guerra in corso è completamente decontestualizzata al fine di criminalizzare Israele e poterlo accusare di “genocidio”. Ma se fosse vera l’intenzione genocida di Israele, come affermano gli “esperti” sudafricani, non sarebbero altrettanto responsabili l’Egitto e la Giordania che si rifiutano di accogliere i profughi come tutti gli altri paesi della comunità internazionale? Perché il Sudafrica non mette nessuno, ad iniziare dall’Egitto, assieme ad Israele sul banco degli imputati come corresponsabile del “genocidio” se questo è effettivamente in corso?
Palesemente il vero intento del processo è quello di criminalizzare Israele con l’aiuto essenziale dei mass media che lo hanno già colpevolizzato a prescindere per il solo fatto di essere stato chiamato in causa a difendersi. Tale fine è perseguito con l’utilizzo di termini giuridici usati al di fuori di ogni accuratezza tecnica rigorosa come “genocidio”, “occupazione”, “diritto umanitario”.
L’obiettivo fondamentale del Sudafrica non è, tuttavia, quello di vedere Israele accusato di genocidio, accusa che per potere essere provata necessiterebbe anni, ma quello di una richiesta di sospensione dei combattimenti in modo da salvare quello che rimane dell’apparato, questo sì, programmaticamente genocida di Hamas.