Elementi di propaganda

La fabbrica della menzogna non chiude mai

Su L’Informale siamo specializzati nello smontare la propaganda palestinese che, come più volte ricordato, ama inscenare e sfruttare la sofferenza dei bambini.

Emblematico, in tal senso, il caso di Mohammed al-Farra, un giovanissimo di Gaza affetto da una rara malattia che ha reso necessaria l’amputazione delle braccia e delle gambe, fatto passare per vittima dei bombardamenti israeliani.

Alcuni giorni fa, martedì 13 agosto, è stata diffusa la notizia di un padre palestinese che avrebbe perso i propri figli in un raid israeliano, proprio mentre attendeva di ritirare i loro certificati di nascita. La tragica vicenda è stata subito rilanciata da varie testate, tra cui InsideOver, come inequivocabile prova dalla «barbarie sionista». Tra le varie iene che vi si sono gettate sopra, non poteva mancare il «putiniano» antisemita Giorgio Bianchi, delle cui posizioni anti-israeliane e giudeofobiche abbia già scritto in passato.  

Come sempre accade in questi casi, non esiste conferma, salvo le parole dell’uomo, Mohammed Abu al-Qumsan, che la sua casa sia stata colpita dall’esercito d’Israele. Interrogati in merito, i militari israeliani hanno risposto che «i dettagli dell’incidente così come pubblicati non sono attualmente noti alle IDF». 

È legittimo, soprattutto in assenza di prove concrete, dubitare della versione fornita da Mohammed Abu al-Qumsan e dai veri sostenitori della «causa palestinese», sempre pronti a evocare lo spettro dell’ebreo «infanticida». 

I titoli sensazionalistici, in tal senso, non si contano: «una bambina palestinese che lava il sangue del fratello», «un bambino palestinese muore tra le braccia del padre» o «uomo seppellisce sua figlia uccisa in un raid».

Nel 2021, durante gli scontri tra Hamas e Israele, circolò, con la rapidità impressionante che caratterizza le notizie false, la foto di una bambina russa spacciata per vittima dell’aviazione israeliana.

Di certo vi è che Hamas, spesso e volentieri, ha accusato l’IDF di essere responsabile di esplosioni e abbattimenti di edifici, in realtà causati dalle munizioni degli stessi terroristi, stipate senza alcuna precauzioni all’interno di abitazioni private, scuole od ospedali. La casa di Mohammed Abu al-Qumsan potrebbe essere crollata, posto che sia veramente crollata, per effetto di una di queste esplosioni.    

In attesa che le informazioni riguardanti eventi così cruenti siano confermate da fonti affidabili, sarebbe bene che i giornalisti, o presunti tali, evitino di diffonderle, magari facendole passare per «fatti» accertati e inconfutabili. Di antisemitismo ve n’è anche troppo in circolazione, alimentarlo con notizie non confermate circa la «malvagità» delle forze israeliane non è saggio. 

Può sembrare ingenuo, e in effetti lo è, appellarsi alla ragionevolezza e alla moralità di chi, da dieci mesi a questa parte, continua a prendere per buone le cifre fornite dai «ministeri» di Hamas, ossia di un’organizzazione terroristica islamica. I cosiddetti «professionisti dell’informazione» trattano questo conflitto come se, in campo, vi fossero due attori moralmente equivalenti (con una leggera preferenza per Hamas), ma le cose non stanno in questo modo. 

Il fronte globale del sostegno al terrorismo non ha bisogno di prove concrete e non è interessato alla verità, sempre calpestata dai movimenti totalitari e dai loro pennivendoli. 

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