Il sindaco arabo di Hebron, Tayseer Abu Sneineh, già condannato da Israele per aver preso parte, nel 1980, all’attacco terroristico alla yeshiva della città di cui ora è primo cittadino, attentato che causò la morte di sei civili, nel novembre dello scorso anno, per risolvere il problema del randagismo, ha offerto ai suoi cittadini una ricompensa di 20 shekel per ogni cane ucciso.
Gli arabi di Hebron hanno svolto l’orribile lavoro a loro assegnato con grande entusiasmo, non solo uccidendo i cani, ma anche, e senza alcun costo aggiuntivo per il sindaco, torturandoli. Gli assassini, fieri e orgogliosi della loro crudele opera, hanno condiviso i filmati delle atrocità commesse sui social media.
Poco meno di un anno dopo, gli arabi-palestinesi avrebbero riservato il medesimo trattamento agli ebrei residenti nel sud d’Israele. Torturare cani o persone è un vero piacere per molti di loro, che crescono in un mondo saturo di violenza e odio.
L’uccisione dei cani, spesso attraverso carne avvelenata, è una pratica ampiamente diffusa nei comuni dell’Area A della Cisgiordania, quelli sotto controllo «palestinese», dove grandi quantità di cibo avvelenato vengono impiegate per uccidere centinaia di randagi, che muoiono così tra grandi sofferenze.
La mattanza dei cani non è l’unico crimine commesso dagli arabi contro gli animali. Nel 2019, attraverso il lancio di aquiloni e palloncini incendiari, gli «innocenti» di Gaza provocarono vasti incendi nel sud d’Israele, mandando in fumo terreni agricoli e riserve naturali. Moltissimi animali, tra cui antilopi Ibex, gazzelle, coyote, roditori, farfalle e linci, che non si trovano in nessun’altra parte del mondo, perirono arsi vivi.
Gli arabi-palestinesi hanno fatto anche un notevole uso di cani e asini «kamikaze». I poveri animali vengono imbottiti di esplosivo e fatti avvicinare ai soldati israeliani con l’intento di compiere una strage.
L’IDF si è imbattuto, per la prima volta, in un attacco terroristico portato da animali nel giugno del 1995, quando un terrorista palestinese si avvicinò a una postazione dell’esercito, a ovest di Khan Yunis, guidando un carretto trainato da un asino carico di esplosivo e lo fece esplodere. Il palestinese morì, ma per fortuna i soldati israeliani rimasero illesi. Hamas rivendicò l’attacco.
L’episodio più clamoroso avvenne però nel 2009, al valico di Karni, fra Gaza e Israele: le truppe israeliane furono sorprese da diversi cavalli lanciati al galoppo verso di loro, su ciascuno dei quali era stato applicato dell’esplosivo.
Nessuna voce si è alzata dal movimento ambientalista per denunciare queste pratiche. Un silenzio che non sorprende, dato che, da almeno vent’anni, si è consolidata un’alleanza tra la sinistra post-comunista, l’islamismo e la galassia ecologista.
Sono numerosi i rappresentanti delle organizzazioni ambientaliste che hanno rilasciato dichiarazioni anti-israeliane e filopalestinesi. Il «verde» francese Patrick Farbiaz prese parte a manifestazioni islamiste a sostegno di Hamas. Politici vicini ai Verdi come Albert Jacquard e Daniel Cohn-Bendit hanno legittimato i terroristi suicidi della seconda Intifada. Il decano delle lotte ambientaliste in Francia, José Bové, incontrò Yasser Arafat e affermò che gli attacchi contro le sinagoghe francesi avvenuti nel biennio 2000-2002 fossero orchestrati dal Mossad.
Il Partito tedesco dei verdi, Die Grünen, è stato fondato nel 1979 da Petra Kelly, una convinta antisionista molto vicina al colonnello Gheddafi e al gruppo terroristico marxista-leninista «Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina», di cui faceva parte Leila Khaled, la dirottatrice di aerei recentemente chiamata a tenere una «lezione» nei locali «occupati» dell’Università di Torino.
Il livello di antisemitismo presente nei Grünen era talmente preoccupante che Simon Samuels, dirigente internazionale del Simon Wiesenthal Center, già nel 1983, manifestò una notevole apprensione.
Da ultima, Greta, la leader dei «Fridays for Future», ha espresso il proprio sostegno ai palestinesi, dunque ad Hamas, mentre altri membri del suo gruppo sproloquiavano circa l’assenza di una «giustizia climatica» nei Territori «occupati» da Israele.
Il movimento ambientalista, fin dalla sua nascita, ha visto riciclarsi al suo interno numerosi membri dell’estrema sinistra antisionista, che hanno usato il tema del «riscaldamento globale» per portare avanti un’agenda avversa a Israele, considerato capitalista, di conseguenza responsabile della devastazione ambientale, e alleato degli Stati Uniti, ritenuti invece, a torto, colpevoli del «cambiamento climatico».
Gli ambientalisti occidentali sono stati corteggiati persino da Osama Bin Laden. L’ormai defunto capo di al-Qaeda, nel suo celebre «messaggio al popolo americano», che in queste settimane ha ripreso a circolare in rete, fece riferimento proprio al «riscaldamento climatico» e al rifiuto americano di ratificare il protocollo di Kyoto per legittimare il suo operato.
Gli ambientalisti, ossia i vecchi anticapitalisti, indirizzano le loro critiche solo alle democrazie occidentali, occultando deliberatamente le violenza sugli animali e i disastri ambientali causati dai loro beniamini arabo-palestinesi. Il verde degli ecologisti è una sfumatura del verde degli islamisti.