Ugo Volli non ha bisogno di molte presentazioni. Il suo impegno documentato e accurato, appassionato e lucido a favore di Israele è noto a tutti coloro che si occupano da vicino dell’argomento. L’Informale ha voluto ascoltarlo un altra volta in merito al contesto drammatico generato dall’eccidio compiuto da Hamas in Israele il 7 ottobre 2023.
Stiamo entrando nell’ottavo mese di guerra e Israele sembra ancora lontano dalla vittoria. In compenso si è scatenata una offensiva politico-giudiziara contro lo Stato ebraico che non ha precedenti rispetto ad altre guerre. Quale è la tua riflessione in merito?
Questa guerra, insieme a quella in Ucraina e a quella che si prospetta a Taiwan, è un momento storico fondamentale non solo per Israele, ma per l’intera politica mondiale. Molti non capiscono che è in gioco il futuro della democrazia liberale: a seconda di come andranno queste guerre i prossimi decenni saranno dominati da feroci dittature islamiste, comuniste, fascistoidi o vedranno invece l’affermazione dei sistemi democratici. Se la Russia riuscirà a sfondare o anche solo a imporre lo status quo all’Ucraina e se Israele sarà costretto a fermarsi prima della distruzione di Hamas e dell’allontanamento della minaccia di Hezbollah, la Cina probabilmente capirà di potersi prendere Taiwan. Potrebbe essere l’inizio di una guerra mondiale, o più probabilmente gli Usa cederanno e si salderà in blocco che dominerà buona parte dell’Eurasia, dal Baltico al Mar Rosso, con forti influenze su Europa continentale, Africa e America Latina e il dominio di buona parte delle materie prime del mondo. Fuori da questo blocco resteranno solo potenze insulari residue, come Usa, Australia, India, Giappone qualche paese europeo e sudamericano. La situazione sarà molto peggiore di quella del 1941. Quanto a Israele, questa è una guerra esistenziale, accuratamente calcolata dai nemici che lo vogliono distruggere. Se non viene vinta ora, gli attacchi presto si moltiplicheranno, le alleanze si romperanno, sarà in gravissimo pericolo la sopravvivenza stessa di uno stato ebraico.
Questa guerra ha fatto riaffiorare prepotentemente l’antisemitismo nelle sue più variegate sfaccettature, non ultimo quello di matrice cristiana dal sapore preconciliare. Il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni ha parlato in proposito di “teologia regredita”. E’ qualcosa che ti ha sorpreso?
Purtroppo no. L’antisemitismo attuale non è un incidente di percorso, è connesso alla cultura europea e mediorientale da più di due millenni, è entrato nel paniere ideologico non solo della cristianità e dell’Islam, ma anche dell’Illuminismo, del socialismo, dell’attuale mondialismo. Pensare che il ricordo della Shoà lo inibisse era ottimismo ingenuo. A questo bisogna aggiungere la prevalenza di una tendenza filoaraba dei paesi europei e soprattutto di quelli mediterranei, sia per ragioni geopolitiche, sia per il senso di colpa del colonialismo, sia per la presenza di consistente minoranze islamiche, la cui importazione è stata a sua volta favorita da questo stesso orientamento E inoltre c’è l’odio di sé della sinistra occidentale, disposta ad appoggiare qualunque cosa possa distruggere la libertà di cui pure ha bisogno per esprimersi, organizzarsi, esistere. Qualunque valore progressivo, come l’uguaglianza dei sessi, la tolleranza, il suffragio universale, la tutela delle persone, la pace, viene sacrificata da costoro all’odio per l’Occidente.
A me sembra che questa guerra abbia messo in luce una cosa in modo particolare, come gli ebrei siano sempre e comunque il bersaglio preferito di una criminalizzazione unica nella storia. Sei d’accordo?
Sì, l’antisemitismo ha sempre avuto non solo un carattere eliminazionista (differenziandosi molto fortemente anche in questo da razzismi e altri pregiudizi), sia un aspetto ideologico. Ci sono stati altri odi fra popoli nella storia (ma durati molto meno, non a senso unico e non eliminazionisti) come quello fra francesi e tedeschi, fra russi e polacchi, o anche fra Europa e Islam, fino a un secolo fa circa. Ma essi funzionavano ritraendo il nemico come pericoloso, odioso, ridicolo, disgustoso, non come “colpevole”. L’ideologia antisemita funziona colpevolizzando gli ebrei e per di più accusandoli di quel che si vorrebbe fare loro. Si è detto a lungo che gli ebrei volevano ammazzare i cristiani innocenti, specie bambini, per levare loro il sangue; ciò serviva ad ammazzare gli ebrei, anche bambini. Oggi si imputa a Israele un “genocidio” per appoggiare l’esplicita e spesso ripetuta volontà genocida dei palestinisti. Si dice che i governi israeliani non rispettano i diritti dell’uomo per toglierli ai cittadini di Israele e in genere agli ebrei.
La vittimizzazione dei palestinesi, la loro trasformazione in reietti della storia, si propone come una sorta di teologia della sostituzione in chiave laica. Al posto degli ebrei, gli arabi. La Nakba diventa la nuova Shoah, la morte dei civili a Gaza si trasforma in genocidio, Israele viene portato davanti alla Corte Internazionale dell’Aia con questa accusa come se fosse il Terzo Reich. Cosa hai da dire in proposito?
L’imitazione da parte dei palestinisti di temi e giustificazioni della storia ebraica è sotto gli occhi di tutti, dalla rivendicazione di un’antichità sul territorio che non ha alcuna base, al rovesciamento dei fatti rispetto alla guerra di liberazione del ‘48 e ai pogrom, alle accuse all’esercito israelianao. Non avendo ragioni, non avendo storia, non avendo tradizione culturale propria, i palestinisti provano a rispecchiare en travesti la storia ebraica. L’antisemitismo occidentale riprende questi temi per colpevolizzare gli ebrei, secondo la sua antica tradizione ideologica. Non è però una teologia rovesciata, niente di così elevato. E’ solo propaganda. Molto efficace e molto volgare, senza alcuna base di cultura o di realtà.
Nelle università, soprattutto negli Stati Uniti, abbiamo assistito e assistiamo a una preoccupante saldatura tra sostenitori di Hamas e studenti occidentali convinti che Israele sia lo Stato canaglia per eccellenza. Come siamo arrivati a questo punto?
E’ molto semplice, sono stati indottrinati fin dalle elementari a credere alle idee “progressiste”, di cui fa parte l’odio per Israele e la mitizzazione della “Palestina” C’è stato nelle scuole americane, ma anche in quelle europee un lungo indottrinamento di massa, durato generazioni. Già Allen Bloom quaranta o cinquant’anni fa parlava a questo proposito di “closing of American mind”. Spesso si attribuisce al progetto gramsciano, magari rivisto da Althusser, questa egemonia di sinistra nella scuola (ma anche nella cultura: in tutto l’Occidente sono molto rare case editrici, televisioni, radio, giornali, produttori cinematografici che non siano “politically correct”). E’ vero che la generazione dei Foucault, dei Deleuze, dei Chomski, Calvino, Barthes, Marcuse ecc. ha avuto un ruolo importante nel lavoro di dissoluzione della “cultura borghese”. Ma in realtà il gioco è molto più vecchio, risale all’”impegno” di Sartre e compagni negli anni Cinquanta e prima ancora alla gigantesca occupazione della cultura realizzata dai totalitarismi negli anni Venti e Trenta del Novecento, distruggendo la cultura liberale con la violenza fisica e istituzionale. Oggi, senza bisogno di ripetere quegli eccessi, per semplice effetto di continuità, è quasi altrettanto difficile essere intellettuali liberali o democratici-conservatori quanto lo era nella Russia di Stalin o nell’Italia di Mussolini e nella Germania di Hitler. E c’è una totale persistenza nell’odio culturale attuale verso la società liberale con quello degli anni del totalitarismo, anche perché alla fine della guerra c’è stata una conversione di massa dal fascismo al comunismo. Non c’è solo l’insegnamento universitario, soprattutto nelle facoltà umaniste, che giudica suo compito non di trovare fatti relativi al proprio campo disciplinare, ma diffondere “le idee giuste”. Questa stessa forma di propaganda generalizzata si ritrova, in una forma o nell’altra in cinema, tv, romanzi, serie, canzoni, testi scolastici: una gigantesca camera a eco in cui è facilissimo focalizzare qualche tema, dal gender a Israele al ‘razzismo sistemico’ di Black Lives matter”.
Oggi, a parte l’antisemitismo di matrice islamica, quello che maggiormente è emerso nella sua prepotenza e di cui si erano già date ampie prove nel recente passato, basti pensare alle posizioni su Israele di Jeremy Corbin, ex leader del Labour, è l’antisemitismo di sinistra. Quali sono, a tuo giudizio, le sue basi?
Odiano Israele gli antisemiti, consapevoli o meno, che non tollerano un’identità separata e libera; ma odiano Israele anche i nemici interni ed esterni dell’Occidente (del capitalismo, del libero mercato, della democrazia pluralista, della libertà individuale) perché Israele ai loro occhi indica tutto questo: odiano Israele, perché la tradizione ebraica è alla base dell’idea della libertà e della responsabilità individuale che ne è il cuore e perché gli arabi odiano Israele per ragioni di conflitto religioso e territoriale; costoro pensano follemente che l’Islam possa essere l’arma decisiva per arrivare dove il comunismo non è riuscito, all’asservimento universale travestito da utopia.
Ancora oggi gli ebrei devono lottare per il diritto alla loro sicurezza e alla loro esistenza, là dove hanno avuto origine, mentre intorno a loro, da parte di chi dovrebbe sostenere questa lotta contro il fanatismo islamico, assistiamo alla messa alla berlina di Israele. Quali riflessioni ti suggerisce tutto ciò?
Ripeto in conclusione quel che ho detto all’inizio. Siamo a una battaglia decisiva non solo per Israele, ma per quella straordinaria forma di vita che si è costruita in Europa (e poi si è espansa negli Stati Uniti e altrove) sulla base della tradizione biblica. Come disse una volta Ugo La Malfa, la libertà dell’Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme. Cioè oggi a Gaza e al confine col Libano.