Ebraismo

Il suicidio del pensiero

Nel 1954, Isaac Deutscher, pubblicava un libro dal titolo emblematico, “L’ebreo non ebreo”. In esso, il pensatore marxista spiegava come tutto l’ingombrante peso di cultura e appartenenza a una comunità, a un popolo e a una religione, fosse oscurantista. Splendido era solo il futuro, il domani in cui l’uomo sarebbbe stato solo e pienamente Uomo e niente più di quello. “La religione? Sono un ateo. Il nazionalismo ebraico? Sono un internazionalista. In nessuno di questi due sensi sono un ebreo. Sono tuttavia un ebreo per la forza della mia incondizionata solidarietà nei confronti dei perseguitati e degli sterminati”1.

Questa dichiarazione rappresenta una sorta di professione di fede, o dogma, per tutti gli ebrei diasporici di sinistra che sarebbero venuti dopo di lui, e per i quali Israele è uno sgradevole se non orribile inciampo della storia, un ostacolo lungo il cammino del progresso che dall’Illuminismo, attraverso il marxismo, per poi approdare all’oggi, conduce l’umanità verso sponde non identitarie, sicuramente sradicate da qualsivoglia appartenenza nazionalista, vera tabe.

Perchè darsi uno Stato dopo duemila anni di diaspora, perchè rinunciare a questo privilegio di essere il sale della terra sparso ovunque, ovunque fermentante, perchè ancorarsi a un lembo di terra sulla base di racconti tribali, di un libro oscuro e intriso di violenza, di una storia antica? Il moderno è questo vagare senza sosta, questa impermanenza, è restare fuori da un recinto che rischia di diventare troppo etnico, troppo angusto, nazionalista, militarizzato, e poi ci sono gli umiliati e offesi di tutto il mondo, anche se quelli per cui il cuore batte più forte sono i palestinesi. .

Enzo Traverso, non ebreo, ma studioso della cultura ebraica, professore di storia forgiato da giovane sull’incudine marxista e sicuramente lettore di Isaac Deutscher, la pensa esattamente così, e lo illustra nei suoi libri. L’ebreo che gli piace di più è quello sradicato, è l’itinerante, per lui la modernità ebraica finisce, è finita con il venire in essere dell'”aberrazione” israeliana, la quale ha distrutto “il paradigma della modernità ebraica che consisterebbe nell’iscrizione degli ebrei nel mondo moderno come una minoranza diasporica ed extraterritoriale”2., e in quanto tale, al di fuori dell’apparato dominante dello Stato nazione.

Per Traverso, il sionismo, movimento emancipatorio, nato allo scopo di consentire agli ebrei della galut quella autodeterminazione e salvaguardia che per duemila anni gli era stata negata, è una involuzione, di più, una aberrazione perchè Israele, il loro Stato, è sia etnico che religioso, quanto di peggio si possa trovare sotto il sole.

Troviamo qui, rigidamente esposto, l’impianto classico di derivazione marxista, per il quale ogni costutuzione identitaria forte, che sia etnicamente, o peggio statualmente costituita, rappresenta una fase superata della storia, un suo scarto. Il problema grave di questo assunto ideologico, (e Traverso è autore fortemente ideologico, non legge la storia fenomenologicamente, permettendo ai fatti di imporre la loro fattualità al pensiero che li osserva e li analizza, ma li sottomette a un protocollo concettuale che li chiude nel proprio casellario), è il completo disconoscimento di ciò che il sionismo racchiude nella sua essenza, la volontà ebraica di sottrarsi all’arbitrio delle disposizioni altrui rispetto al loro destino all’interno della storia.

Come ha scritto Pierre Manent, “Lo Stato ebraico pone sotto gli occhi degli europei i limiti di un universalismo che essi credevano di potere dedurre dalla lunga sofferenza degli ebrei”3. E’ esattamente questa sofferenza che Traverso disconosce, rende irrilevante, volendo fare terminare la modernità ebraica con il venire in essere di Israele, il quale, esattamente al contrario di ciò che egli sostiene, non  ne rappresenta la fine, ma inaugura un altro inizio, fecondo, ricco di energia, proteso irrisestibilmente verso il futuro.

Sempre Pierre Manent scrive, “Il popolo ebraico, tornando in Israele, ha compiuto la sua ‘uscita dall’Europa’…grazie al ripristino del suo Stato ha cessato di essere spiritualmente dipendente dalle nazioni europee in cui viveva e vive tuttora”4. Là dove l’autore de “La fine della modernità ebraica” vorrebbe trattenerlo in nome di un codice interpretativo che la storia stessa ha superato, l’ebraismo supera il confine, se lo lascia alle spalle, affronta, come ha sempre fatto nel corso della propria storia, una nuova avventura. Cessa di essere “spiritualmente dipendente”, si emancipa, conclude una parabola per iniziarne un’altra, come ha sempre fatto, senza sosta, mentre Traverso vorrebbe fossilizzarlo in un ruolo che dal 1948 ha cessato di essere prioritario, egemone.

Traverso non si ferma chiaramente a questo solo assunto, non potrebbe. Se Israele è un errore dell’ebraismo, è il suo sfortunato epilogo, lo è anche perchè è colpevole di violenza nei confronti dei palestinesi, che sottomette e segrega, così si può affermare in barba ad ogni verità fattuale, che “Israele ha implementato per decenni una politica di espansionismo miltare nel conquistare territori, espellendo e segregando i palestinesi“5.

Siamo qui sul territorio del falsario Ilan Pappe, della controstoria che vede i palestinesi come oppressi e gli israeliai come oppressori, altro schema ideologico rigidamente preconfezionato che fa totale strame della verità.

L’espansionismo di Israele, oltre ai suoi confini statuiti dal Mandato Britannico per la Palestina del 1923, si determinò una volta sola, e fu causato da una guerra di aggressione, quella dei Sei Giorni, quando, a seguito di quella vittoria, esso conquistò una parte del Sinai che poi restituì all’Egitto nel ’79, essendo Gaza e Giudea e Samaria, conquistati anch’essi dopo quella guerra, territori che erano legittimamente sotto la sua sovranità secondo le disposizioni del Mandato. Ma questo Traverso non può dirlo, creerebbe un cortocircuito nel suo dispositivo di pensiero, nella sua visione rigidamente dogmatica, unilaterale. Non meraviglia che una autrice meno sofisticata ma sulla sua stessa lunghezza d’onda, come Anna Foa lo abbia citato a supporto delle sue tesi iperboliche sulla fascistizzazione di Israele, https://www.linformale.eu/la-portatrice-dacqua-al-mulino-degli-odiatori-di-israele/contenute all’interno del suo ultimo libro dal titolo emblematico, “Il suicidio di Israele” mentre l’unico vero suicidio in atto, quello che sia lei che Traverso esibiscono, è quello del pensiero.

  1.   Isaac Deutscher,  The Non-Jewish Jew: And other essays, Verso Books, 2017

 2. http://1. http://1. https://www.youtube.com/watch?v=lzTONNIvoaA

3. Pierre Manent, In difesa della nazione, riflessioni sulla democrazia in Europa. Rubettino, 2008

4. Ibid. 

5. http://1. https://www.youtube.com/watch?v=lzTONNIvoaA

Torna Su