Israele e la Corte Penale Internazionale

Il processo farsa della Corte Penale dell’Aia

Ieri è andato in scena l’ultimo atto (per ora) della grande farsa dell’Aia. La prima Camera pre-processuale ha, infatti, ufficialmente richiesto un mandato d’arresto nei confronti di Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Gallant.

Il mandato d’arresto è la degna conclusione di un processo farsa dal sapore staliniano. Perché si può parlare di una farsa? Perché questa decisione non ha nulla di legale ma ha solamente connotati politici e ideologici che ricordano l’Inquisizione o le purghe staliniane.

I precedenti

Il primo grottesco passo della farsa è iniziato nel 2015 quando l’inesistente “Stato” di Palestina è stato ammesso come membro del tribunale politico dell’ONU, noto come Tribunale Penale Internazionale. Da allora è stato un crescendo fino alla scontata decisione di arrestare Netanyahu e Gallant. A questo tribunale farlocco serviva un capro espiatorio per accontentare la stragrande maggioranza degli Stati autoritari e dittatoriali, che ne fanno parte eanelavano a uno “scalpo Occidentale” per dimostrare che esso non colpisce solo i paesi dittatoriali africani. Per servire a questo scopo, chi meglio del piccolo Stato di Israele, democratico e Occidentale nel rispetto dei diritti umani, si prestava ad essere accusato di crimini di guerra e altre nefandezze? Chi meglio del procuratore Karim Khan poteva dare il via all’Inquisizione a danno di Israele?

Per prima cosa è utile ribadire che il Tribunale Penale Internazionale non ha giurisdizione nei confronti dei cittadini israeliani visto che Israele non fa parte del Trattato di Roma e l’inesistente “Stato” di Palestina non ha confini, capitale, struttura politica e giudiziaria se non nella fantasia degli odiatori di Israele. Non sussiste dunque nessuna ragione legale per la quale si sia potuto iniziare un procedimento contro Israele. L’unica ragione è di natura squisitamente politica e di odio. Questo odio che è odio per l’Occidente tout court, è il collante della maggior parte dei paesi che hanno aderito al Tribunale Penale. Un esempio concreto può illustrare bene la questione.  

Da quando il tribunale è diventato operativo nel 2002 e per i 10 anni successivi, gli unici casi dei quali si è occupato sono stati relativi ai dittatori africani. L’ennesimo caso si è aperto nel 2011 e riguardava il presidente del Kenya Kenyatta e il vicepresidente Ruto, accusati di crimini contro l’umanità per le centinaia di morti civili susseguenti alle elezioni keniote del 2007.

Quando il Tribunale Penale Internazionale decise di aprire l’istruttoria contro Kenyatta e Ruto, i paesi africani, riuniti nell’organizzazione dell’Unione Africana, approvarono la risoluzione che prevedeva di uscire in massa dal Tribunale Penale Internazionale se l’istruttoria nei confronti del presidente keniota e del suo vice non fosse stata chiusa. La motivazione? Semplicemente perché il Tribunale, a loro avviso, era uno “strumento del neo imperialismo occidentale” e non perché Kenyatta e Ruto fossero innocenti. I giudici del tribunale per paura di perdere l’adesione dei numerosi paesi africani, e di essere visti come strumenti dell’imperialismo occidentale, decisero di derubricare le accuse nei confronti di Kenyatta nel 2014 e nei confronti di Ruto nel 2016. Ora, per le stesse motivazioni politiche che hanno portato alla chiusura del caso keniota, si è aperto il caso contro Israele: serviva un paese Occidentale (Israele) da mettere nel banco degli imputati. Per farlo chi è meglio titolato del procuratore Karim Khan? Il curriculum di Khan è interessante.

La figura di Karim Khan  

Khan ha acquisito notorietà per avere difeso il dittatore della Liberia Charles Taylor nel 2006 (poi condannato a 50 di carcere), con una strategia difensiva unicamente incentrata sull’accusa al Tribunale di non garantire sufficienti risorse alla difesa di Taylor e non sul tentativo di dimostrare l’inconsistenza delle accuse di omicidio, stupro e di utilizzare innumerevoli bambini soldati. Tutto ciò perché Taylor era africano e non perché era effettivamente un dittatore sanguinario. Dopo questo caso, Khan  difese il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, da accuse di crimini di guerra. Poi assunse le difese del keniota Ruto, che, come già esposto furono ritirate per motivi politici nel 2016. Khan fu poi accusato di interferenze politiche durante l’istruttoria e di intimidazione dei testimoni dell’accusa.

Dopo avere difeso i dittatori africani, Khan è diventato a sua volta un procuratore del Tribunale Penale. Nel giugno del 2021, ha raccolto il testimone dalla Procuratrice Fatouh Bensouda, la quale in modo del tutto selettivo e in base a criteri inesistenti nel diritto internazionale, decise di procedere contro le autorità civili e militari israeliane per presunti crimini di guerra. Khan è andato molto oltre, infatti, nel maggio di quest’anno ha richiesto il mandato di arresto per Netanyahu e Gallant. Il Wall Street Journal però ha scoperto che poche settimane prima di chiedere il mandato d’arresto per Netanyahu e Gallant, Khan è stato accusato di molestie sessuali da parte di una sua segretaria, accuse poi confermate da altre  sue collaboratrici nelle settimane scorse, tutto coperto dal Tribunale Penale.

In pratica, il giornale americano ha accusato apertamente Khan di avere richiesto i mandati di arresto per crearsi una “copertura” contro le accuse di molestie. Infatti, di prove circostanziate contro i leader israeliani non ne ha mai fornite. Si è inoltre scoperto che Khan presta servizio per lo studio legale britannico Bindmans, uno studio legale impegnato “nlla difesa dei diritti dei palestinesi”.

Ora la Commissione che ha deciso di chiedere l’arresto di Netanyahu e Gallant nella  sua motivazione parla di crimini di guerra come il ridurre alla fame la popolazione come metodo di guerra” e crimini contro l’umanità, inclusi l’omicidio, la persecuzione e altri atti inumani”. Queste accuse sono state formulate senza una commissione d’inchiesta che abbia raccolto informazioni e prove in loco ma grazie a “testimoni” non precisati al fine di tutelare la loro sicurezza. 

Come si evince chiaramente dai soggetti coinvolti nell’accusa, l’incriminazione è così grottesca e infondata che ricorda molto da vicino l’operato dell’Inquisizione. L’unica speranza che rimane alla verità, alla giustizia e all’onore sarebbe una decisione dirompente da parte dell’Amministrazione Trump, fare uscire gli USA dall’ONU e, in questo modo sancirne la chiusura. 

  

 

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