Editoriali

Il pantano

Il rito ormai è costante, congelato in una ripetitività meccanica.

A Gaza Hamas allestisce il suo orrendo spettacolo fatto di palchi, slogan, miliziani in uniforme, folla, mentre esibisce a turno gli ostaggi che devono essere liberati. Le bare dei bambini Bibas si sono aggiunte l’altro giorno alla contabilità. Sono stati uccisi a mani nude già un anno fa, questo è il  raggelante verdetto autoptico.

Da Israele giungono le proverbiali condanne, gli annunci di vendette, di inferni che si scateneranno, ma la realtà è che la guerra si è arrestata da un mese e sembra un ricordo ormai lontano. Hamas persiste a Gaza, tra le macerie e nulla fa presagire una sua imminente rimozione.

Quello che appare agli occhi di chi guarda è la manifestazione di un pantano. L’annuncio ad effetto di Trump, il suo “piano” di trasferimento della popolazione di Gaza, che per giorni ha tenuto banco, è già retrocesso nella classifica delle sparate a una posizione secondaria dopo le dichiarazioni del presidente americano su Zelensky dittatore, iniziatore della guerra in Ucraina e attore irrilevante per i negoziati.

Dall’inizio della guerra, quasi un anno e mezzo fa, Netanyahu non ha fatto altro che annunciare la prossima vittoria a Gaza, ma della vittoria si intravede solo la sagoma mutilata della Nike di Samotracia.

Bisogna aspettare, ci dicono i fiduciosi, gli inniettori di ottimismo, poi tutto si risolverà. Come, però, nessuno è in grado di spiegarlo.

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