Storia di Israele e dell’Ebraismo

Il Mossad ritrova l’orologio della leggendaria spia israeliana Eli Cohen

Cinquantatré anni dopo la morte di Eli Cohen, il famoso agente del Mossad ucciso in Siria nel 1965, l’agenzia di intelligence israeliana ha ritrovato l’orologio da polso – o meglio, la cassa dell’Omega, priva di cinturino – che gli apparteneva e che Cohen indossò fino al giorno della sua morte. La notizia del ritrovamento è stata resa nota giovedì 5 luglio dall’ufficio del premier Benjamin Netanyahu, il quale in una nota ha elogiato «l’azione determinata e coraggiosa» dei servizi segreti israeliani per aver riportato in patria «un ricordo di un combattente eroico che fornì un notevole contributo alla sicurezza dello Stato». Nella nota diramata, si legge anche che il ritrovamento è frutto di una «operazione speciale». È da anni che il Mossad cerca di localizzare, recuperare e riportare in Israele ciò che resta del corpo di Cohen, per dargli una sepoltura degna di un eroe nazionale. L’operazione prevedeva anche il recupero di qualsiasi oggetto personale appartenente all’«uomo di Damasco» di Israele. Sono state investite ingenti somme e risorse ma i resti non sono stati mai rinvenuti.

Eli Cohen, nome in codice «Menashe», egiziano di origine ebraica, fu processato, condannato a morte e impiccato a Damasco dal governo siriano per spionaggio, il 18 maggio 1965, dopo essersi infiltrato con il falso nome di Kamal Amin Thaabet, fingendosi un facoltoso uomo d’affari siriano di ritorno dall’Argentina. Il suo obiettivo fu quello di penetrare furtivamente negli ambienti dei funzionari siriani e carpire informazioni militari e di politica interna. Nei tre anni trascorsi a Damasco, Cohen fornì a Tel Aviv una mole di dati politici e militari che pare contribuirono in seguito alla vittoria di Israele nella guerra dei Sei giorni del 1967. Fu la prima spia israeliana arrestata e giustiziata poiché ebrea. Era nato ad Alessandria d’Egitto nel 1924 ed emigrato in Israele nel 1957, in seguito all’espulsione dei sionisti attivi in Egitto dopo la guerra di Suez. Arrivato in Israele, Cohen prestò inizialmente servizio nell’Idf come traduttore per poi essere reclutato nel 1960 dall’Unità 188, responsabile dell’infiltrazione e della gestione delle spie israeliane nei paesi arabi. Nel 1961, assumendo l’identità di Kamal Amin Thaabet, un siriano argentino, Cohen raggiunse Buenos Aires dove frequentò la comunità di immigrati siriani e libanesi.

I Thabit erano una nota famiglia siriana che si era dapprima trasferita in Egitto e poi in Argentina. «Kamal» era nato a Beirut nel 1930 e raccontava ai suoi amici argentini di essere un facoltoso commerciante che stava per fare ritorno nel suo paese d’origine, la Siria. Cosa che avvenne nel 1962. Fu un agente molto abile. Si serviva dell’inchiostro simpatico per scrivere i messaggi che inoltrava a un contatto in Europa e che nascondeva negli scomparti segreti dei mobili che esportava, in qualità di commerciante. Riuscì a farsi amico importanti figure degli ambienti finanziari, militari e politici siriani e a stabilire stretti contatti con dirigenti di spicco del partito Ba’ath. Furono proprio i rapporti con questi ultimi a fare di  «Menashe» un agente di valore per Tel Aviv, perché nel 1963, dopo il colpo di Stato che portò il Ba’ath al potere, tali “amici” assunsero importanti cariche governative. Cohen era solito inviare messaggi in codice Morse, usando un apparecchio telegrafico che teneva nascoso nel suo appartamento, ma da buon marconista spesso eccedeva nella sua attività, trasmettendo saluti alla moglie Nadia e altri messaggi personali, fino al giorno in cui il suo trasmettitore generò un’interferenza con la radio militare siriana, che insospettì  il Moukhabarat, l’agenzia di intelligence siriana. E questo fu probabilmente l’inizio della sua fine. Fu scoperto, arrestato, torturato, processato e impiccato pubblicamente in una piazza, al centro di Damasco, e il suo corpo rimase appeso alla forca per diversi giorni. Fu sepolto in un luogo segreto. Inutili le richieste di Israele e della sua famiglia di restituzione dei suoi resti.

Aleggia una leggenda sull’attività di intelligence di Eli Cohen in Siria. Si racconta che dopo aver visitato le postazioni di artiglieria nel Golan, Cohen esortò l’alto comando siriano a piantare alberi in ogni postazione di artiglieria, affinché i soldati trovassero ristoro dal sole e dalla canicola. Il suo consiglio fu ascoltato. Ma agli israeliani gli alberi servirono da segnali per sapere le posizioni esatte dell’artiglieria nemica. Fola o verità, poco importa, la sua leggenda è ancora viva in Israele. Una ferita ancora aperta.

Due anni fa, il capo del Mossad Yossi Cohen ordinò di riprendere le ricerche, indagini che hanno portato all’attuale ritrovamento dell’Omega. Sono stati rinvenuti i documenti che ne attestano l’acquisto e analisi scientifiche hanno confermato che era indossato dall’agente segreto israeliano. Il Mossad ha consegnato l’orologio alla famiglia di Eli Cohen durante una cerimonia in suo onore che ha avuto luogo qualche settimana fa. L’orologio è ora esposto presso il quartiere generale del Mossad dove rimarrà sino a Rosh Hashanah, la festività che celebra il capodanno ebraico, per poi tornare nelle mani orgogliose della moglie Nadia e dei tre figli.

 

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