Il regime iraniano mostra per l’ennesima volta la propria indole terroristica, stavolta sequestrando la giornalista italiana Cecilia Sala, “colpevole” soltanto di essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato diventando così l’ennesima vittima sacrificale della oramai nota “strategia degli ostaggi” iraniana, volta a far pressione sui rispettivi governi dei sequestrati.
Eppure la Sala aveva fornito alle autorità iraniane tutta la documentazione necessaria al viaggio da fare a Teheran per girare una serie di filmati ed effettuare delle interviste per la Chore Media. Gli iraniani le avevano concesso un visto di otto giorni tra l’altro estendibile.
Allora cosa è successo? Semplice. Cecilia Sala arriva a Teheran il 12 dicembre; quattro giorni dopo, il 16 dicembre, a Malpensa viene fermato su richiesta degli Stati Uniti l’ingegnere iraniano con cittadinanza svizzera Mohammad Abedini. L’arresto viene effettuato con operazione congiunta di FBI, Polizia e Digos di Milano. L’obiettivo è quello di estradarlo negli Stati Uniti per processarlo assieme a un altro iraniano ad egli collegato, Mahdi Mohammad Sadeghi, anch’egli operante nel settore della tecnologia e contemporaneamente arrestato vicino Boston.
Come indicato nel comunicato stampa del 16 dicembre del Department of Justice, Abedini è accusato di avere cospirato per esportare componenti elettronici sofisticati dagli Stati Uniti all’Iran in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. Abedini è anche accusato di aver fornito supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera (le Guardie Rivoluzionarie), che ha causato la morte di personale militare statunitense; in particolare, l’attacco con drone del 28 gennaio 2024 all’avamposto della Torre 22 in Giordania, che ha ucciso tre soldati statunitensi e ne ha feriti più di 40. Secondo l’FBI, il drone utilizzato nell’attacco condotto dai gruppi armati sostenuti da Teheran era dotato di un sistema di navigazione prodotto dalla società di Abedini.
Ecco, dunque, che il 19 dicembre viene “arrestata” Cecilia Sala, ma della faccenda non si sa nulla fino al 27 dicembre, nonostante che i negoziati tra i servizi segreti italiani e il regime di Teheran fossero già in corso.
La Sala non è stata “arrestata” per semplice ritorsione, ma per fare pressione sul governo italiano. Abedini è infatti stato arrestato dalle autorità italiane, seppur su richiesta di Washington, e l’Italia è considerata dal regime iraniano come “anello debole” della catena.
Come illustrato dal Prof. Adrian Calamel, esperto di terrorismo e di Iran presso l’Arabian Peninsula Institute e nel directive board del Washington Outsider Center for Information Warfare: “le tattiche di Teheran sono state definite come “diplomazia degli ostaggi”, quando in realtà si tratta di puro terrorismo. La strategia è piuttosto semplice, mentre il mondo gioca all’interno del sandbox diplomatico, il regime gioca all’esterno, sequestrando persone da usare come merce di scambio per miliardi di dollari o per far uscire un agente del regime dall’arresto, dall’estradizione e dalla detenzione, il caso di Cecilia Sala non è diverso”.
Il 28 dicembre gli Stati Uniti hanno subito formalizzato la richiesta di estradizione per Abedini e ora, sulla base della documentazione ricevuta da Washington, la Corte d’Appello di Milano dovrà valutare se accogliere la richiesta di Washington. Se verrà dato il via libera, la decisione finale spetterà ancora al Ministero della Giustizia, che avrà 10 giorni di tempo per rendere effettiva l’estradizione. Se condannati, sia Abedini che Sadeghi rischiano pene fino a 20 anni.
Ed ecco dunque che iniziano a notarsi alcuni interessanti movimenti, con la Procura di Milano che apre un fascicolo a modello 45, ossia senza indagati e senza titolo di reato, sulle modalità con cui è avvenuto l’arresto di Abedini. Nel frattempo, mentre l’avvocato dell’arrestato tiene a far sapere come “la posizione del suo assistito sia molto meno grave di quella che potrebbe sembrare”, su alcuni quotidiani italiani si mette in evidenza come Abedini sia volenteroso di imparare l’italiano ed abbia chiesto testi e dizionari.
Intanto emerge anche che il governo italiano avrebbe chiesto di non manifestare contro il regime iraniano, come illustrato dai Radicali: “Da dieci giorni una giornalista italiana è nelle mani del regime teocratico iraniano, sanguinario e liberticida. Il governo italiano ha chiesto di non manifestare, ma noi disobbediamo perché quando una giornalista di un Paese democratico e che fa solo informazione viene arrestata senza capo d’accusa in un Paese dittatoriale come l’Iran l’ultima cosa da fare è stare in silenzio”.
Insomma, secondo alcuni a Roma, non bisogna dire le cose come stanno, ovvero che si tratta di un vero e proprio sequestro di persona perpetrato da un regime terrorista che reprime la propria popolazione, utilizza i proxy in Libano, Iraq e Yemen per destabilizzare il Medio Oriente e finanzia attentati all’estero. La realtà però non perdona, che piaccia o meno.
Il Prof. Calamel aggiunge al riguardo: “Nel caso dell’Italia questa sarà una situazione estremamente complicata. Il perverso gioco della diplomazia degli ostaggi è lo scambio, ma non si possono certo rilasciare detenuti con ruoli chiave nelle attività maligne di Teheran e tanto meno Abedini. Inoltre, l’Italia ha una lunga storia di lassismo nei confronti dell’Iran: gli agenti dell’IRGC e del MOIS venivano lasciati liberi di scorazzare nel paese e in cambio gli italiani non venivano presi di mira. L’Italia non ha dunque nessuno che sta scontando pene nelle proprie carceri da scambiare con Teheran”.
Calamel auspica poi la linea dura nei confronti del regime iraniano: “Bisogna portare tutti i cittadini stranieri fuori dall’Iran per poi isolare il regime con un divieto di viaggio e la chiusura di tutte le sedi diplomatiche in quanto la diplomazia è semplicemente un’arma usata dal regime contro i paesi che rispettano il diritto internazionale. Le ambasciate del regime sono centri di spionaggio, stazioni di ascolto, centri del terrore. La campagna di bombardamenti di Parigi del 1986 è stata coordinata dall’ambasciata della Repubblica islamica in Francia”.
Tornando alla questione di Cecilia Sala, possibile che l’Italia tratti e valuti addirittura uno scambio? Certo che sì. Attenzione però, il caso di Sigonella del 1985 dovrebbe servire come esempio da non ripetere, in quanto non portò affatto fortuna alla leadership politica italiana di allora. Difficile del resto credere che, a venti giorni dall’arrivo di Trump, a Washington digerirebbero uno scambio con Abedini. L’Italia non può certo permettersi di andare contro l’alleato americano, rilasciando un soggetto accusato di concorso nell’uccisione di tre militari statunitensi. Contro il terrorismo funziona soltanto la linea dura.