La storia della formazione e dell’impiego del distaccamento italiano di Siria e Palestina, è poco nota ma molto interessante per comprendere le dinamiche politico-diplomatiche che durante la Prima guerra mondiale caratterizzarono le relazioni tra i paesi alleati dell’Intesa.
Questo impegno militare, marginale per l’Italia durante la Grande guerra, aiuta a chiarire bene come alcuni teatri del conflitto furono decisi dal governo in carica per mere ragioni politiche e di interesse post bellico pur non avendo attinenza strategica, per l’Italia, dal punto di vista militare.
La decisione della partecipazione militare italiana all’offensiva dell’Egyptian Expeditionary Force britannica del generale Allenby, contro l’esercito ottomano (coadiuvato da truppe tedesche) in Medio Oriente, prese l’avvio politico nel febbraio del 1917, quando il governo italiano raccolse informazioni dal proprio incaricato a Parigi, Salvago Raggi, in merito ad una progettata invasione delle aree di Palestina e Siria da parte delle forze armate britanniche coadiuvate da truppe francesi. E’ da rimarcare il fatto che l’Italia, come gli altri paesi alleati dell’Intesa, non era a conoscenza del trattato Sykes-Picot sottoscritto tra la Gran Bretagna e la Francia l’anno precedente. La cosa che più allarmò la diplomazia italiana fu la notizia della partecipazione francese all’offensiva, in un teatro di guerra fino a quel momento di esclusiva competenza britannica, senza che ne fossero stati messi a conoscenza gli altri alleati: l’Italia e la Russia. Il governo italiano, che era ancora persuaso della validità degli accordi di massima decisi tra gli alleati nella primavera del 1915, capì immediatamente che la presenza francese sul campo con una ragguardevole forza militare (inizialmente prevista di 10.000 uomini ma poi gli effettivi furono 6.000/7.000) aveva un preciso significato politico per il futuro assetto del Medio Oriente. L’Italia non poteva rimanerne fuori benché il Patto di Londra con il quale si era deciso l’ingresso dell’Italia in guerra fosse molto vago sulle zone di interesse italiane nell’area. Però il ministro degli esteri Sydney Sonnino non voleva perdere l’occasione di inviare truppe nella regione palestinese in quanto gli accordi del 1915 avevano previsto per quest’area, giudicata importante in virtù della presenza dei Luoghi Santi, un regime di controllo internazionale. Per questa ragione, il ministero degli esteri riteneva che la presenza francese doveva essere controbilanciata dalla presenza militare italiana. Così, il 4 marzo, dopo aver avuto la certezza della partecipazione francese, Sonnino si decise a fare richiesta agli alleati di una partecipazione italiana all’offensiva contro i turchi – inizialmente – prevista per l’estate del 1917.
L’Italia, fu detto agli alleati, avrebbe inviato una forza di 4.000/5.000 uomini. Quindi fu fatta richiesta ufficiale al governo britannico di partecipazione alle operazioni militari. La Gran Bretagna reagì con freddezza e con un po’ di disappunto. Mentre la Francia si dimostrò subito ostile all’iniziativa italiana. Ma chi aveva potere decisionale era la sola Gran Bretagna. Passarono diverse settimane prima che gli inglesi si decidessero a favore della partecipazione italiana. In questo frangente il governo, e in prima battuta lo stesso Sonnino, iniziarono un ampio sondaggio con lo Stato Maggiore dell’esercito per ottenere i soldati da spedire in Egitto come “Corpo di spedizione italiano di Siria e Palestina” così come era stato inizialmente previsto e denominato. Tuttavia Cadorna fu irremovibile e si oppose a qualsiasi soluzione che togliesse dal fronte austriaco anche poche migliaia di soldati. Era necessario trovare un’altra soluzione. Si mosse il ministro delle Colonie per cercare di reperire i soldati in Eritrea o in Libia. Il Governatore d’Eritrea si disse impossibilitato a fornire degli uomini e dalla Libia furono resi disponibili alcune centinaia di uomini. Con un certo imbarazzo i diplomatici italiani con a capo l’ambasciatore a Londra, comunicarono al governo britannico la ridotta disponibilità italiana per l’offensiva contro i turchi. Questa riduzione di truppe fu ben accolta dai britannici, che la accettarono senza riserve, e ancor più dai francesi. Così in occasione della Conferenza di Saint Jean de Maurienne del 19 aprile 1917 si decisero sia la portata delle future operazioni militari in Medio Oriente sia gli assetti futuri della regione (la Russia rimase esclusa per ragione dei gravi problemi interni).
Il 5 maggio i Carabinieri Reali si imbarcarono a Napoli per raggiungere Tripoli al fine di unirsi ai bersaglieri già sul posto. Il 19 maggio il Distaccamento al completo (11 ufficiali e 444 soldati) partì da Tripoli alla volta di Porto Said, in Egitto, dove era atteso dal resto delle forze britanniche e francesi. Queste ultime, ridotte, rispetto ai 10.000 soldati previsti inizialmente, a circa 7.000 soldati in prevalenza provenienti dalle colonie (la maggior parte delle quali dal Senegal). Il 13 giugno i soldati italiani, dopo un veloce addestramento congiunto con le truppe britanniche (in maggioranza indiane) furono posizionati sul fronte turco nel saliente di Rafah. Contestualmente all’imbarco e al dispiegamento dei Distaccamento, Sonnino, ben conscio dell’importanza politica della presenza militare italiana sul fronte egiziano, cercò di convincere il governo inglese che l’Italia avrebbe potuto aumentare il contingente di altri 5.000/6.000 uomini. Ma Londra rifiutò l’offerta salvo ripensarci in modo inatteso e repentino proprio il 13 giugno – data del posizionamento italiano a Rafah – con una comunicazione ufficiale del Gabinetto di guerra con la quale si accoglieva la richiesta di Sonnino e si richiedeva l’invio in prima linea di 6.000 soldati equipaggiati e pronti al combattimento. All’Italia spettava anche il trasporto in Egitto via mare di queste truppe. Sonnino, sorpreso dal ripensamento britannico, inoltrò con urgenza (l’offensiva britannica era stata posticipata a settembre) la richiesta di uomini e materiali allo Stato Maggiore, ma ancora una volta Cadorna rifiutò categoricamente. Gli unici uomini che concedeva sarebbero dovuti venire dall’Eritrea e dalla Libia. Ma le due colonie non avevano le forze e i materiali per allestire un corpo di spedizione di 6.000 uomini e soprattutto mancavano i mazzi per trasportarle velocemente in Egitto. Il 24 luglio, Sonnino, si recò a Parigi e il 31 era a Londra per parlare a nome del governo italiano della questione del Medio Oriente ma in quegli incontri non potè confermare l’invio delle truppe richieste. L’offensiva di Allenby, prevista per settembre, iniziò solo alla fine di ottobre senza ulteriori truppe italiane.
Il 5 e il 6 novembre i bersaglieri si scontrarono con i turchi impegnati in diverse controffensive. Ormai l’esercito turco (con numerosi reparti tedeschi) era in ritirata e dopo la battaglia di Beer Sheva la strada per Tel Aviv e Gerusalemme era aperta. Il 9 dicembre i turchi abbandonavano la Città Santa. Il giorno 11 dicembre si tenne una solenne cerimonia per l’ingresso delle truppe dell’Intesa a Gerusalemme. Il Generale Allenby entrò in città a piedi, dalla porta di Jaffa, con alla sua destra il generale francese Piépape e alla sua sinistra il tenente colonnello d’Agostino in segno di riconoscimento al contributo franco-italiano allo sforzo militare. Tuttavia, con il consolidamento dell’esercito alleato nell’area e soprattutto a Gerusalemme, iniziarono i primi screzi tra i francesi e gli italiani. La principale ragione del contendere era il ruolo nella sicurezza dei Luoghi Santi cristiani ad iniziare dal Santo Sepolcro. I francesi, in virtù del loro secolare ruolo di protettori dei Luoghi Santi (vedi articolo dell’Informale https://www.linformale.eu/la-francia-e-il-protettorato-dei-luoghi-santi/) non volevano che gli italiani avessero compiti di sicurezza di nessun genere (la maggior parte dei soldati italiani garantivano la sicurezza degli snodi ferroviari mentre 25 carabinieri rimasero dentro Gerusalemme). La querelle culminò con il litigio tra d’Agostino e il ministro francese Picot durante la cerimonia di Natale. Alcuni mesi dopo d’Agostino (dal carattere difficile e ben poco diplomatico) fu sostituito dal tenente colonello degli alpini Gustavo Pesenti.
Tra l’inverno e la primavera del 1918, l’esercito alleato, iniziò i preparativi per una nuova offensiva contro i turchi, che prevedeva la conquista della Siria e l’entrata in Anatolia. Il governo italiano, che voleva avere maggior voce in capitolo nei futuri accordi di pace, fece ulteriori tentativi per trovare nuove truppe da inviare al fronte. Per l’ennesima volta lo Stato Maggiore (guidato ora dal generale Diaz) si oppose: la priorità dell’esercito era il consolidamento del fronte austriaco dopo la disfatta di Caporetto. Così l’unica possibilità che fu trovata fu il reclutamento di volontari italiani residenti in Egitto. Nel marzo del 1918 giunsero a Port Said, per iniziare l’addestramento, i volontari della neo-costituita Compagnia “Cacciatori di Palestina” formata di centoquaranta reclute residenti in Egitto, prevalentemente ad Alessandria. Il comando fu affidato al capitano dei bersaglieri Felice Mercuri coadiuvato da altri quattro ufficiali. Queste di fatto furono le uniche truppe che l’Italia riuscì a mettere a disposizione in Medio Oriente. In quanto anche l’ultimo tentativo – sollecitato anche dagli inglesi – di trovare truppe coloniali di religione musulmana da inviare per l’invasione della Siria nell’estete del 1918 andò a vuoto. Alla fine di settembre il Distaccamento italiano era così composto:
Una compagnia di bersaglieri di 260 uomini a Jaffa, una compagnia di “Cacciatori di Palestina” di 140 a Lod, una compagnia di carabinieri di 120 uomini a Lod e Gerusalemme, il comando a reparti misto di 70 uomini a Porto Said.
Visto l’esiguo numero, le truppe italiane furono relegate in retroguardia durante l’offensiva decisiva partita dopo la vittoriosa battaglia di Megiddo. I turchi capitolarono il 30 ottobre 1918.
Tutti i reparti italiani presenti in Palestina e in Egitto, dislocati tra Porto Said, Giaffa e Lod, rientrarono in Italia nell’agosto del 1919. In Palestina rimase soltanto un nucleo di carabinieri appiedati e a cavallo che assunse la denominazione di Distaccamento Italiano Carabinieri di Gerusalemme, che dall’agosto 1919 al febbraio 1921 svolse servizi di polizia, di guardia al consolato italiano e di guardia d’onore al Santo Sepolcro. Il 1º marzo 1921 il reparto fu rimpatriato e sciolto.
Considerazioni finali
La conquista del Medio Oriente appartenuto all’Impero ottomano, da parte delle forze dell’Intesa, riassume bene le nette divisioni politiche all’interno della coalizione stessa. Queste divisioni emerse durante la campagna militare del 1917-18, non cessarono con la fine della guerra, anzi, per molti aspetti si acuirono soprattutto tra francesi e britannici. L’Italia ebbe un ruolo bellico molto marginale e di conseguenza ottenne ben pochi risultati politico-economici in questa area: il tentativo di farsi assegnare il porto siriano di Alessandretta fu facilmente contrastato dai francesi e le vaghe promesse di controllo di Smirne e dell’Adalia non si concretizzarono per la ripresa delle ostilità ad opera dei nazionalisti turchi di Kemal Ataturk. L’Italia, seppe però giocare un importante ruolo diplomatico nella sistemazione post bellica: giocò un ruolo di primo piano nelle decisioni prese durante la Conferenza di Sanremo del 1920, nella quale si decise l’assetto della regione per i successivi 100 anni.
Un’altra importante annotazione è da fare in merito ai Luoghi Santi. Essi furono – non appena liberati dai turchi – subito causa di accesi contrasti soprattutto tra francesi e italiani. Questi contrasti non si dissiparono durante le trattative di pace con i turchi e neanche dopo. Infatti, furono il punto più controverso durante la Conferenza di Sanremo che portò all’istituzione del Mandato internazionale per la Palestina. A Sanremo fu abolito ufficialmente il protettorato francese sui Luoghi Santi ma le discussioni si protrassero per altri due anni (l’ultimo articolo approvato dello Statuto del Mandato fu l’articolo 13 relativo alla commissione sui Luoghi Santi) fino a provocare un ritardo nell’approvazione del mandato stesso. E’ da rilavare che ancor oggi la questione dei Luoghi Santi non è affatto risolta ed è fonte di tensioni politiche tra Israele, la Francia e il Vaticano.