Quale è la denominazione più precisa del territorio a occidente del fiume Giordano, assegnato nel 1922 dal Mandato Britannico per la Palestina all’abitabilità ebraica, annesso illegalmente dalla Giordania nel 1950, e catturato da Israele nel 1967 a seguito della Guerra dei Sei Giorni ? E’ corretto chiamarlo con gli antichi nomi di Giudea e Samaria o con i recenti nomi di West Bank o Cisgiordania? Il diritto internazionale non entra nel merito della questione. La denominazione ha assunto solo una forte valenza politica.
Dal punto di vista storico, i nomi di Giudea e Samaria non sono mai scomparsi del tutto, nel corso dei secoli di dominio ottomano, soprattutto per gli ebrei che rimasero stanziati in quelle terre o per i viaggiatori e mercanti. Per i cristiani, a seguito delle crociate, tutto il territorio era comunemente descritto come Palestina o Terra Santa. Per la popolazione musulmana aveva più importanza la designazione amministrativa di quella parte di Impero che era divisa in Vilayet (provincia) e Sangiaccati (distretto) amministrati da notabili turchi. Quindi per parte della popolazione – quella ebraica – la denominazione di Giudea e Samaria non è mai venuta meno.
Per quanto concerne l’utilizzo dei termine “West Bank” o in italiano “Cisgiordania” esso è molto più recente: risale infatti al 1950. Anno in cui la Giordania proclamò l’annessione di questo territorio al regno di Giordania. Da qui il termine: “parte Ovest” per designare i territori conquistati nel lato ovest del fiume Giordano. Va subito precisato che la comunità internazionale non ha mai riconosciuto tale annessione – tranne la Gran Bretagna e il Pakistan – perché avvenuta in maniera illegale per il diritto internazionale: con una guerra di conquista di un territorio che la Giordania non aveva alcun titolo legale per poterne rivendicarne il possesso.
Come nel caso della Striscia di Gaza, il diritto mandatario alla terra (art. 6), sancito dal Mandato della Società delle Nazioni e confermato dall’art. 80 dello Statuto dell’ONU, dà pieno diritto di rivendicazione territoriale a Israele. Questo diritto è il “Principio di successione degli Stati” che prevede che i confini del nuovo stato ricalchino quelli dell’entità statuale che l’ha preceduto: il Mandato britannico di Palestina di cui Israele è il legittimo successore, e i cui confini nel 1948 sono ben visibili (vedi cartina 1). Le deboli pretese giordane sono finite con il Trattato di pace del 1994 firmato tra Israele e Giordania.
Perché si può affermare che Israele è il legittimo successore del Mandato britannico per Palestina? Perché il Mandato fu creato dalla Società delle Nazioni, come si evince in modo inequivocabile nel preambolo, nell’art. 2 e soprattutto nell’art. 6 del Mandato stesso: esso è il territorio designato per ricostituire la “Jewish National Home”, cioè lo Stato nazione del popolo ebraico.
Nel 1948 gli Ebrei, alla fine del Mandato britannico, decisero di chiamarlo Israele. Una ulteriore annotazione va sottolineata: il preambolo del Mandato parla esplicitamente – unico caso tra tutti i mandati mediorientali – del riconoscimento della connessione tra la terra (Palestina) e il popolo di Israele e la necessità di ricostruire la loro patria. Si parla di ricostruire la patria non di costruirla. E questo nel 1920 e non dopo gli orrori della Shoah.
Qui di seguito riporto una parte del preambolo:
…[ Whereas recognition has thereby been given to the historical connection of the Jewish people with Palestine and to the grounds for reconstituting their national home in that country]…
[Considerando che è stato quindi riconosciuto il legame storico tra il popolo ebraico e la Palestina e i motivi per ricostituire la propria dimora nazionale in quel paese]
Mentre l’art. 6 dice:
… [The Administration of Palestine, while ensuring that the rights and position of other sections of the population are not prejudiced, shall facilitate Jewish immigration under suitable conditions and shall encourage, in co-operation with the Jewish agency referred to in Article 4, close settlement by Jews on the land, including State lands and waste lands not required for public purposes.]…
[L’Amministrazione della Palestina, pur garantendo che i diritti e la posizione di altre fasce della popolazione non siano pregiudicati, faciliterà l’immigrazione ebraica in condizioni adeguate e incoraggerà, in collaborazione con l’agenzia ebraica di cui all’articolo 4, uno stretto insediamento degli Ebrei sulla terra, comprese le terre dello stato e le terre desolate non richieste per scopi pubblici.]
Di questo chiaro articolo, è utile sottolineare solo una cosa: il termine “settlement”. Questa è l’unica volta che si utilizza, nel diritto internazionale questo termine nel caso di Israele, dei “territori”, degli ebrei ecc. fino agli Accordi di Oslo, e anche in questo caso nei termini della piena legalità.
Qualcuno ha eccepito però che Israele, al momento del suo riconoscimento non possedeva tutti i territori mandatari, anche se aveva le ragioni giuridiche per farlo, cioè rivendicava la sovranità dei territori di Giudea, Samaria e Striscia di Gaza che erano occupati da altri. Cosa afferma il diritto internazionale in questi casi? Nulla di specifico, non esiste una legge o norma che disciplini dei casi particolari. In questi casi di contenzioso o occupazione si usa il criterio del diritto consuetudinario: si uniformano tutti i casi alla norma dei principio di successione degli Stati a meno che gli Stati confinanti non trovino un accordo in merito, e questo non è stato il caso di Israele.
Quando la Croazia fu riconosciuta indipendente, nel 1991, parte del suo territorio era occupato e non direttamente amministrato (la Krajina e la Slavonia). Ma questo non ne ha inficiato la rivendicazione e nel 1995 l’annessione manu militari.
Altri non vogliono riconoscere il diritto di Israele ai “territori” in base alla Risoluzione 181 del 1947 dell’Assemblea Generale dell’ONU. Questa posizione non ha argomentazioni giuridiche valide perché tale risoluzione non era vincolante – se non consensualmente accettata dalle parti in causa, tuttavia essa fu rifiutata dagli arabi mentre fu accettata dagli abrei. Va aggiunto che i “confini” o meglio le linee del cessate il fuoco non ricalcavano minimamente quanto previsto dalla Risoluzione 181 ma semplicemente erano delle linee che dividevano i contrapposti eserciti dopo l’invasione araba, come si vede bene dalla cartina 2.
Come nel caso della Striscia di Gaza, anche per la Cisgiordania l’accordo per il cessate il fuoco siglato a Rodi nell’aprile del 1949 tra Giordania e Israele, non lascia dubbi di interpretazione. Il punto 9 dell’articolo VI recita:
9) “The Armistice Demarcation Lines defined in articles V and VI of this Agreement are agreed upon by the Parties without prejudice to future territorial settlements or boundary lines or to claims of either Party relating thereto.”
“Le linee armistiziali come definite negli art. V e VI del presente accordo sono pattuite dalle parti senza pregiudicare futuri accordi territoriali o confini o rivendicazioni di ciascuna delle parti ad esso relative.”
Quando si inizia, invece, a parlare in termini legali delle rivendicazioni palestinesi sui “territori”?
Le rivendicazioni palestinesi hanno valore legale, per il diritto internazionale, solo dal 1995 con gli accordi di Oslo. E unicamente perché Israele ha accettato l’OLP come interlocutore per la pace con approvazione internazionale. Da questo momento in avanti si può parlare di territori contesi. La presenza israeliana in alcune delle sue differenti aree amministrative, cioè in aree di questi territori, specificatamente l’Area B e l’Area C (vedi cartina 3), è dettagliatamente disciplinata negli Accordi ad Interim: «Israeli-Palestinian Interim Agreement on the West Bank and Gaza Strip, September 28, 1995», e quindi non contestabile a posteriori come vuol fare credere una certa vulgata.
L’Area C, è sotto il pieno controllo israeliano, mentre l’Area B è a controllo misto israelo-palestinese con presenza militare israeliana sancita dagli accordi. L’area A è sotto il completo controllo amministrativo, giudiziario e di polizia da parte palestinese. E’ da sottolineare che, circa, il 95% della popolazione palestinese vive in quest’area.
Per quanto concerne Gerusalemme, nessuna parte degli Accordi ne mette in discussione il controllo israeliano in tutta la sua territorialità.
In conclusione parlare di “occupazione” della West Bank, cioè di Giudea e Samaria, è una menzogna, perché la presenza israeliana è pienamente approvata dai legali rappresentanti del popolo palestinese e dai garanti degli accordi: USA, UE, Russia, Egitto, Giordania e Norvegia, oltre che ben inteso dal diritto internazionale a partire dal 1920.