Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Il capro espiatorio:Israele e la crisi dell’Europa

In prossimità dell’uscita del nuovo libro di Niram Ferretti, L’Informale pubblica l’intervista che Gerardo Verolino ha fatto all’autore sul sito di Italia Israele Today.

Esce in tutte le librerie, dal 3 ottobre, il nuovo libro di Niram Ferretti, “Il capro espiatorio. Israele e la crisi dell’Europa” (Lindau editore) che esce subito dopo (e ne è, in un certo senso, la continuazione) il fortunato “Il sabba intorno ad Israele. Fenomenologia di una demonizzazione”. Ferretti, laureato in filosofia teoretica, è un ricercatore indipendente che si occupa, prevalentemente, del conflitto arabo-israeliano. Ma è anche un atlantista convinto e un polemista di razza. Difende, come un leone, le ragioni (sacrosante) all’esistenza dello Stato d’Israele. E lo fa, come ben sanno i suoi numerosi lettori, dalle pagine di siti come “L’Informale”, “Caratteri Liberi” , “Progetto Dreyfus”, “Italia Israele today” e “Italia Atlantica”. È direttore editoriale della collana “Ricerche sull’antisemitismo e sull’antisionismo” della Salomone Belforte Editore. 

Il 22 luglio è già uscita un’anticipazione del nuovo libro. Chi scrive ha avuto modo di leggere in anticipo il saggio, ricco di fatti e  di riferimenti, che non può mancare nella biblioteca di ogni appassionato della storia d’Israele o di chi vuole solo approfondire i temi legati all’antisemitismo, e di porre qualche domanda all’autore.

Niram Ferretti, nel suo ultimo libro “Il capro espiatorio” Israele e la crisi dell’Europa, di prossima uscita, lei dice che Israele per tutti coloro che guardano al progresso in Europa (tutto il mondo culturale della sinistra terzomondista egemone oggi) sarebbe ingiusto in sé stesso, addirittura, un errore della storia. In che senso?

Israele oggettivamente rappresenta l’opposto di come l’Europa oggi, e quando parlo di Europa mi riferisco soprattutto all’Europa occidentale, percepisce se stessa. Post identitaria, post nazionalista, post confini, post religiosa, senza più delle vere e proprie radici di appartenenza forti da rivendicare. Israele è un paese coeso intorno a un senso di sé ben radicato, in cui l’appartenenza religiosa è determinante, in cui la bandiera non è solo uno simbolo reliquario ma il segno di una unità di popolo profondamente sentita. Tutto questo l’Europa lo ha spazzato via, lo trova arcaico, superato, non in linea con la propria idea di progresso. Dunque, in questo senso, Israele sarebbe un paese che dovrebbe correggere se stesso per essere al passo con la storia, con la sua teleologia, di cui l’Unione Europea si sente interprete e custode.

Lei dice che l’Europa ha cominciato ben presto a stancarsi di dover riconoscere il proprio debito di responsabilità nei confronti dei milioni di ebrei inghiottiti dalla Shoah. Come mai?

Perchè sentirsi colpevoli a lungo non si può sopportare. Bisogna voltare pagina, risarcire economicamente, come ha fatto la Germania con Israele, oppure fare bei discorsi, istituzionalizzare la Shoah come ricordo, trasformarla in museo della memoria. Tutto questo è servito a voltare pagina in fretta e a non fare veramente i conti con la propria connivenza, con le proprie responsabilità. Penso alla Francia che rispetto alla Germania non ha mai veramente fatto un mea culpa profondo nei confronti di Vichy ma anche dell’Italia. Poi ci sono altri paesi, come la Polonia, che ancora oggi stentano ad ammettere fino in fondo l’entità reale del proprio antisemitismo durante la Seconda guerra mondiale.

In un passo, lei sostiene che il detonatore dell’antisionismo è dato dalla guerra dei Sei Giorni dove si afferma la figura di un nuovo ebreo, non più debole, ma forte, che reagisce e vince le guerre. E’ così?

La guerra dei Sei Giorni ha creato un trauma profondo nel mondo musulmano, dal quale non si è mai veramente ripreso. La vergogna è un sentimento praticamente intollerabile per la mentalità araba. Soprattutto quando è legata, come in questo caso al fatto di essere stati sconfitti da un popolo considerato inferiore e debole. Per secoli gli ebrei nell’Islam erano  considerati dhimmi, sottoposti alla benevolenza o meglio protezione musulmana. Nel 1948 avevano osato alzare la testa e vincere una guerra che avrebbe dovuto essere di sterminio. Nel 1967 vincono ancora in modo più eclatante. L’ebreo non è più quello che inerme si incammina verso i forni crematori ma è un guerriero vittorioso, è l’erede degli eroi di Varsavia che combattereno valorosamente e disperatamente prima di soccombere. Ma qui non soccombe. Vince. Tutto ciò è intollerabile. Ciò che non si può distruggere fisicamente allora deve essere distrutto in effige. Dopo la guerra dei Sei Giorni inizierà la demonizzazione più incalzante mai impiegata verso uno Stato moderno, come ho documentato nel mio libro precedente, Il Sabba intorno a Israele. L’antisionismo è la risposta dei vinti nei confronti dei vincitori, di chi ha osato non farsi più sterminare.

Lei si sofferma molto sull’antisemitismo presente in Francia, sia ieri che oggi. E sostiene che il Generale De Gaulle che temeva le mire espansionistiche di Israele si fa promotore di una rinnovata stagione di antisemitismo che perdura fino ad oggi.

Non direi lei cose in questo modo. Sicuramente, De Gaulle, in ossequio alla politica filoaraba del Quai D’Orsey, che per inciso è sempre stata sostanzialmente proiettata verso il mondo musulmano perlomeno fin da quando Napoleone III definiva la Francia, “une puissance musulmane”, agì pugnalando Israele alle spalle alla vigilia della guerra dei Sei Giorni, impedendo che la fornitura d’armi che esso aveva già acquistato gli venisse consegnata. Questo accadde perché per De Gaulle la responsabilità della guerra doveva ricadere su Israele in quanto, il 5 giugno del 1967, il primo colpo era partito da un aereo israeliano. Una posizione del tutto ipocrita perché ometteva le azioni di guerriglia arabe che avevano preceduto quel momento, il blocco dello Stretto di Tiran, le minacce di distruzione rivolte da Nasser nei confronti dello Stato ebraico  e i massicci concentramenti di truppe ai confini di Israele. C’è da aggiungere che a seguito della vittoria di Israele De Gaulle convocò una conferenza stampa che sarebbe stata a lungo ricordata per una parte del discorso che fece, il cosiddetto “sermone agli ebrei”, in cui dopo avere lodato gli ebrei per avere costruito un loro Stato in Palestina  li accusò di mire espansionistiche definendoli un “un popolo elitario, sicuro di se e dominatore”. In questo modo riproponeva i vecchi stereotipi antisemiti contenuti nei “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”. Le reazioni non si fecero attendere, tra cui quella assai incisiva di Raymond Aron. Tuttavia, De Gaulle, che ritornò poi su quelle parole, pentendosi di averle formulate, non era antisemita, anche se intorno a lui c’era un “antisemitismo virulento” come ha scritto Alain Besancon.

La Francia è lo Stato in Europa dove maggiori sono i pericoli per gli ebrei che, infatti, in massa stanno fuggendo da quel Paese. Lei cita vari esempi che hanno prodotto tale fenomeno. Su tutti, la teoria che si fa strada del docente arabo, Edward Said, che in “Orientalismo” contribuisce ad affermare la tesi della vittimizzazione del popolo arabo contro il suprematismo bianco ebraico. A farne le spese di questo brutto clima è George Bensoussan, l’ex direttore editoriale del Memoriale dell’Olocausto di Parigi vittima della caccia alle streghe dei filoarabi antioccidentali. E’ così?

Non riterrei responsabile Edward Said dei rischi che corrono gli ebrei in Francia. Said è stato pernicioso in ambito accademico perchè è colui che ha fatto passare l’idea che tutti gli arabisti o islamologhi occidentali sono intrinsecamente razzisti nel loro approccio interpretativo verso l’Oriente. In questo senso, per Said, non può esistere un approccio epistemologicamente corretto nei confronti dell’Islam se non quello che può venire da scrittori musulmani. Una posizione grottesca e paradossale in quanto è di fatto intrinsecamente razzista. Come lei dice correttamente, una conseguenza di questa posizione è quella che porta a considerare, nella logica ideologica terzomondista, gli ebrei europei che si sono trasferiti in Palestina come suprematisti bianchi, anche se una buona parte degli ebrei israeliani sono mediorientali, mentre gli arabi di Palestina, sarebbero vittime autoctone del loro suprematismo colonialista. E’ la classica vulgata di estrema sinistra confezionata a Mosca a metà anni Sessanta e di cui Said è stato una delle princiapali mosche cocchiere. Il caso Bensoussan si iscrive nel clima di forsennato politicamente corretto che imperversa in Francia per cui chiunque avanzi delle riserve sulla bontà intrinseca dell’Islam, o affermi che nel Corano è manifesta una profonda inimicizia  nei confronti degli ebrei, è islamofobo o razzista. La vergogna del processo Bensoussan è stata quella di avere sottoposto uno dei più rigorosi e documentati intellettuali francesi a tre gradi di giudizio per potersi discolpare da una accusa infamante. Fortunatamente Bensoussan è stato assolto in tutte e tre i gradi ma è uscito da questa eperienza profondamente provato. La morale è, si colpisce uno per educarne cento.

In Inghilterra, invece, il pericolo per gli ebrei è rappresentato dal leader dei laburisti Jeremy Corbyn il quale ritiene che Israele sia una propaggine dell’imperialismo.

Corbyn è un residuo della sinistra trotzkista britannica nella quale ha militato da giovane negli anni ’70. E’ il periodo in cui, come ha evidenziato Robert Wistrich, la sinistra britannica cominciò a descrivere Israele sotto dettatura di Mosca, come una entità imperialista e colonialista. Questa posizione di allora è ancora quella attuale. Il Labour britannico è l’unico partito europeo che ha fatto dell’antisionismo uno dei suoi vessilli ideologici. Corbyn si è circondato di un gruppo di persone che condividono le sue stesse posizioni estremiste, tra le quali il più accanito è Seamus Milne, ex giornalista del “Guardian” e oggi direttore delle comunicazioni del partito, che nel 2014, mentre infuriava il conflitto tra Hamas e Israele arrivò a dire che Israele non aveva il diritto di difendersi da “territori occupati illegalmente” o come l’ex sindaco di Londra Ken Livingstone, successivamente allontanato dal partito dopo che sostenne che Hitler appoggiava il sionismo, implicando che sionismo e nazismo hanno infondo una parentela, tesi cara ai più virulenti antisionisti i quali paragonano volentieri i soldati israeliani alle SS e accusano Israele di genocidio tutte le volte che ci sono vittime civili palestinesi a Gaza. Ma non ci si deve illudere, la sospensione di Livingstone, Corbyn ha dovuto subirla. Sono decine e decine i casi di antisemitismo emersi all’interno del partito successivamente alla sua sospensione. E non può essere che così. Quando si sostiene che Israele nasce nella colpa si giunge poi, inevitabilmente, alla colpevolezza ebraica.

Inoltre c’è Michel Foucault che nei suoi reportage per il “Corriere della sera” durante la caduta dello Scià in Iran, esaltando il khomeinismo e la luce dell’Islam concorre alla criminalizzazione dell’Occidente e di Israele.

Foucault è un altro caso di accecamento ideologico. Più raffinato di quello grossolano di un Corbyn o appena appena più “elevato” di un Said, il quale, per inciso, venne influenzato dall’epistemologia storica di Foucault. Quando cadde lo Scià, in Europa furono innumerevoli gli intellettuali di sinistra che presero le parti di Khomeini proiettando su di lui l’immagine dell’uomo puro e pio che avrebbe liberato l’Iran dalla corruzione morale e ridato al popolo oppresso dignità e legittimità. L’estetismo di Foucault gli faceva vedere la rivoluzione iraniana in una prospettiva metafisica. Pensava che essa sarebbe stata una palingenesi. Preda della sua estasi dichiarò che si trattava della prima “grande insurrezione contro i sistemi planetari”. Non sapeva nulla di Khomeini e ne aveva fatto un eroe romantico.

Lei sostiene che l’Occidente con la sua cedevolezza alla narrativa della colpa (il passato colonialista ad esempio) e sotto la spinta delle idee “risarcitorie” della sinistra mondialista che sostituisce il proletariato con i popoli del Terzo Mondo, ivi compresi, neri, musulmani, ma anche i migranti, a scapito dei propri cittadini e, anche, degli ebrei, rischia di crollare. E’ così?

Non so se crollerà, ma sicuramente è frollo. Già nel 1983, Pascal Bruckner con Il singhiozzo dell’uomo bianco aveva parlato chiaramente della sindrome dell’autoflagellazione che da allora ha sempre di più pervaso l’Occidente. L’idea che la storia occidentale sia solo, per parafrasare Macbeth, “una storia piena di rumore e furia”, che abbia prodotto unicamente disastri, sopraffazione e vittime è una delle colonne portanti del marxismo culturale, secondo il quale essa non è altro che un palcoscenico sul quale ci sono, da una parte, gli oppressori e le vittime si trovano dall’altra. In questo caso sarebbero quelle di un terzomondo romanticizzato, trasformato in un eden incontaminato prima che vi mettesse piede l’uomo bianco, di fatto ontologicamente criminale. La scomparsa dalla scena del proletario come redentore dell’umanità, figura vittimaria e salvifica ad un tempo, oggi è stata sostituita dalla sinistra con quella del migrante come portatore di un bene indispensabile, di una positività indiscutibile e trasformato in simbolo dell’umanità oppressa. Mi lasci aggiungere una cosa, a proposito degli ebrei, che lei cita nella sua domanda. Gli ebrei sono stati compianti brevemente, dopo la Shoah, ma non hanno mai assunto l’aspetto di un popolo con cui identificarsi. Troppo specificamente legato a una storia identitaria, a una religione forte per diventare simbolo dell’Umanità. Oggi una buona parte dell’Occidente meaculpista compiange istituzionalmente gli ebrei morti nei campi di sterminio ma nutre una profonda ostilità nei confronti degli ebrei israeliani, forti, determinati a sopravvivere, coesi e simpatizza invece con le presunte vittime arabe palestinesi, anche loro iscritte ufficialmente nell’elenco degli oppressi, omettendo il fatto che questa oppressione è stata determinata soprattutto dalle classi dirigenti arabe che non hanno mai accetato l’esistenza di Israele e la possibilità di una convivenza pacifica, su un suolo, quello palestinese, considerato per sempre in dotazione all’Islam.

http://www.italiaisraeletoday.it/il-capro-espiatorio-2/?fbclid=IwAR1I9HFIQMFMujS-93S8wZjyCYDYyk97D2S8c-N9MOxwyjYLcoZlpctrFwA

 

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