La base della logica aristotelica, e probabilmente di tutto il pensiero filosofico occidentale, è il sillogismo. Afferma, semplicemente, che se A è uguale a B e B è uguale a C, allora A è uguale a C. E ciò che era fondamentale per Aristotele nell’antichità è a dir poco un incubo per gli israeliani di oggi.
Siamo intrappolati in un sillogismo mortale in cui il rifiuto di un’organizzazione terroristica di porre fine alla guerra con Israele significa che anche un’altra organizzazione terroristica rifiuterà, pungolando Israele in un conflitto regionale potenzialmente di portata esistenziale.
Come è avvenuto che ci siamo trovati in una trappola così letale? Quali fattori hanno contribuito al nostro intrappolamento sillogistico? E come può, se può, Israele venirne fuori?
Le origini di questo sillogismo risiedono nella convinzione del leader di Hamas Yahya Sinwar che, nonostante la devastazione di Gaza e la morte di molte migliaia di cittadini, il tempo lavora a suo vantaggio. La conclusione è tutt’altro che irrazionale.
Nonostante la sua prestazione storica in condizioni mai affrontate prima da un esercito moderno, l’IDF deve ancora raggiungere il suo obiettivo primario di distruggere Hamas. Abbandonando gli attacchi frontali per tattiche di guerriglia di retroguardia, i terroristi si stanno radicando sempre più nella popolazione civile, esigendo un tributo quasi quotidiano da parte dell’IDF. Gran parte del mondo continua a raccogliersi attorno alla causa palestinese e a isolare e criminalizzare Israele. In molti dei campus più importanti d’America, Hamas è acclamato come eroico. La cosa più incoraggiante per Hamas, tuttavia, è il costante logoramento dell’iniziale unità interna di Israele mentre i manifestanti antigovernativi scendono ancora una volta in strada e bloccano le autostrade. I nostri soldati sono a corto di morale e di munizioni.
Ancora più incoraggianti per Hamas sono state le politiche assunte degli Stati Uniti. Da una posizione iniziale di schieramento al fianco di Israele nel tentativo di sradicare Hamas, i responsabile delle decisioni americane hanno successivamente stabilito che gli obiettivi di Israele erano irrealistici e che, nel perseguirli, l’IDF stava uccidendo arbitrariamente i palestinesi. La Casa Bianca è arrivata al punto di ritardare la fornitura di munizioni vitali per la difesa di Israele. Queste misure hanno alimentato le richieste globali di un cessate il fuoco permanente e di un ritiro totale di Israele da Gaza, proprio ciò che Sinwar perseguiva.
Anche Israele ha contribuito ad alimentare fiducia in se stesso di Sinwar. Oltre a cedere alle pressioni americane affinché si astenessero dal lanciare una incursione massiccia nell’ultima grande ridotta di Hamas a Rafah, il governo Netanyahu ha accettato il piano dell’amministrazione statunitense per una graduale fine della guerra a Gaza. La prima fase prevede un cessate il fuoco di sei settimane e un ritiro parziale dell’IDF in cambio del rilascio delle donne, degli anziani e degli infermi tenuti come ostaggi, ma la seconda fase prevede il rimpatrio di tutti gli ostaggi, vivi e morti, in cambio del completo ritiro israeliano e di un cessate il fuoco illimitato. Sebbene fortemente depotenziato, Hamas sopravvivrebbe. Sinwar emergerebbe sicuramente dal suo tunnel facendo il segno della vittoria, dichiarando una vittoria jihadista e quindi inizierebbe a prepararsi per il prossimo 7 ottobre.
L’accordo non avrebbe potuto essere più favorevole per Sinwar, ma ancora una volta lo ha rifiutato. È convinto che la fase due del piano, ritiro totale dell’IDF e cessate il fuoco permanente, possa diventare la fase uno. Perché no? L’Amministrazione Biden sta già modificando la formulazione e i termini del piano per andare incontro a Hamas. Tenete duro, conclude ragionevolmente Sinwar, impedite che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione di Gaza, continuate a usarli come scudi umani, e le condizioni diventeranno ancora più favorevoli.
Le critiche americane e la pressione internazionale su Israele, il peggioramento della situazione dei civili palestinesi, l’approfondimento delle divisioni all’interno dello Stato ebraico, tutto contribuisce all’ottimismo di Sinwar. Il sillogismo che intrappola fatalmente Israele è quasi completo. Manca solo la chiave del trionfo finale di Hamas: la guerra tra Israele e Hezbollah.
Poco dopo il 7 ottobre, in segno di solidarietà con Hamas, Hezbollah ha iniziato a bombardare il nord di Israele. Da allora, i terroristi sostenuti dall’Iran hanno lanciato migliaia di razzi e innumerevoli droni contro soldati e civili israeliani. Decine di persone sono state uccise e ferite, circa 10.000 campi da calcio e frutteti sono stati ridotti in cenere, e quasi 100.000 israeliani sono rimasti senza casa. In tal modo, Hezbollah ha realizzato lo scenario peggiore per Israele, una guerra di logoramento che ogni giorno si sposta verso sud, con razzi che cadono sulla Galilea meridionale e sulle città israeliane di Safad, Tiberiade e persino Nazareth. Se uno di questi proiettili dovesse colpire una base militare o una scuola, il governo israeliano, già sotto crescente pressione per agire, ordinerebbe un massiccio contrattacco. Israele, Libano, Iran e i suoi rappresentanti iracheni e Houthi, e potenzialmente anche gli Stati Uniti, si troverebbero tutti in guerrA e Sinwar non potrebbe essere più felice.
Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha affermato che le sue forze non accetteranno un cessate il fuoco a meno che non lo faccia Hamas. Ma Sinwar, ovviamente, non lo farà. Sa che anche se dovesse prevalere in uno scontro con Hezbollah, Israele sarebbe devastato da decine di migliaia di missili, il suo esercito logorato e logisticamente impoverito, e sarebbe ulteriormente isolato a livello mondiale. Gli Stati Uniti farebbero concessioni di più ampia portata a Hamas, forse anche includendolo nel governo postbellico di Gaza, qualsiasi cosa pur di raggiungere il cessate il fuoco essenziale per evitare l’Armageddon.
Ecco quindi il sillogismo: Nasrallah dice no al cessate il fuoco senza Sinwar, Sinwar dice no al cessate il fuoco, punto, e Israele entra in guerra con Hezbollah. Quindi quello che per Aristotele era un esercizio di logica per Israele diventerebbe una trappola mortale.
Come possiamo uscirne? La diplomazia, certamente, sarebbe la soluzione preferibile. Sfortunatamente, è difficile immaginare quale leva gli Stati Uniti potrebbero esercitare su Hezbollah per costringerlo a ritirarsi dal confine israeliano in conformità con la risoluzione ONU del 2006 che Nasrallah violò il giorno stesso in cui fu emanata. Nessuna strada alternativa sembra praticabile se non quella militare.
Pertanto, l’Amministrazione Biden deve smettere di impedire a Israele, e il governo israeliano deve smettere di lasciarsi frenare, di distruggere ciò che resta delle capacità militari di Hamas a Gaza e di salvare gli ostaggi. Nel peggiore dei casi, ciò aumenterà la pressione su Sinwar. Nella migliore delle ipotesi, lo ucciderà. Un Hamas ampiamente depotenziato e senza leader sarà molto più disposto ad accettare un cessate il fuoco.
Allo stesso tempo, gli Stati Uniti devono impegnarsi nel dichiarare “Non fatelo”. Queste sono state le uniche parole che il presidente Biden e il segretario di Stato Blinken hanno rivolto a Hezbollah e all’Iran lo scorso ottobre. Allora il significato era chiaro: nessuno di voi due osi approfittare dei combattimenti a Gaza per aprire un secondo fronte nel nord. L’avvertimento venne rafforzato dall’invio di due gruppi di portaerei, ciascuno in grado di infliggere ingenti danni ai nemici di Israele.
Da allora, però, il “Non fatelo” appare meno rivolto all’Iran e a Hezbollah e sempre più rivolto nei confronti di Israele. “Anche se vieni preso a pugni ogni giorno”, sembra dire la Casa Bianca, “non pensare a lanciare un contrattacco. Stai comodo, piuttosto, e incassalo finché gli intercettori dell’Iron Dome si esauriranno”. Presumibilmente i ritardi nelle spedizioni di munizioni all’IDF non solo riflettono l’opposizione degli Stati Uniti alle attuali tattiche di Israele a Gaza, ma anche alle sue future operazioni in Libano.
La Marina americana potrebbe tuttavia assistere passivamente Israele, abbattendo i razzi di Hezbollah proprio come ha fatto con quelli lanciati dall’Iran contro Israele lo scorso aprile. Tuttavia, nessuna squadra ha mai vinto una partita esclusivamente giocando in difesa. L’Iran e Hezbollah non si lasceranno scoraggiare a meno che “Non fatelo” significhi che entrambi pagherebbero un prezzo proibitivo, richiesto dagli Stati Uniti, per avere attaccato Israele.
Senza concludere la battaglia principale contro Hamas, senza garantire un cessate il fuoco a Gaza esercitando pressioni su Sinwar o eliminandolo, e senza scoraggiare efficacemente l’Iran e Hezbollah, Israele rimarrà intrappolato nel brutale sillogismo. Sarà necessaria un’azione coraggiosa e concertata per rompere questa equazione e sostituirla con una radicalmente diversa: il cessate il fuoco a Gaza equivale al cessate il fuoco in Libano, equivale alla fine dei combattimenti sia sul fronte settentrionale che su quello meridionale. Israele, gli Stati Uniti e il mondo avranno evitato una guerra incalcolabilmente devastante.
* Michael Oren, ex ambasciatore di Israele negli Stati Uniti, membro della Knesset e viceministro della diplomazia, è il fondatore dell’Israel Advocacy Group e del Substack Clarity.
https://blogs.timesofisrael.com/the-brutal-syllogism-of-this-war/?_gl=1*pa3ep
Traduzione di Niram Ferretti