Benjamin Netanyahu è uno degli uomini più odiati, non solo dalla stampa progressista di Israele, ma dai mass media di tutto il mondo. Fin dalla sua prima elezione, nel lontano 1996, è stato oggetto di continui attacchi politici e giudiziari, che non sono però riusciti a disarcionarlo in modo definitivo dalla carica di primo ministro. L’ondata di proteste sollevate dalla sinistra israeliana contro il progetto di riforma di un sistema giudiziario che, nel corso dei decenni, gli è stato pervicacemente ostile, sia sotto il profilo politico che sotto quello personale, sono solo l’ultimo atto di una sistematica campagna denigratoria che prosegue da oltre un ventennio.
Anche la moglie di Netanyahu, Sara Ben-Artzi, è stata vittima di una copertura negativa da parte della stampa mondiale, ed è anche finita al centro di una pretestuosa indagine volta a colpire lo scomodo consorte. Nel 2017, infatti, il procuratore generale Avichai Mandelblit, accusò Sara Netanyahu di aver ordinato dei pasti a spese dello stato senza autorizzazione. Il caso si è poi risolto in un nulla di fatto per mancanza di prove credibili.
Lo stesso premier, nella sua autobiografia, scrive: «nel periodo compreso tra giugno 2016 e dicembre 2019, ci sono state 561 notizie in prima serata televisive che coprivano le indagini contro di me, il 98% delle quali negative. Questo significa una notizia negativa a giorni alterni per tre anni e mezzo».
Benjamin Netanyahu è stato accusato di vari reati, la cui formulazione è apparsa fin da subito piuttosto fumosa: si va da sigari costosissimi, omaggio di un amico produttore cinematografico, fino al cosiddetto «caso 2000», riguardante un presunto accordo illecito stipulato tra lui e Arnon Mozes, editore di Yedioth Ahronoth, finalizzato a danneggiare Israel Hayom, il giornale finanziato dal proprietario di casinò Sheldon Anderson. Il 2016, invece, fu l’anno del «Submarine affair», ovvero quando gli venne imputato di aver acquistato sottomarini e navi non necessari da una società tedesca, al fine di avvantaggiare una seconda società della quale suo cugino Nathan deteneva quote minori.
Le azioni legali contro Netanyahu assomigliano a meri pettegolezzi, voci di corridoio trasformate in veri e propri «casi» da zelanti pubblici ministeri. Un canovaccio già visto negli Stati Uniti contro Donald Trump e in Italia contro Silvio Berlusconi. Nel frattempo, però, l’odio fomentato dai mass media contro il premier ha dato i suoi frutti avvelenati. Uno dei giovani figli del presidente, Avner Netanyahu, che, diversamente dal fratello Yair, non si occupa in alcun modo di politica, ha dovuto chiedere un ordine restrittivo nei confronti di un estremista di sinistra, chiamato Barak Cohen, che lo perseguitava accusandolo di «essere un ladro». In tempi più recenti, Sara Netanyahu è stata «sequestrata» in un salone di bellezza di Tel Aviv da parte di alcuni manifestanti anti-riforma. Per farle lasciare in sicurezza il beauty center è stato necessario l’intervento della polizia.
Gli assalti mediatici e giudiziari contro Netanyahu, come ricordato in un precedente articolo, discendono dal fatto la sinistra non lo percepisce come un avversario politico, ma come un ostacolo alla marcia per un Israele «denazionalizzato» e post-sionista. Se la sinistra israeliana analizzasse la sua storia recente, a cominciare, almeno, dai disastrosi e fallimentari Accordi di Oslo del 1993, capirebbe che il successo politico del Likud non è dovuto all’improvviso scatenarsi di oscure forze «reazionarie», bensì a una lunga serie di errori targati «laburista».
Le forze della sinistra socialista non solo non hanno garantito la pace, ma hanno gravemente minato la sicurezza di Israele. Fu Shimon Peres, allora Ministro degli Esteri di Rabin, a sostenere i negoziati segreti con l’OLP a Oslo. Dopo la firma degli accordi, nel 1994, Arafat scatenò il «Jihad per liberare Gerusalemme», che determinò un’ondata di attentati suicidi nelle principali città israeliane. Non a caso, due anni dopo, a vincere le elezioni sarà proprio Netanyahu. L’illusione della «terra in cambio di pace» annebbierà anche Ehud Barak, Ariel Sharon e Ehud Olmert, che contribuiranno ulteriormente a indebolire Israele attraverso generose concessioni territoriali e politiche ai palestinesi.
La maggioranza degli israeliani ha però capito la lezione, ossia che è inutile discutere e negoziare con chi ti vuole annientare, per questo votano il Likud o partiti ancora più a destra come quelli di Ben Gvir e Smotrich. I cittadini israeliani, attraversono le elezioni, hanno premiato non una destra «estremista», ma una destra «realista», decisa a fronteggiare risolutamente il terrorismo e a non scendere a patti con organizzazioni antisioniste e antisemite.
Finora Netanyahu ha resistito bene ai diversi attacchi giudiziari, riuscendo sempre a incassare la maggioranza dei voti di una popolazione più interessata ai temi della sicurezza nazionale, che al prezzo dei sigari fumati dal capo del governo. Netanyahu è stato, ed è tuttora, con tutte le sue inevitabili pecche, una forza benefica per Israele. Lo stesso non si può dire per i suoi acerrimi nemici, la cui bile nera ha superato i livelli di tollerabilità.