“Un’esperienza indimenticabile”. Così abbiamo definito il volontariato Sar-el in un articolo pubblicato su queste colonne il 5 dicembre.
Tanti i lettori che ci hanno fatto domande e che volevano saperne di più. Abbiamo così deciso di metterci alla ricerca di italiani che hanno vissuto questa esperienza e possono raccontarla, cercando di carpire stimoli, sensazioni, aneddoti.
Giovanni Mureddu è da poco reduce dal suo quarto Sar-El. E di cose da raccontare ne ha veramente tante.
Ha accettato di condividere la sua esperienza con noi
Giovanni, com’è sbocciato il tuo amore per Israele?
Intendo iniziare con un doveroso preambolo che a molti di voi potrà sembrare scontato: il mio personale impegno per Israele si nutre prima di tutto dell’amore e del rispetto del popolo ebraico, popolo di cui ormai faccio parte. Pertanto, non sono mosso né da spirito d’avventura né da alcun tipo di viscerale rancore nei confronti degli arabi palestinesi. È importante che questo sia ben chiaro.
Non sono sempre sicuro, invece, di poter ravvisare la stessa trasparenza nei nostri oppositori. A mio avviso, molti filopalestinesi possono essere peggiori degli stessi terroristi di Hamas. È così chiaro, delle volte, che a muoverli non è tanto l’amore o la compassione verso i palestinesi, quanto un odio contorto e una profonda invidia nei confronti di Israele. Non di rado, infatti, vediamo come tutto questo scada facilmente in esplicito antisemitismo.
Ora, credo che la maggior parte di noi, e soprattutto dei nostri oppositori, converrà sul fatto che Israele, ringraziando il Cielo, ha dimostrato di sapersela cavare benissimo anche da solo, quando si tratta di nemici interni. Siamo d’accordo, no?
Noi volontari, allora, siamo chiamati ad equilibrare la situazione di fronte ad un così massiccio dispiegamento di “forze esterne” rappresentate dai tanti, innumerevoli movimenti internazionali di boicottaggio anti-israeliani. Abbiamo già un vantaggio, e per quanto ad alcuni di voi potrà sembrare eccessivo ottimismo, per me è un dato di fatto: queste forze sono assai deboli e disordinate. Quanto a noi filoisraeliani, invece, la situazione è sensibilmente diversa, e questo proprio grazie ad un grande lavoro di volontariato silenzioso, di gran lunga più discreto ed efficace come il nostro e quello di tante altre associazioni.
Ai nostri “avversari” non riesce ad andar giù una verità assai spiacevole, ovvero che, come del resto sempre nel corso della Storia, è la qualità delle forze e non la quantità a fare la differenza. Noi ne siamo la prova. Questo non significa certo che possiamo adagiarci sugli allori. La situazione è sempre delicata e dobbiamo rinnovare il nostro impegno costantemente senza esitazioni. Se dovessi pensare ad un nome di battaglia adatto al nostro ruolo, direi che potremmo essere definiti “I Vanificatori”, se non addirittura “I Sabotatori”.
È quello che facciamo, “sabotiamo”, in senso figurato ma non troppo, le opere dei nostri oppositori; indirettamente, vanifichiamo le azioni e gli sforzi dei filopalestinesi. È questo a cui uno deve pensare quando fa volontariato per Israele, specialmente se Sar El. A casa uno legge, sente e vede di tutto, tutto lo schifo e il fango che ci lanciano addosso, tutte le calunnie e le bugie, tutti i presunti complotti e altre assurdità. Poi, quando finalmente ha fatto il pieno, in tutta tranquillità e pace dei sensi, si alza dalla sedia e si dirige in aeroporto, prende l’aereo e viene qui, in Israele, a sabotare e a vanificare, col sorriso sulla faccia. Questo dovrebbe fare ogni serio sostenitore di Israele, e lo deve fare qui e soltanto qui, non in piazza con le bandiere dalla parte opposta ai filopalestinesi. Le piazze restino pure a loro, a noi il “il campo di battaglia”!
Non caso è la quarta volta che faccio Sar-El e sulle spalle ho già sette programmi diversi. Lo faccio ormai ogni anno dal 2013, ma questo è nulla se paragonato a certi amici veterani che hanno perso il conto di quante volte lo hanno fatto.
Ricordo un programma in particolare, nella bollente estate del 2013; eravamo una trentina di ragazzi impegnati in una base nelle alture del Golan, vicino a Katzrin, 15 km circa dal confine siriano. In tre settimane di estenuante lavoro abbiamo pulito ed equipaggiato almeno 20 fra carri armati, i famosi Merkavah, e mezzi corazzati per trasporto di truppe e munizioni. Ti assicuro che non è poco, e non credo di esagerare se dico che questo nostro sforzo, unitamente a quello di altri, è stato in grado di vanificare efficacemente un anno di chiacchiere, manifestazioni e boicottaggi filopalestinesi. Ogni settimana, ogni mese e ogni anno, Sar El dispone di nuovi gruppi di volontari da tutto il mondo pronti a farsi in quattro in una base militare, in un ambiente spartano ed essenziale, in piedi dalle sei del mattino.
Insomma, questo è quello che intendo quando parlo di “qualità delle forze”. Israele non è affatto solo, ed è bene che i nostri oppositori se ne rendano conto; non c’è soltanto l’IDF e il Mossad, ci siamo anche noi.
Ora, terminato questo doveroso preambolo, possiamo passare alle altre domande.
L’entusiasmo non ti manca. Di cosa ti occupi in Sar-el?
Le mansioni sono tante e variano principalmente a seconda della base a cui si viene assegnati. Nell’ultimo programma ho lavorato per un mese in una piccola base di attrezzature sanitarie, Matzrap, situata a sua volta dentro Tel Hashomer, una delle basi in assoluto più grandi in Israele nella periferia di Tel Aviv. Abbiamo smistato tanta roba, le medicine scadute le abbiamo rimpiazzate con quelle nuove, abbiamo pulito i magazzini, i garage, abbiamo messo in ordine le uniformi, abbiamo cucinato, impacchettato, trasportato pacchi da una parte all’altra; ma se capiti in una base diversa, le cose cambiano. Come ho accennato prima, in altre occasioni abbiamo lavorato sui carri armati, dentro i carri armati, li abbiamo equipaggiati, ovvero li abbiamo riempiti per bene di tutto il necessario, munizioni, mitragliatori, estintori, taniche di benzina ecc.; l’unica cosa che non abbiamo toccato, per fortuna, sono i razzi del cannone.
Poi viene il lavoro all’esterno: oleare gli attacchi, pulire i dispositivi sulle torrette, spolverare le parti più delicate e ripulire i cingoli; per non dimenticare i tendoni pesantissimi con cui vengono interamente coperti; per muoverli e ripiegarli occorrono cinque persone. Insomma, che altro aspettarsi in una base militare? Ho reso l’idea?
Cosa ti hanno lasciato queste esperienze?
Esperienza, appunto; e la bellissima sensazione di avere la coscienza a posto, di aver fatto il mio dovere. Se dovessi valutare il mio contributo personale a questa organizzazione, direi che è un contributo mediocre, perché forse potrei farlo più spesso e più a lungo, ed inoltre sono relativamente pigro.
Delle volte ti capita di avere come colleghi dei volontari settantenni o addirittura ottantenni davvero eccezionali, che ci mettono un impegno ed una energia tale da farti vergognare. Io, nonostante la giovane età, 26 anni ora, ogni tanto sentivo l’esigenza di fermarmi a bere, di sedermi un po’, o anche solo mettermi un attimo a pensare; poi ti guardavi attorno e vedevi altri volontari ben più vecchi, tutti sudati e sudici, che non si fermavano nemmeno un secondo, D*o li benedica!
Alcuni vorranno seguire il tuo esempio. Cosa ti senti di consigliare?
Mi sento di consigliare questo: di non avere la minima paura, come recita il famoso canto ebraico “ve’haikar, lo lefakhed!”, l’importante è non temere. Consiglio a tutti, ebrei o meno, di venire in Israele, subito, ad aiutare. Se non proprio con Sar El, con qualsiasi altro progetto o iniziativa, purché sia qui! Sar El, a mio avviso, resta comunque uno dei modi migliori ed efficaci, e gli amici non devono pensare che si vada in zone di guerra. Il nostro è un lavoro discreto, appunto, dietro le quinte. Non maneggiamo armi e la sicurezza è impeccabile. Inoltre, mi sembra ovvio, i volontari ricevono tre pasti caldi al giorno, vari tipi di assistenza e mansioni adeguate all’età e alle condizioni fisiche. Il fine settimana (venerdì e sabato) è libero e si può viaggiare un p0′, oppure si può restare a Tel Aviv in un ostello militare gratuito per i volontari, in zona Yafo, ad un passo dalla spiaggia. Domenica mattina, però, si torna alla base e dopo il pasto si lavora.
Non ci sono davvero scuse per non venire e dare una mano; se qualcuno proprio non può, ha la possibilità di fare almeno una settimana, non è obbligato a restare un mese intero. Chi è in pensione e non ha niente da fare, anziché stare a casa a rodersi il fegato leggendo le porcherie palestinesi, venga qua anche per sei mesi! Prendete esempio, se non da me, almeno da una nostra simpatica avversaria, la Comizzoli. Lei ha fegato e determinazione, quello che fa è inutile, ma non è colpa sua. Se non altro ci mette la faccia e tanto impegno. Perché noi no? Perché VOI no?
Questa Comizzoli soffre di chiare manie di protagonismo e fa di tutto per far parlare di sé, lo sappiamo. Ma se quello che dice e che fa è inutile, come ho detto prima, è anche grazie a noi “mostriciattoli” che lavoriamo attivamente nell’ombra. Anzi, forse grazie proprio a noi, mentre lasciamo che Israele si preoccupi di problemi ben più gravi e urgenti. Faccio un esempio veloce: si pensi ad una operazione delicata e complessa quale è stata la gloriosa “Operation Orchard” del 2007, in cui Mossad e reparti speciali dell’IDF hanno con grande successo distrutto un reattore nucleare siriano, progettato da Assad e Nord Corea in tutta segretezza. Chi non conosce bene la storia, si informi pure. Secondo voi, Israele ha tempo e voglia di correre dietro a tutte le varie Comizzoli del mondo? Ma per favore! Anche noi, ebrei o cristiani, atei o credenti, di destra o di sinistra, noi amici sinceri di Israele, dobbiamo fare la nostra parte.
Trovare informazioni complete sul volontariato Sar-el non è così facile. Puoi dirci cosa bisogna fare?
Trovare informazioni non è così difficile, bisogna cercare bene. Esiste ovviamente un sito (www.sar-el.org) ed un ufficio responsabile per l’Italia, a Roma mi pare. Ma ammetto che questo non sempre sembra funzionare come si deve. Se proprio non riuscite a cavarne un ragno dal buco, sono disponibile a darvi una mano io stesso; anzi, mi piacerebbe addirittura mettere su un bel gruppo di volontari italiani e fare da intermediario con l’ufficio centrale di Tel Aviv. La direttrice, Pamela, ormai mi conosce bene ed è come una seconda madre per me. Se qualcuno, come spero, è interessato, si faccia vivo, sono a sua disposizione.
Sappiate però dall’inizio che gli italiani sono presenze rare ed una conoscenza minima dell’inglese è strettamente necessaria in tutte le circostanze. Spesso, comunque, ci sono gruppi in lingua francese e spagnola; se preferisce, uno può chiedere di essere assegnato a uno di questi. È obbligatorio, inoltre, disporre di una polizza assicurativa che copra tutto il soggiorno. Durante il programma, teoricamente è vietato discutere di politica o fare proselitismi religiosi di alcun tipo.
Un’ultima precisazione: Sar El non è solo un programma, ma è anche un’unità speciale vera e propria dell’esercito.
Dovessi definire il volontariato Sar-el in cinque parole?
Allora…ripeto: “efficace”, “intelligente”, “utile”, “sicuro” e “concreto”.
È importante essere ottimisti e i presupposti ci sono; come diceva Golda Meir, il pessimismo è un lusso che il popolo ebraico non si può permettere. Anche se i volontari per Sar El o per Israele dopo questa intervista dovessero essere pochi, spero almeno di aver infuso nella maggior parte di voi una bella dose di ottimismo e di positività, che tanto meritiamo.
Am Israel Chai!