Gli insegnanti che lavorano nei quartieri a maggioranza musulmana di Molenbeek e Schaerbeek a Bruxelles hanno fatto sapere che “il 90% dei loro studenti, tra i 17 e 18 anni, ha definito “eroi” i terroristi islamici che hanno attaccato Parigi e Bruxelles.
La rivelazione è contenuta in un articolo del New York Times, in cui il giornalista Steven Erlanger ha intervistato un politico locale belga che ha trasmesso le informazioni dal Belgio.
Il pezzo, dal titolo “Per la gioventù progressista belga la colpa è della politica, non dell’Islam”, è un’intervista al belga Yves Goldstein, consigliere comunale a Schaerbeek e coordinatore del partito socialista belga nella regione di Bruxelles Capitale. Schaerbeek e Molenbeek sono ormai famose come le aree in cui da mesi gli islamisti si nascondono, avendo anche conservato armi e preparato gli attacchi a Parigi e in Belgio.
Riflettendo sul fatto che “le nostre città si trovano ad affrontare un problema enorme, forse il più grande dalla seconda guerra mondiale”, Goldstein ha posto la domanda: “Come è possibile che persone che sono nate qui a Bruxelles, o a Parigi, possano chiamare eroi quelli che commettono violenza e terrore?”.
Respingendo l’idea che l’Islam possa aver svolto alcun ruolo negli attacchi a Parigi e a Bruxelles perché “la religione per loro è un pretesto” e in realtà i terroristi “non credono in nulla”, il politico locale belga sostiene che il problema sia una mancanza di mescolanza tra le diversità e di conoscenza di arte e cultura: “Abbiamo quartieri dove la gente vede sempre e solo le stesse persone, va a scuola con le stesse persone. Quali collegamenti si possono avere con la società, quali connessioni con le diversità?”. Secondo Goldstein i quartieri belgi sono ghetti e “lo sviluppo urbano è il primo problema da affrontare”. “Questi giovani non potranno mai andare nei musei fino a 18 o 20 anni, non hanno mai visto Chagall, non hanno mai visto Dalí, non hanno mai visto Warhol, non sanno cosa voglia dire sognare”.
Il giornalista Erlinger ricorda che “gli ebrei hanno lasciato Schaerbeek e le ultime due sinagoghe sono state chiuse”. Resta una sorta di uniformità etnica che ricorda “da una parte il modello francese, che ha sistemato i nuovi immigrati nei ghetti di periferia, dall’altra quello britannico e americano, che ha creato comunità isolate come Chinatown”.
Purtroppo né il giornalista intervistatore né il politico belga intervistato, come rileva Virginia Hale su Breitbart, chiariscono per quale motivo, se l’estremismo islamico è colpa dell’urbanistica belga, il terrorismo islamista esista in tutto il mondo. Né spiega perché la comunità ebraica sia stata costretta a lasciare Schaerbeek. E infine perché la comunità cinese, che vive appartata seguendo il modello Chinatown e non mostra alcun interesse per l’arte moderna, non abbia mai mostrato segnali di infiltrazioni terroristiche.