Poco meno di una settimana fa, in seguito all’incidente a una base UNIFIL che aveva causato il lieve ferimento di due caschi blu indonesiani e la distruzione da parte dell’IDF di alcune telecamere sospettate di essere usate da Hezbollah, avevamo criticato le dichiarazioni del ministro della Difesa, Guido Crosetto, apparse da subito come inspiegabilmente impulsive e iraconde; certamente non idonee a un ministro della Repubblica nei confronti di Israele, un Paese amico.
Crosetto, dopo aver parlato di “crimini di guerra” da parte israeliana e del fatto che “non si trattava di un errore”, aveva dichiarato di “non prendere ordini da Israele” e di “voler fare prevalere spazi di pace”.
La misura più appropriata sarebbe stata quella di chiedere chiarimenti al governo israeliano e analizzare l’episodio in dettaglio prima di formulare accuse; tant’è che il governo israeliano ha immediatamente aperto un’indagine al riguardo.
Poco dopo erano subentrate anche le dichiarazioni del Generale italiano a capo della missione UNIFIL, Stefano Messina, che aveva affermato: “Siamo gli occhi e le orecchie della comunità internazionale e saremo qui finché ci verrà chiesto di farlo, con orgoglio e determinazione”.
Messina aveva inoltre definito Hezbollah “una milizia e un partito politico” quando forse il termine più idoneo sarebbe “organizzazione terrorista” e magari anche “proxy iraniano in suolo libanese”.
Tornando a noi, dopo aver citato le pesanti dichiarazioni dell’ex Presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, durante un’intervista del 2008 al quotidiano israeliano Yedihot Aharont nella quale aveva parlato di accordi reciproci tra Hezbollah e le truppe UNIFIL, avevamo anche ipotizzato che quanto emerso fino a quel momento fosse soltanto la punta dell’iceberg, invitando alla prudenza italiana su posizioni e dichiarazioni.
Indubbiamente, la situazione che si sta delineando è tutt’altro che rosea per le truppe UNIFIL e per chi si ostina a difenderne la presenza e l’attività. E’ infatti emersa la preoccupante testimonianza di un ex militare danese che ha operato all’interno del contingente UNIFIL nel sud del Libano dieci anni fa.
L’intervista, rilasciata al sito danese B.T., è stata ripresa dal Yedihot Aharonot e poi dal Jerusalem Post. L’ex militare, pseudonimo “Michael”, afferma che le truppe UNIFIL avevano libertà di movimento limitatissimo in quanto Hezbollah controllava tutte le aree in cui il personale UNIFIL poteva entrare e in alcuni luoghi era addirittura impossibile scattare foto:
“Non era permesso scattare video o scattare foto. Rischiavamo di farci confiscare le macchine fotografiche dalla gente del posto. E’ successo ai miei colleghi dell’UNIFIL e dell’UNTSO”.
Di notte i militari evitavano di operare per paura di attacchi da parte di Hezbollah. Se tentavano di raggiungere zone “sensibili” dove operavano i terroristi, venivano immediatamente bloccati.
Per quanto riguarda l’attività di controllo del confine, Michael ha testimoniato che le istruzioni erano di mantenersi a distanza dai terroristi di Hezbollah e di avere visto in diverse occasioni “civili” scattare foto nei pressi di basi israeliane.
Secondo quanto riferito dal testimone, il controllo di Hezbollah sul Libano meridionale era “massiccio” e c’era una paura diffusa nei confronti dell’organizzazione terroristica. Michael ha inoltre spiegato che diversi interpreti dell’ONU erano indottrinati da Hezbollah, al punto che lui stesso ne aveva buttato fuori uno dalla jeep perché “elogiava Nasrallah”.
Michael ha espresso tutta la sua frustrazione causata dall’impotenza nel poter agire contro Hezbollah e dalle condizioni di pericolo a cui i militari sono sottoposti se “sgarrano”.
Alla testimonianza dell’ex soldato UNIFIL danese va ad aggiungersi anche quella dei membri di Hezbollah recentemente arrestati e interrogati dall’intelligence israeliana. I terroristi hanno infatti dichiarato di aver pagato l’UNIFIL per poter utilizzare i loro avamposti contro Israele e di aver persino usato le videocamere di sorveglianza dei militari ONU. Accuse che, se dovessero trovare conferme, causerebbero un terremoto nei vertici militari UNIFIL e nei rispettivi ministeri.
Poi ci sono le immagini, quelle delle postazioni di Hezbollah accanto alle basi UNIFIL ed anche questo non aiuta. L’impressione è che il meccanismo che utilizzava quelle “orecchie” e quegli “occhi della comunità internazionale” non abbia funzionato granchè bene, altrimenti Hezbollah non sarebbe certo riuscito a militarizzare il sud del Libano e martellare le aree urbane nel nord d’Israele, causando più di 60 mila sfollati. Eppure per alcuni il problema continua a essere Israele.