Il Gruppo Sionistico Piemontese, nella persona del suo presidente, Emanuel Segre Amar, ha recentemente preso contatto con il dott. Elhanan Bar On, capo della della delegazione di medici israeliani attiva presso l’ospedale di Verduno (CN).
Il gruppo, composto da sette medici e dodici infermieri, ha lavorato gratuitamente per circa due settimane in supporto alle attività di contrasto al Coronavirus. Tutti provenivano dallo Sheba Medical Center di Ramat Gan, situato nel distretto di Tel Aviv.
Il capo delegazione ha accettato di rispondere ad alcune domande de L’Informale in merito alle attività svolte e alla sua professione.
Dottor Bar On, qual è la situazione sanitaria in Israele in questo momento e il senso della vostra presenza qui in Piemonte?
Siamo tra la seconda e la terza ondata. Stiamo gradualmente iniziando a vedere la ripresa. Ci troviamo qui perché il Presidente della regione Piemonte e l’ambasciatore di Israele in Italia, attraverso il Ministro degli esteri e il Ministro della Salute, hanno chiesto allo Sheba Medical Center, il più grande ospedale israeliano, di mettere insieme una missione.
Ci può dire qualcosa dello Sheba Medical Center?
Allo Sheba abbiamo il Centro israeliano per la medicina dei disastri e la risposta umanitaria di cui sono il direttore. Inviamo gruppi di soccorso in tutto il mondo. È quello che facciamo. Negli ultimi abbiamo operato contro il colera in Zambia, in Guatemala, siamo interventi contro la cataratta in Papua Nuova Guinea, Samoa, siamo stati in Mozambico dopo il tifone. Al momento, collaboriamo con Mario Raviolo, il commissario piemontese all’emergenza. Il dott. Raviolo ha allestito un ospedale da campo e la mia squadra ha lavorato in questa struttura. La situazione non è catastrofica. La stiamo affrontando, cercando di guardare avanti. Non sono previste altre missioni in Italia, abbiamo bisogno di tornare a casa.
Enlivex Therapeutics Ltd. sta sviluppando un farmaco contro il Covid-19, cosa si aspetta da questa ricerca?
Purtroppo non posso risponderle, mi occupo della parte pratica e non della ricerca scientifica.
Israele è sempre all’avanguardia nelle innovazioni mediche e nelle tecnologie sanitarie avanzate. Qual è il segreto del successo di Israele in questo campo e perché investe così tanto nella ricerca medica?
In genere, Israele viene definita “start-up Nation”. Abbiamo fatto della salute una priorità e abbiamo aspettative alte. Allo Sheba abbiamo un centro di innovazione, molte aziende, molte tecnologie, centri di Microsoft e Google. Diamo molto spazio all’innovazione. Siamo in contatto con altri team dello Sheba Medical Center. Sono stati fatti molti investimenti, cerchiamo di fare del nostro meglio nonostante il nostro sistema sanitario abbia anche delle carenze. La ricerca è importante, c’è ne è molta.
Lei e i suoi colleghi siete venuti in Italia volontariamente? Il vostro Paese è sempre presente negli aiuti degli altri Paesi, perché Israele dà così tanta importanza alle operazioni umanitarie?
Qui sono tutti volontari. Sono importanti i volontari. Riceviamo lo stipendio pieno perché abbiamo dei donatori. Anche le persone comuni ci sostengono con le donazioni.
In molti volevano partecipare, c’erano molti più volontari del numero di persone di cui avevamo bisogno. Molte persone vogliono partecipare alle missioni e offrire il loro aiuto volontario ai pazienti. Prima di tutto dobbiamo essere umili. Israele è attivo a livello internazionale, ma non siamo soli in questo. Molti paesi sono attivi in accordo con il governo di Israele, molte ONG, siamo nella grande famiglia dell’aiuto umanitario. Sono attività che vanno avanti da molto tempo, da prima che io arrivassi allo Sheba.
Ha già partecipato ad altre missioni simili?
Sì, come accennato, ho partecipato ad altre missioni. Con i militari, come riservista, dopo il terremoto dello Gujarat in India, per il tifone nelle Filippine, a Haiti. Fanno parte di ciò che faccio, oltre ad essere un chirurgo ortopedico e ortopedico-pediatrico di professione. Un tempo erano la secondo parte della mia vita, ora posso farlo a tempo pieno. Al Centro siamo molto attivi. Abbiamo supportato la Grecia, un mese fa.
Cosa si aspetta, dal punto di vista professionale e medico, dalla sua esperienza in Italia?
Il primo obiettivo di questa missione è quello di salvare vite umane e di aiutare il più possibile le squadre locali. Il secondo obiettivo è lo scambio di conoscenze con i nostri colleghi qui presenti. Ci sono molte cose che sappiamo sul ceppo Covid, ma ce ne sono molte altre che non sappiamo. Cerchiamo di confrontare le informazioni, per ottenere qualcosa di buono. Facciamo tutti qualcosa per cercare di migliorare le nostre capacità di curare questa malattia. Pensiamo anche che questa sia una buona base per una collaborazione a lungo termine tra noi e il vostro ospedale. Abbiamo già ottenuto molto. E penso anche che ciò contribuisca a rafforzare la costruzione di ponti tra Israele e l’Italia.
Cooperate anche con la Cina al momento?
No, abbiamo tenuto delle conferenze su Zoom. All’inizio i cinesi avevano più esperienza, ma oramai credo che tutto il mondo abbia sperimentato il virus. I cinesi non ci offrono nulla di speciale.
Ci sono differenze tra i protocolli sanitari adottati in Israele e quelli italiani? Utilizzate anche nuovi trattamenti per curare i vostri pazienti?
Sì, ci sono differenze tecniche ma non di terapia. Ci sono delle diversità in alcune cose che facciamo. Il trattamento della malattia è uguale in tutto il mondo occidentale Ma, in sostanza, c’è un livello di medicina molto alto. I team sono molto esperti e molto devoti ai loro pazienti, quindi, in questo senso, abbiamo molto da imparare l’uno dall’altro.
Come siete stati accolti in Italia?
Siamo stati ricevuti calorosamente. La nostra presenza è molto apprezzata e tutti ci sono grati. Si prendono cura di noi. Operare qui è un’opportunità.
La ringrazio per la disponibilità.
Grazie a lei.