A distanza di qualche giorno dalla più sanguinosa azione omicida palestinese ai danni della popolazione ebraica nella storia, si può iniziare a tratteggiare i principali aspetti di come sia stato possibile compiere una azione così efferata ma “ben” preparata in ogni dettaglio.
Preparazione
L’azione è stata preparata nei minimi dettagli e questo ha richiesto anni di addestramento, raccolta di informazioni e logistica. La prima considerazione da fare è come sia stato possibile, introdurre equipaggiamenti militari molto sofisticati e istruttori nella Striscia di Gaza, se è “un carcere a cielo aperto”? Appare del tutto evidente che questa falsità propagata dagli amici degli squadristi (ONG, politici, giornalisti, professori universitari, attivisti autoproclamatisi difensori dei diritti umani ecc.) in anni di tambureggiante propaganda e demagogia, ha causato una forte pressione politica che, inevitabilmente, ha portato all’allargamento delle maglie nei controlli ai valichi tra Israele e Gaza dove transitano centinaia di camion al giorno. Cosa ancora più importante, il confine tra Egitto e Gaza è tutt’altro che sigillato: da qui passano, in superficie e tramite i tunnel sotterranei, grandi quantità di materiale bellico, istruttori ma anche membri di Hamas che escono per addestrarsi in Libano e Iran e poi rientrano indisturbati. Tutto questo con la compiacenza degli egiziani.
Un ulteriore importante elemento di pianificazione è stato fornito dai lavoratori di Gaza che ogni giorno entrano in Israele. Questo è un aspetto che è sempre stato sottostimato. Ma bisogna ricordare che nel corso degli ultimi 10 anni, le autorità israeliane hanno permesso l’entrata quotidiana, in Israele, di un numero sempre più considerevole di palestinesi di Gaza (erano 2.000 dieci anni fa sono diventati 20.000 per volere di Benny Ganz negli ultimi anni). Tra questi lavoratori, certamente, vi erano degli infiltrati di Hamas che hanno potuto muoversi indisturbati per studiare le istallazioni militari, le caserme di polizia, lo stato di preparazione delle unità militari e soprattutto le strade tra i villaggi e i kibbutz e la disposizione stessa dei villaggi. Con questa accurata mappatura del territorio circostante, le squadre della morte di Hamas hanno potuto compiere in poche ore una strage di 1.300 persone.
Azione
L’azione militare operata da Hamas il 7 ottobre è stata condotta sotto il profilo tecnico militare, in maniera molto efficiente. I primi passi sono stati compiuti nelle settimane scorse: le manifestazioni che da alcune settimane si verificavano in vari punti del confine erano delle coperture per poter collocare delle cariche esplosive in numerosi punti del confine (ai piedi delle recinzioni metalliche e delle barriere in cemento) che sarebbero stati utilizzati per aprire le brecce per il passaggio alle squadre della morte. A riprova di questo, alcune settimane fa morirono 5 membri di Hamas mentre stavano collocando uno di questi ordigni esplosivi in mezzo ad una “manifestazione”.
L’azione militare di terra, ormai è certo che vi hanno preso parte tra le 1.500 e le 2.000 persone, è stata coadiuvata e sostenuta dal lancio di alcune migliaia di missili come copertura e soprattutto dall’utilizzo di almeno 35 droni (alcuni esplosivi) con i quali hanno “accecato” la sorveglianza elettronica di confine israeliana e il sistema di comunicazione tra le basi militari a ridosso della Striscia. Questo rappresenta un enorme salto di qualità militare da parte di Hamas. Dietro a queste capacità ci sono gli iraniani e (forse) la tecnologia russa.
Oltre a questo, Hamas ha utilizzato del bulldozer per sfondare le recinzioni in vari tratti di barriera metallica e forse anche dei tunnel non individuati da Israele. In poche ore Hamas è riuscita a far transitare circa 2.000 uomini, centinaia di macchine (molte camuffate come macchine della polizia israeliana) e moto. In più sono stati utilizzati dei deltaplani a motore e squadre anfibie che sono sbarcate nella zona di Zikim.
Dopo questa operazione di stampo militare, Hamas non può più essere considerata una “semplice” organizzazione terroristica ma una forza militare con finalità stragiste.
Impreparazione delle difese israeliane.
Nell’impreparazione dell’esercito di Israele al confine con Gaza, vi sono alcune analogie con quanto accaduto 50 anni prima durante le fasi iniziali della guerra dello Yom Kippur. Per prima cosa è da mettere in rilievo il colossale fallimento dell’intelligence militare nel penetrare l’organizzazione per prepararsi all’offensiva di Hamas. Analogamente al 1973, molti segnali sono stati sotto stimati: informazioni di intelligence da parte dell’Egitto, le tecniche elusive messe in campo da Hamas (finte dimostrazioni di confine per minare tratti della barriera difensiva). Questo a portato a non mettere in preallarme i reparti di confine quando il grosso dell’esercito era a casa per le festività.
Poi, vanno aggiunti ulteriori elementi che spiegano il rapito collasso delle scarse forze di difesa posizionate ai confini. Per prima cosa la totale assenza di “senso del pericolo” rappresentato da Hamas. Questa erronea percezione è stata primariamente una responsabilità politica di tutti i governi che si sono alternati negli ultimi 15 anni. Vi era la convinzione che Hamas, al pari della Jihad islamica, non fosse interessata né capace di commettere un crimine così efferato come quello di sabato 7 ottobre. I vari premier (in primis Netanyahu) che si sono alternati al governo, così come i vari ministri della difesa e i capi di Stato maggiore, non hanno reputato Hamas come una vera minaccia ma tuttalpiù come un “fastidio” che di tanto in tanto bisognava contrastare. Questo lassismo generalizzato è stato fatto proprio dall’esercito al confine: le immagini dei carri armati posizionali al confine senza alcuna protezione lo testimoniano. Tali mezzi erano posizionati a pochi metri dalla recinzione e completamente vulnerabili ad un attacco, evidentemente non era percepita nessuna minaccia proveniente dall’altra parte del confine. Tutte le più elementari norme di sicurezza erano disattese. Forse, tutti confidavano troppo sulla sorveglianza elettronica che è stata, invece, neutralizzata così come i sistemi di comunicazione.
Prospettive
Questa azione efferata è, purtroppo, un risveglio alla realtà: non vi è nessuna possibilità di giungere alla pace in tempi brevi. Ritirarsi da Giudea e Samaria vorrebbe dire esporre il paese ad un pericolo ben maggiore da quello rappresentato dalla Striscia di Gaza, si pensi a cosa potrebbe accadere se Hamas tra qualche anno controllasse il territorio in prossimità dell’area densamente popolata di Tel Aviv.