Tutto è cominciato con “La gabbia”, il programma televisivo condotto da Gianluigi Paragone. Quest’ultimo ha fornito spazio a una serie di soggetti cabarettistici e poco raccomandabili: Paolo Barnard, Giulietto Chiesa e Massimo Fini. Ma il suo principale demerito rimane quello di aver sdoganato Diego Fusaro.
Il “filosofo” torinese dalla barbetta gramsciana veniva presentato come: “il filosofo dagli occhi azzurri che conquista le donne con le citazioni”. Con questa comica biografia cominciava l’ascesa mediatica di Diego Fusaro, osservata con perplessità da chiunque si occupi seriamente di politica, storia e filosofia.
Da allora, circa sette anni fa, “l’allievo indipendente di Marx, Gramsci, Hegel e Gentile” – come è solito definirsi – ha partecipato in modo sistematico a dibattiti televisivi e radiofonici, esibendo uno stile oratorio che, con Gadda, può essere compendiato nell’espressione “enfatiche cazziate”.
Fusaro è solito tuonare contro il “turbocapitalismo” dei “Signori del Mondialismo”, cosa che fa attraverso l’assemblamento di una serie di lemmi e declamazioni. Il tutto condito con una spolverata di termini tratti dal sistema hegeliano e da quello marxista. Il suo registro è talmente povero da poter essere sintetizzato in una manciata di formule: “cretinismo economico”, “epoca della compiuta peccaminosità”, “talassocrazia del dollaro”, “lo dico nel modo più radicale possibile”, “élites finanziarie” e così via.
Nulla di nuovo. Le sue idee sono le tesi di Costanzo Preve ed Alain de Benoist ridotte all’osso e adattate alle necessità del teleschermo. Se il “socialismo della cattedra” di Fusaro è assai noto, meno conosciute sono le sue convinzioni in merito a Israele.
Per analizzare la posizione “fusariana” sullo stato ebraico bisogna fare una premessa: il nostro, da buon marxista, identifica acriticamente gli Stati Uniti d’America col capitalismo. Il novello Gramsci riduce la storia e la complessa società statunitense alla formula – di sapore schmittiano – “talassocrazia del dollaro”. Con questa locuzione intende dire, sulla scia di Carl Schmitt, che gli Stati Uniti sarebbero una “potenza di mare” – il mare è la metafora di una spazio liscio, illimitato, senza frontiere, adatto allo scorrimento delle merci –, fondata sul potere economico e mercantile ben rappresentato dalla banconota verde: il dollaro.
La repubblica statunitense intrattiene, come tutti sanno e come Fusaro sa, una relazione speciale con Israele. Il sostegno che gli Usa forniscono a Gerusalemme, alla luce del modo in cui sono concepiti gli Stati Uniti, viene interpretato come una strategia economica americana tesa a colonizzare il medioriente. Nella brutale semplificazione della realtà posta in essere da Fusaro, Israele non è il prodotto dell’epopea sionista, bensì una mera punta di lancia dell’imperialismo economico americano. Come dimostra il contenuto di questo post Facebook:
“Non fatevi ingannare. Israele è e resta uno Stato criminale, esempio insuperato di democrazia missilistica”.
Nella mistificazione operata da Fusaro, Israele è un piccolo stato colonialista e militarista, un’estensione del potere “a stelle e strisce”. Ma non finisce qua, il telegenico filosofo torinese sembra credere che Israele controlli il mondo e sia un tutt’uno con la finanza e il capitalismo. Sono eloquenti, in tal senso, le seguenti riflessioni, sempre affidate a Facebook:
“Vorrei che la finiste di inneggiare a Bolsonaro come sovranista, patriota e antiglobalista. Bolsonaro è più liberista di Reagan. Non è patriottico, ma atlantista. Non difende l’interesse del suo Paese, ma quello degli Usa nel suo Paese. E, dulcis in fundo, nel suo rapporto servile verso Israele è la chiave per valutarne l’operato”.
“Se lottate contro l’immigrazione dall’Africa e poi accettate di essere colonia di Washington e camerieri di Israele, siete dei pagliacci senza dignità”.
Non è un caso, infatti, che Fusaro abbia condiviso gli articoli complottisti e anti-israeliani di Thierry Meyssan e abbia incontrato e discusso amichevolmente con Maurizio Blondet, noto pubblicista dal paranoico antisemitismo.
Il “filosofo dagli occhi azzurri che conquista le donne con le citazioni” sembra ritenere che Israele sia la chiave di volta di un potere oscuro, invisibile, onnipervasivo definito, di volta in volta, “turbocapitalismo”, “mondialismo” o “padronato cosmopolitico”. Fusaro ripropone la vecchia tesi del “complotto pluto-giudaico-massonico” rivestita di materialismo scientifico e invettive antiamericane.
Il logico corollario della suddetta visione è il sostegno che garantisce ai regimi illiberali e alle teocrazie, da lui definiti “eroici” e “resistenti” – quest’ultima è una parola chiave della retorica antimperialista. Sempre su Facebook scrive:
“Io non legittimo la resistenza dell’Iran all’imperialismo made in Usa: la esalto”.
Fusaro esalta un regime ierocratico, oscurantista e terrorista. Alle democrazia basate sull’economia di mercato, non certo prive di contraddizioni, preferisce una tirannia fondata sulla forca. A lui si adatta alla perfezione quella frase di Ayn Rand contenuta ne “La rivolta di Atlante”, che recita: “Il farabutto che dice di non vedere alcuna differenza fra il potere del dollaro e quello della frusta, dovrebbe imparare la differenza sulla sua stessa schiena”.
Fusaro è solo l’ultimo e più farsesco “filosofo” sedotto dall’illusione di Siracusa, quella che spinse Platone nella città siciliana per affiancare il tiranno Dionigi il Giovane. Le esibizioni filotiranniche dell’autore sono il portato della vecchia ideologia marxista che lo possiede e che gli mostra una realtà capovolta: quella di una democrazia occidentale gravida di intenti autoritari ben più nocivi di quelli dei regimi palesemente dittatoriali. Tale convinzione permette a Fusaro di chiudere gli occhi con la coscienza pulita davanti alla violenza, al terrore, all’antisemitismo, al totalitarismo dei nemici dell’Occidente.