Gabriele Levy, fondatore della Software University di Torino, ha scritto una lettera aperta agli accademici che hanno firmato l’appello al boicottaggio contro il Technion di Haifa. All’epoca, 31 gennaio 2016, i sottoscrittori erano 168. Poi sono purtroppo aumentati, dimostrando come il mondo accademico e intellettuale italiano (e non solo) sia schiavo di certe ideologie. La lettera di Gabriele Levy, ricondivisa ieri, è pertanto ancora attuale. La riportiamo interamente
Cari amici, ieri è apparsa sul web una nuova campagna di boicottaggio contro il Technion, il Politecnico di Haifa (Israele), campagna che è stata firmata da 168 docenti e ricercatori accademici italiani.
La campagna è dotata di un appello dove vengono spiegate le motivazioni del boicottaggio. Il mio problema è che comincio a non capire una cosa: chi dobbiamo boicottare? Dalla TV ho appreso nei mesi scorsi che bisogna segnalare e boicottare i prodotti israeliani provenienti dai territori occupati, mentre per le strade della mia città vedo manifesti che invitano a boicottare Israele in generale. Ora un gruppo di 168 accademici ci dice che dobbiamo boicottare il Technion. Comincio a sentire un pò di confusione. Ecco, vorrei dire a questi 168 accademici che prima di dare un giudizio su qualcosa, è bene che si informino su quella cosa. Lasciando da parte la millenaria disputa dei territori contesi o occupati, ed anche quella di chi c’era prima e cosa c’era dopo, vorrei raccontare ai 168 accademici che cosa è il Technion, oggetto del loro boicottaggio, visto che ho avuto il piacere di laurearmi al Technion in Ingegneria Informatica ed Ingegneria Gestionale, nei lontani anni ‘80. Il Technion è un Istituto Tecnologico che comprende 18 facoltà di ingegneria e medicina, biologia ed architettura, fisica e chimica, in cui circa 1200 docenti insegnano a 13000 studenti materie tecnologiche e non solo. Nel Technion studiano studenti di tutte le etnie e le religioni, circa il 20% degli studenti è arabo, e naturalmente ci sono anche ebrei, buddhisti ed anche tanti atei. Questa è la fotografia del Technion oggi:
Tra i vari palazzi di questa città-studi ci sono le facoltà universitarie, le case dello studente, le mense , le biblioteche la piscina, il campo da calcio e le sale informatiche. Il Technion è stato fondato nel 1912, ma l’erogazione dei corsi è iniziata solo nel 1923. Il primo rettore del Technion si chiamava Albert Einstein. Eccolo in ispezione al Technion nel 1925:
Nel 1962 al Technion apre la Facoltà di Informatica. Nel 1969 quella di Ingegneria Biomedicale. Nel ranking mondiale delle università tecniche, il Technion è posizionato al posto numero 29. Diversi sono i premi Nobel usciti da questa scuola. Migliaia sono le invenzioni inventate in questa scuola, e milioni sono i posti di lavoro creati da tecnologie nate in questa scuola. Negli anni ‘80 frequentai il Technion per sei anni. In una delle costruzioni c’era un corridoio con tanti uffici con porte aperte e dentro due sedie e un tavolo. Il corridoio si chiamava “Incubator”, incubatore. Li nell’incubatore, chiunque si poteva presentare con una idea di business ed il sistema scuola gli dava una sede, un micro budget, un ricercatore di fondi (oggi si chiamano Seed Capital), uno o più persone di supporto per sviluppare l’idea. Se l’idea prendeva piede, l’ufficio si spostava in una zona industriale più o meno vicina, liberando cosi’ un micro ufficio per la prossima idea. Se fate un giro per la zona industriale di Haifa, vedrete palazzi che si chiamano Google e Microsoft, Facebook e Intel, Yahoo e Waze. Mica noccioline… Oggi questa roba si chiama “startup economy”, ed è la cosa più rivoluzionaria che sia successa nella storia del pensiero economico dopo la definizione del plusvalore da parte di “Carletto” Marx. L’economia delle startup ha infatti dimostrato che lavoro e ricchezza si sviluppano la dove c’è innovazione e tecnologia, ricerca e sviluppo, diversità e disciplina organizzativa. Può darsi che 168 accademici italiani vogliano boicottare il Technion, ma vorrei far notare loro una cosa: probabilmente ognuno di loro usa un computer o cellulare dove vi sono dentro decine se non centinaia di prodotti e algoritmi israeliani, magari realizzati proprio dal Technion e dai suoi laureati. Se comprate un prodotto in una farmacia italiana, avete il 10% di probabilità di comprare un prodotto israeliano, magari realizzato proprio dai tecnici usciti dal Technion. Se vai in ospedale, rischi che ti salvino la vita con un macchinario o un software israeliano, inventato proprio al Technion… Negli ultimi anni le campagne di boicottaggio hanno fatto molti danni, soprattutto ai palestinesi, quelli che lavoravano nelle fabbriche boicottate. Ad esempio alcune settimane fa 90 famiglie palestinesi hanno perso il lavoro che li sosteneva, quando, grazie proprio al boicottaggio, la fabbrica israeliana Sodastream ha dovuto chiudere i battenti. Ora che volete boicottare il Technion, sappiate che anche li c’è gente di tutte le etnie e le religioni che non ha nessuna voglia di perdere il proprio posto di lavoro, per cui se ne strafrega altamente del vostro boicottaggio: un mese fa il Technion ha aperto una mega sede in Cina, e migliaia di cinesi ed altri asiatici vengono a imparare come si crea innovazione in Israele. E ben vengano anche gli accordi tra le migliori università italiane ed il Technion, e auguriamoci che i risultati della collaborazione tecnologica Italia-Israele diano presto importanti frutti che creino sviluppo e lavoro per i due popoli e per il mondo intero. E mi chiedo però una sola cosa: voi 168 accademici, siete in Italia, che vista da Israele è un bellissimo posto, e da li a qui o da li alla Siria, più o meno è la stessa distanza. Io non so che cosa vi raccontano nei media oltre al fatto che i soldati israeliani mangiano i bambini arabi, ma a pochi chilometri da qui, in Siria, sta succedendo da anni un massacro che non si allontana molto da un paio di mesi di Auschwitz. In Siria ci sono stati 300 mila morti e dieci milioni di profughi negli ultimi anni. Noi israeliani abbiamo costruito un ospedale da campo al confine siriano, dove 1653 siriani feriti sono sinora venuti a farsi curare. Inoltre vi sono nel paese organizzazioni umanitarie che collaborano alacramente con i nuovi campi profughi che sono sorti, ad esempio, in Giordania e diamo anche una mano con team paramedicali sull’isola di Lesvos.
Voi 168 accademici italiani, che cosa state facendo di realmente operativo per aiutare la tragedia umanitaria che si sta svolgendo in quel luogo che era chiamato “Siria”? Avete boicottato Assad, che ha fatto gettare barili riempiti di dinamite sui condomini dei propri concittadini a Damasco? Avete protestato per le strade di Milano quando l’ISIS ha massacrato migliaia di Yazidi e Cristiani? Avete manifestato contro i bombardamenti turchi che stanno uccidendo centinaia di curdi? Vi state muovendo contro l’impiccagione di centinaia di gay all’anno in Iran? No, non vi state muovendo, voi vi svegliate solo quando si può accusare Israele o gli Stati Uniti. Avete lasciato il terreno libero a Salvini. Quando vedo Salvini protestare contro l’impiccagione dei gay, mi rendo conto che in Italia la destra si e’ presa il ruolo della sinistra…. Come se protestare contro gli Ayatollah fosse “di destra”: Salvini quando dice NO alla Shariya, è più di sinistra di chi non la vuol veder arrivare. Protestare contro l’integralismo islamico non è di destra, ma è una azione di sinistra: l’integralismo islamico, la Shariya, e’ la piu’ depravata, fascista, nazista, totalitaria e pericolosa legislazione diffusa al mondo. E protestare contro il fascismo non è di destra. La Shariya è di destra, non Salvini o Geert Wilders. Allora, cari 168 accademici, vi auguro solo che i vostri nomi non diventino famosi come quelli degli “scienziati” italiani che firmarono il “Manifesto della razza” nel lontano 1938…
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