Il 31 dicembre il Corriere della Sera pubblica un editoriale a firma di Ernesto Galli della Loggia dal titolo La forza di Israele. Il testo dello storico ed editorialista del Corriere è denso e di non immediata e facile fruizione e, nella sua ricchezza concettuale, aggrega anche qualche criticità sulla quale ci soffermeremo, ma è limpido nella sua tesi portante, ovvero che Israele fa quello che noi, in Occidente, abbiamo rinunciato a fare, per una serie di ragioni alle quali Galli della Loggia accenna, ma che, nello spazio di un editoriale non può esplicitare fino in fondo.
La tesi portante è la seguente: l’Occidente avendo rinunciato all’uso della forza, ovvero ripudiato la dimensione della guerra relegandola a un tempo considerato arcaico ma ormai superato dalle magnifiche sorti e progressive che esso ritiene di incarnare, riprova Israele per farne uso.
L’uso della forza è, come le clave e le balestre, da relegare nel retrobottega della storia, e questo va di pari passo, come giustamente rileva Galli della Loggia, con con il congedo dalla dimensione del sacro, che è anche congedo da vincoli e obblighi che si ritengono superati dalla modernità. Attenzione, e qui il testo giunge a uno dei suoi aspetti nodali, anche l’ebraismo è oggi, come già avveniva nell’Illuminismo, da considerarsi in un presente di affrancamento post-identitario, qualcosa di arcaico, di superato, (già Arnold Toynbee considerava gli ebrei dei “fossili”).
“L’identità ebraica infatti — definita com’essa è dal dato della discendenza matrilineare e insieme dal segno nella carne della circoncisione — ci appare come consegnata interamente a un dato naturale irrevocabile in cui risuona l’eco di un tempo remoto. Di un tempo governato da vincoli primordiali di sangue che sembrano fatti apposta per contraddire il nostro modo d’essere, svincolato invece da ogni tradizione, immerso in un presente dominato dall’arbitrarietà di tutti i legami, a cominciare proprio da quello della genitorialità. Tanto più se quel passato remoto restituisce anche la voce di un Dio che è stato pure il nostro, ma che ormai ci è pressoché sconosciuto. Non ce n’è già abbastanza per costruire il senso di un’irreparabile diversità?”
Dunque l’arcaicità dell’ebraismo, il suo essere così al di fuori nella sua specificità vincolata e vincolante dai dettami del presente, è legata anche a quell’altra forma di arcaicità che il presente occidentale, in primis ma non più solo, europeo, ripudia, quella appunto della guerra, dell’uso della forza.
Israele è insopportabile perché usa la forza, a cui noi, convinti che la storia l’abbia superata, abbiamo rinunciato, ma altrettanto insopportabile è il fatto che gli ebrei in quanto tali rifiutino, negli assunti portanti della loro specificità, i dettami che il presente, che si vuole disanfrancato da ogni legame identitario vuole imporre.
Fino a qui tutto scorre, ma poi ci sono degli inciampi, ed è quando l’autore fa uso del termine “vendetta” rapportandolo all’uso delle forza da parte di Israele e scrive che ci piace provare riprovazione nei suoi confronti per il suo “uso spregiudicato della potenza”, riprovazione che forse nasconde la nostra stessa impotenza, il fatto di esserci virtualmente ritirati dalla storia.
La dimensione della vendetta è dimensione arcaica e riparativa di cui troviamo esempi celebri nell’epopea omerica e nell’Orestea eschilea, è riparazione violenta di un torto subito, ma in ambito arcaico e greco è assunta nella sfera della giustizia. Quando ne esce, per situarsi nella sfera dell’hubris, la punizione non tarda a presentarsi.
Se la risposta di Israele all’eccidio del 7 ottobre è “vendetta” nel senso prettamente riparativo, ovvero di una azione atta a fare giustizia, allora possono considerarsi vendette tutte le rispostre violente alle aggressioni subite, singole o collettive che esse siano. Furono vendette i bombardameti inglesi sulle città tedesche durante la Seconda guerra mondiale?, fu vendetta Hiroshima?. Galli della Loggia è troppo accorto per sapere che non lo furono, anche se nel caso di Hiroshima si può certo affermare che la risposta fu smisurata.
Oggi, il termine “vendetta” è interpretato completamente al di fuori dalla dimensione riparativa della giustizia ed ha assunto solo una accezione negativa, ovvero quello di una azione che è svincolata dal nomos, e che si attua dunque unicamente in rapporto a una soddisfazione arbitraria e soggettiva. Ma non è certo questo il caso di Israele.
Se con l’uso dell’aggetivo “spregiudicato”, riferito all’impiego della potenza che Israele ha esercitato nei confronti dei suoi nemici, Galli della Loggia intende che è un uso audace, contrapponendolo alla nostra indisponibilità a usare la potenza militare, ha certamente ragione. Israele osa, agisce con audacia e dterminazione, ma “uso spregiudicato della potenza”, suggerisce immediatamente che essa venga usata in modo disinvolto e svincolato da considerazioni morali, il che, in merito alla guerra in corso è falso.
Fatti questi rilievi sono penosi da leggere gli attacchi che l’autore dell’articolo ha ricevuto, tra cui si distingono per una drammatica e desolante incapacità di comprensione del testo quelli di Gad Lerner, il quale accusa Galli della Loggia di antisemitismo inconsapevole per avere accostato ebraismo, sacro e violenza (gli gioverebbe leggere René Girard), e quello imbarazzante di Tomaso Montanari, “l’antifascista” in servizio effettivo permanente, che lo accusa…di fascismo.
Si tratta di accuse che rivelano la povertà intellettuale di chi le ha lanciate e l’incapacità di entrare nel merito di un articolo di rilievo che meritrebbe ben altre chiose e forse, dal suo stesso autore, un proseguimento.