Già pochi giorni dopo l’eccidio perpetrato dai palestinesi il 7 ottobre, la totalità della comunità internazionale – con l’Amministrazione Biden in testa – ha iniziato a riproporre il solito vetusto e stantio cliché così riassumibile: “per porre fine alle violenze in Medio Oriente bisogna arrivare alla soluzione dei due Stati per due popoli”.
La domanda da porsi è perché a oltre 100 anni dalla fine dell’Impero ottomano non è stato possibile arrivare a un compromesso? Le ragioni storico-politiche del rifiuto arabo sono state brevemente, analizzate in precedenza in diverse occasioni (https://www.linformale.eu/il-connubio-nazi-islamico-e-le-sue-conseguenze-storiche/; https://www.linformale.eu/ci-deve-essere-solo-un-obbiettivo-per-questa-guerra/; https://www.linformale.eu/gli-accordi-di-oslo-e-il-7-ottobre/), qui vedremo quelle legate agli interessi economici dei “dirigenti” palestinesi, delle organizzazioni internazionali e delle ONG.
Per prima cosa è bene ribadire che se ancora non esiste uno Stato palestinese, questo è dovuto al fatto che il mondo musulmano non accetta la presenza di uno Stato nazionale del popolo ebraico in nessuna parte di territorio – anche la più piccola – di Eretz Israel. Ne consegue che perché esso possa nascere, Israele deve scomparire. In attesa che tale proposito si possa concretizzare, le dirigenze palestinesi si sono arricchite enormemente con gli aiuti internazionali forniti da USA, UE, ONU, Iran, paesi arabi e tanti altri paesi sparsi per il mondo. Questi soldi che arrivano copiosi (miliardi di dollari all’anno) finiscono, principalmente, nelle tasche, dei dirigenti considerati “buoni” dell’Autorità Palestinese oltre che in quelle dei “cattivi” di Hamas e della Jihad Islamica, senza che nessuno di loro, debba rendere conto di come sono utilizzati. L’ipotetica realizzazione di uno Stato palestinese metterebbe fine a questo immenso flusso di denaro che serve esclusivamente ad arricchire i vertici di queste organizzazioni, oltre che, a pagare gli stipendi di terroristi e “insegnanti” di ogni ordine e grado intenti unicamente a insegnare odio antiebraico nelle scuole. Già questo, di per sé, rappresenta un grande ostacolo alla realizzazione “dei due Stati per due popoli”, ma volgendo lo sguardo in direzione dell’ONU, ci si accorge subito che la situazione è anche peggiore. All’ONU, nel corso dei decenni, il flusso di denaro verso agenzie, commissioni e numerosi rappresentanti che lavorano unicamente per la “causa palestinese” è diventato talmente ingente e strutturato che nel momento in cui dovesse vedere la luce uno Stato palestinese, miliardi di dollari e migliaia di posti di lavoro, lautamente pagati, verrebbero meno. Quindi perché porre fine questo stato di cose in favore “dei due Stati per due popoli”?
Proveremo ad elencare (solo le principali) organizzazioni ONU dedite alla causa palestinese: the United Nations Conciliation Commission for Palestine (UNCCP); the United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA); the Special Rapporteur on the Situation of Human Rights in the Palestinian Territories Occupied since 1967; the Committee on the Inalienable Rights of the Palestinian People; the United Nations Division for Palestinian Rights; the United Nations Development Programme of Assistance to the Palestinian People (UNDP); the United Nations Economic and Social Commission for Western Asia (ESCWA); the United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA); the Office of the Special Coordinator of the Middle East Peace Process; infine l’Arab International Forum on Rehabilitation and Development in the Occupied Palestinian Territory (finanziato dall’ESCWA).
È quasi superfluo ribadire che il popolo palestinese ha più agenzie e commissioni all’ONU di tutti gli altri popoli messi assieme. Quindi con la creazione di uno Stato palestinese bisognerebbe smantellare gran parte dell’ONU. Per dare una vaga idea di quanti soldi sono spesi dall’ONU per la “causa palestinese”, è sufficiente citare il dato di spesa della sola UNRWA. Questa agenzia per i rifugiati dalla Palestina, secondo una ricerca condotta dal ricercatore Stanley Urman, ha speso, dal 1950 al 2010, 13.7 miliardi di dollari (i soldi stanziati dagli USA per il Piano Marshall con il quale si ricostruì l’Europa furono 12.7 miliardi). Negli ultimi 10 anni l’UNRWA spende mediamente 1.5 miliardi all’anno, quindi sono stati spesi almeno altri 15 miliardi di dollari. Con quale risultato? Con il risultato che i “profughi” palestinesi anziché diminuire sono aumentati da 700.000 del 1948 a 5.8 milioni di persone nel 2022.
Tra le tante agenzie e commissioni ONU, una in particolare mostra il livello di sudditanza raggiunta dall’ONU in questi anni: il Consiglio per i diritti umani. Questa agenzia ONU fin dalla sua costituzione nel 2006, considera Israele come uno Stato ontologicamente “canaglia”, tanto è vero che è l’unico paese al mondo al quale è riservata esclusivamente una agenda delle 10 che compongono il suo statuto: l’Agenda 7. Ciò significa che fin dalla sua creazione il Consiglio conteneva in sé una Agenda completamente ed esclusivamente dedicata a Israele mentre tutte le altre nove Agende sono di carattere generale e si possono applicare di volta in volta in casi specifici individuati dai suoi rappresentati. In particolare l’Agenda 4 si occupa dei casi di presunte violazioni che si verificano in tutti gli altri paesi del mondo. In pratica, se il Consiglio sospetta che in un qualsiasi paese del mondo si è verificato o si sta verificando un caso di violazione dei diritti umani, esso agisce in base all’Agenda 4. Invece, se il Consiglio vuole indagare su presunte violazioni avvenute in Israele o nei territori amministrati dalla Autorità Palestinese (ma solo ed esclusivamente se è Israele a essere imputato di commettere i presunti crimini) si muove sotto l’egida dell’Agenda 7. Appare del tutto evidente che ci troviamo al cospetto di un formidabile strumento di delegittimazione dello Stato ebraico proveniente dalla più importante organizzazione mondiale riservata ai “diritti umani”.
Fino ad oggi, il Consiglio ha formulato oltre 100 risoluzioni di condanna nei confronti di Israele per abusi dei diritti umani, un insieme più numeroso di tutte le risoluzioni formulate nei confronti degli altri paesi del mondo messi assieme. Cosa farebbero tutti i funzionari ONU lautamente pagati per accusare Israele di qualche violazione se esistesse uno Stato palestinese? L’ONU riscriverebbe lo statuto del Consiglio per i diritti umani?
A questo flusso immenso e costante di denaro speso dall’ONU ogni anno, bisogna aggiungere le centinaia di milioni di dollari ed euro che vengono elargiti (principalmente dagli Stati Occidentali) a un numero imprecisato di ONG che operano a Gaza, Giudea, Samaria e in giro per il mondo in favore dei palestinesi. Un dato certo di questo flusso di denaro non esiste, si calcola che diversi miliardi di dollari/euro siano stati versati alle ONG per “provvedere” alla popolazione palestinese. Anche in questo caso i resoconti di come vengono spesi i soldi sono lacunosi, parziali e in molti casi inattendibili. Diverse indagini condotte dall’intelligence di Israele hanno dimostrato in modo inequivocabile che una buona parte di questi soldi finisce direttamente ad organizzazioni terroristiche che operano con la copertura di ONG. Anche in questo caso, se esistesse uno Stato palestinese, non ci sarebbe più bisogno di tutte queste ONG “umanitarie” e dei relativi finanziamenti. Oltre a ciò l’edificazione di uno Stato palestinese, metterebbe fine alle centinaia di milioni di dollari annui che vengono regalati ai palestinesi per la fornitura di acqua ed elettricità visto che né Hamas né l’Autorità Palestinese fanno fronte a queste necessità basilari per uno Stato. A ciò si devono aggiungere anche i soldi spesi dalla comunità internazionale per le centinaia di camion che tutti i giorni entravano a Gaza fino al 7 ottobre e che trasportavano generi di tutti i tipi gestiti da numerose organizzazioni internazionali (oltre che da Hamas).
Ultimo ma non ultimo dato importante è l’aspetto politico. Nel momento in cui vivessero fianco a fianco “due Stati per due popoli”, gran parte dell’agenda politica dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (56 Stati) e della Lega Araba, verrebbe meno così come il loro acceso e mal celato antisemitismo.
È chiaro che non esiste nessun vantaggio nella formula “due Stati per due popoli”, per la “dirigenza” palestinese, per l’ONU (inteso come insieme di agenzie pro palestinesi), o per le migliaia di ONG che si nutrono di odio anti israeliano per ottenere fondi.
Per tutti questi soggetti, l’unico motivo per cui valga (forse) la pena di perdere tutti i finanziamenti è la distruzione di Israele. Mentre, probabilmente, l’unico paese che è realmente interessato alla creazione di un improbabile Stato democratico di Palestina è proprio Israele e per questo motivo non verrà mai alla luce.