Stati Uniti e Medio Oriente

Il ritiro americano non è iniziato con i curdi e non finirà con loro

La decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di abbandonare i propri partner curdi in Siria non dovrebbe sorprendere. Per oltre un anno e mezzo ha dichiarato esplicitamente ad alta voce la sua intenzione di farlo.

Alcuni potrebbero essere stati sorpresi dal modo apparentemente non coordinato e improvviso in cui Trump ha dato al leader turco Recep Tayyip Erdoğan il semaforo verde per potere lanciare un’offensiva contro le forze democratiche siriane a maggioranza curda (SDF) nel nord-ovest della Siria – una campagna che solo nel corso di una settimana ha già ucciso decine di persone, per lo più dalla parte curda, e ne ha fatto sfollare oltre 150.000.

Ma la mossa stessa, capricciosa e disorganizzata come è stata, può ancora essere vista come parte di una politica estera della Casa Bianca che ha cercato di disimpegnarsi dal Medio Oriente, includendo in questo disimpegno gli alleati curdi che hanno combattuto per anni a fianco delle truppe statunitensi contro il gruppo terroristico dello Stato Islamico.

L’ultima mossa di Trump è stata una pietra miliare significativa all’interno di un movimento di allontanamento dalla regione, uno spostamento iniziato prima dell’attuale amministrazione e i cui effetti si faranno sentire anche in quella successiva, indipendentemente da chi occuparà lo Studio Ovale.

Per Gerusalemme, ciò può significare la perdita di un alleato chiave nella regione e nella lotta contro l’Iran e i suoi delegati. A colmare il vuoto lasciato dall’America è la Russia, che è assai meno simpatizzante nei confronti di Israele, e colloca lo Stato ebraico su un piano strategico molto meno rilevante.

Inoltre è prevedibile che il modo frettoloso con cui viene condotto questo ritiro da parte degli Stati Uniti fornirà un  grande vantaggio allo Stato islamico, permettendo ai suoi membri prigionieri nelle carceri gestite dalla SDF di fuggire approfittando del caos e raggrupparsi altrove, in modo da potere proseguire la propria battaglia e continuere a operare come forza destabilizzante nella regione per i prossimi anni.

Trump non ha lasciato dubbi sulle sue intenzioni di rimuovere le truppe statunitensi dalla Siria prima della sua telefonata con Erdoğan la scorsa settimana, nel corso della quale ha dichiarato che i soldati americani non avrebbero interferito nell’offensiva dell’esercito turco contro il precedente partner americano, l’SDF, nel nord della Siria.

Da marzo 2018, Trump ha dichiarato la sua intenzione di rimuovere tutte le truppe statunitensi dal paese devastato dalla guerra civile. “Ce ne andremo molto presto dalla Siria. Che se ne occupino gli altri ora. Ce ne andremo molto presto. Molto presto “, dichiarò Trump durante un discorso in Ohio nel corso del mese. Questo atteggiamento è stato ripetuto dai funzionari della difesa degli Stati Uniti nell’aprile 2018 e dichiarato esplicitamente come politica sei mesi dopo.

“Abbiamo sconfitto l’ISIS in Siria, la mia unica ragione per essere lì durante la presidenza Trump”, ha scritto il presidente degli Stati Uniti in un tweet nel dicembre 2018, usando l’acronimo per il gruppo dello Stato islamico.

Mentre molti analisti del Medio Oriente hanno contestato le affermazioni del presidente degli Stati Uniti riguardo alla sconfitta dello Stato islamico – sebbene il gruppo abbia perso il territorio, ha conservato molti dei suoi combattenti e la capacità di effettuare attacchi, e quindi rappresentava ancora una minaccia significativa – il desiderio di Trump di ritirare le truppe è rimasto immutato, anche se a dicembre aveva ceduto e accettato di lasciare alcune truppe sul posto per qualche tempo.

Questo ritiro fa parte di una promessa più ampia fatta da Trump nella campagna presidenziale del 2016 di chiudere con quelle che definì “le guerre senza fine” dell’America, un termine sovente usato per i conflitti statunitensi in Afghanistan e Iraq.

L’opposizione all’uso della forza militare in Medio Oriente può essere osservata anche nelle ritorsioni limitate o inesistenti degli Stati Uniti rispetto a presunti attacchi iraniani contro gli alleati degli Stati Uniti nel Golfo Persico, in particolare contro l’impianto petrolifero Aramco dell’Arabia Saudita il mese scorso.

Questo ritiro degli Stati Uniti dalla Siria e dal Medio Oriente in generale depriva Israele di un alleato chiave che avrebbe potuto almeno tenere sotto controllo l’Iran. Negli ultimi anni, l’Iran si è mosso per radicarsi militarmente in Siria, stabilendo tramite i suoi delegati basi e milizie all’interno del paese, che potrebbero essere utilizzate per minacciare lo Stato ebraico.

Israele ha combattuto contro questo sforzo di Teheran con attacchi aerei su posizioni iraniane in Siria e, secondo quanto riferito, anche in Iraq. Mentre Gerusalemme ha  in gran parte condotto questa campagna per conto proprio, una uscita completa degli Stati Uniti dalla Siria – e insieme ad essi l’apparato operativo e di intelligence che America potrebbe usare per aiutare Israele – rende tale compito ancora più difficile.

Per ora, secondo i resoconti dei media americani, gli Stati Uniti manterranno un piccolo contingente ad al-Tanf al confine siriano-iracheno, uno schieramento considerato fondamentale per impedire a Teheran di creare un cosiddetto “corridoio terrestre” dall’Iran attraverso l’Iraq e la Siria per giungere in Libano e nel Mar Mediterraneo. Tuttavia, come presidio solitario in Siria, non è chiaro quanto saranno efficaci quelle truppe statunitensi per contrastare gli sforzi dell’Iran.

Il rifiuto degli Stati Uniti di impegnarsi in Siria con la sua sanguinosa guerra civile non è iniziato con Donald Trump, ma piuttosto con il suo predecessore Barack Obama. Nel 2013, Obama rinnegò la sua promessa di reagire a qualsiasi uso di armi chimiche da parte del dittatore siriano Bashar Assad, passando la patata bollente al Congresso degli Stati Uniti per l’approvazione di un’azione militare in Siria pur sapendo benissimo che essa non sarebbe arrivata.

Secondo molti analisti e funzionari della difesa, la decisione di Obama di non rispondere a una violazione della sua “linea rossa” ha spianato la strada alla Russia per entrare nel conflitto e diventare la superpotenza dominante nella guerra civile, praticamente assicurando la vittoria di Assad .

Questa tendenza lunga anni della Russia che riempie il vuoto lasciato dagli Stati Uniti alle proprie spalle può essere vista in modo letterale questa settimana nella città di Manbij, dove le truppe americane hanno mantenuto un certo numero di avamposti a partire dal 2017.

Le truppe statunitensi hanno lasciato la zona rapidamente questa settimana, dopo l’annuncio di Trump. I soldati russi si sono trasferiti nell’area poco dopo, portando con sé giornalisti russi che hanno filmato gli avamposti abbandonati frettolosamente.

Un video pubblicato online dal sito di notizie pro-Cremlino Anna mostrava i detriti lasciati dall’improvviso ritiro americano: lattine di patatine Pringle, copie consumate di romanzi di successo, bibite analcoliche.

La sostituzionne dell’influenza americana in Medio Oriente da parte della Russia non è stata particolarmente vantaggiosa per Israele, in quanto Mosca non ha la capacità e la propensione a contrastare le minacce nei confronti dello Stato ebraico, in particolare dell’Iran e dei suoi delegati.

È improbabile che questa tendenza cambi nel prossimo futuro, anche se qualcun altro entrerà alla Casa Bianca nel 2020. Senza infrastrutture o alleanze attive in Siria, l’America dovrebbe combattere una battaglia in salita per ottenere un punto d’appoggio strategico nel paese, un’impresa difficile da far passare a livello domestico. Quindi, Israele, probabilmente, continuerà da solo nella sua lotta contro l’Iran, ma ora con meno supporto.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu può anche avere propagandato il potenziale di un trattato di difesa reciproca con gli Stati Uniti prima delle elezioni del mese scorso, ma la scorsa settimana ha messo in luce la realtà in termini di aspettative israeliane di assistenza militare diretta.

“Come nel 1973, oggi apprezziamo molto anche l’importante sostegno degli Stati Uniti … Allo stesso tempo, ricordiamo e attuiamo sempre la regola di base che ci guida: Israele si proteggerà da solo, contro ogni minaccia”, ha affermato Netanyahu durante una cerimonia commemorativa per la guerra dello Yom Kippur.

Parlando al Times of Israel all’inizio di questa settimana, l’ex Consigliere per la sicurezza nazionale di Netanyahu, Yaakov Amidror ha spiegato che mentre Israele può farsi carico del peso in Siria senza una presenza americana, questo ritiro è pur sempre un duro colpo per le offensive di Gerusalemme contro l’Iran e i suoi obiettivi di politica regionale in generale.

“Non perché non possiamo difenderci, ma perché comprendiamo che il Medio Oriente d’ora in avanti dovrà arrangiarsi senza influenza, o con una minore influenza da parte degli americani”.

Traduzione di Niram Ferretti

https://www.timesofisrael.com/us-mideast-pullback-didnt-start-with-the-kurds-and-it-wont-end-there-either/

 

 

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