La conferenza stampa che Obama ha tenuto a margine del COP21 è stata illuminante per capire quanto sia distorta e pericolosa la visione che il presidente americano ha della crisi mediorientale.
Oltre al tema del riscaldamento climatico, Obama ha dedicato molta parte del tempo a sua disposizione alla delicata situazione della Siria, e si è avuta la conferma che, ad essere benevoli, l’amministrazione americana si sia infilata in un cul de sac.
Durante la conferenza il Presidente ha, ovviamente, affermato che il nemico comune è l’ISIS e che bisogna sconfiggerlo, ma buona parte del tempo è stata dedicata ad attaccare la politica di Putin.
Secondo Obama l’unica soluzione alla crisi siriana è quella diplomatica, che però potrà essere raggiunta solo con l’uscita di scena di Assad. Ciò che frenerebbe l’accordo tra le parti è la posizione di Putin e, per chiarire il concetto, il presidente americano ha detto testualmente “i russi hanno investito per anni per mantenere al potere Assad e fintanto che i russi sono allineati con il regime di Assad molte risorse russe saranno puntate contro i gruppi all’opposizione“.
Peccato che questa narrazione di Obama sia piuttosto manichea, tutti i buoni da un lato e tutti i cattivi dall’altro, è la stessa che ha fatto prendere all’amministrazione americana un enorme abbaglio riguardo alle “Primavere Arabe”, e questo perché alla Casa Bianca si va ancora favoleggiando di una resistenza siriana “moderata” che però pare proprio che non ci sia più.
In un articolo apparso su RID di ottobre, Andrea Mottola ha dato un preciso quadro di come è composta quella che gli americani considerano “resistenza moderata” formata da “l’Esercito della Conquista (Jaish al-Fateh), un’alleanza di fazioni che includono formazioni riconducibili al Free Syrian Army di aerea Fratellanza Musulmana, gruppi radicali salafiti come Ahrar al-Sham e i qaedisti di Jabhat al-Nusra, gruppo che, di fatto, guida l’alleanza. Tale coalizione è stata creata negli scorsi mesi grazie ad un accordo “promosso” da Arabia Saidita, Qatar e Turchia, storici “patroni” delle milizie islamiche siriane, che avrebbero accantonato i propri dissidi, concentrandosi sulle preoccupazioni comuni rappresentate dal progressivo coinvolgimento dell’Iran nel conflitto siriano e dal possibile conseguente espansionismo iraniano nella regione, e dalla minaccia del Califfato.“
Qualche dubbio sulla “moderazione” di questi combattenti deve essere venuto anche al Pentagono se, nello scorso mese di ottobre ha deciso di interrompere l’addestramento dei ribelli, per il quale era stato destinato un budget di 500 milioni di dollari. Il problema, secondo quanto riportato dal NYT , è che i potenziali combattenti che accettavano di farsi addestrare dagli americani erano in numero estremamente basso e, oltretutto, una volta raggiunta la zona di operazione finivano per aggregarsi alle milizie islamiste.
Viene il sospetto che la testa di Assad, storico alleato dell’Iran, sia la contropartita che Obama ha promesso alle monarchie del golfo per far loro digerire le aperture di credito fatte a Teheran e la conseguente fine delle sanzioni. Per questo il presidente americano si ostina a difendere una parte delle milizie antigovernative, ma se quelle citate da Mottola sono le forze della resistenza che piacciono ad Obama, ossia Fratelli Musulmani, Salafiti ed affiliati ad al-Qaeda, forse fa bene Putin a bombardarle tutte indiscriminatamente.